La Pace di Lodi

Nino Valeri, in La libertà e la pace, si sofferma su come la Pace di Lodi impose ai regni della Penisola il principio dell’equilibrio.

 

Solo negli ultimi anni del governo di Lorenzo de’ Medici, quando la bilancia delle potenze italiane si è consolidata attraverso una serie di conflitti – congiura dei Pazzi, guerra di Ferrara, congiura dei baroni – la Lega Italica, nata dalla pace di Lodi piuttosto per l’inconsapevole forza delle cose che come maturato sistema, assurge a una certa forma di coerenza politica. L’istintiva difesa degli organismi in contrasto è già, o tende già ad essere, consapevolezza di una comunità nazionale, in cui la salvezza di ognuno è necessariamente legata alla salvezza dell’intero sistema. Motivi di conflitto non mancano certamente, come non mancano in nessun organismo vivo; ma la materia di discordia viene facilmente dominata dai governanti, che fanno appello con successo alla ragionevolezza e prospettano il pericolo incombente su tutti, quando qualcuno tenta di forzare a suo vantaggio la bilancia delle  forze.

Tuttavia anche questo equilibrio rimane una forma affatto rudimentale di confederazione, cui manca non solo una qualsiasi impalcatura giuridica, ma anche un capo riconosciuto. Il moto nazionale è qualcosa di più concreto dell’antica aspirazione letteraria, perchè ora si congiunge con la consapevolezza d’interessi e necessità comuni, tuttavia esso non perviene ancora a superare il punto morto di un sistema in cui le forze che lo compongono rimangono divise in una molteplicità di centri politici divergenti, e perciò esposti al rischio di non resistere a un urto degli stati stranieri.

Lorendo de’ Medici stesso, che è giunto alla più profonda intelligenza delle comuni necessità che legano tutti i membri della penisola, fa una politica nazionale solo fino al punto che essa coincide con gli interessi fiorentini. Né egli potrebbem da solo, in un mondo siffattamente orientato, comportarsi diversamente, sacrificando il bene della sua città, reale e presente, a quello di una patria comune politicamente ancora vanente in una nebulosa lontananza. I principati italiani, nati da una feroce lotta di secoli in cui hanno assorbito le formazioni politiche minori, acquistando, attraverso questo fervore di contrasti e di sforzi, una coscienza sempre maggiore di sé e una forma interna di organizzazione relativamente stabile, costituiscono ormai nuclei di resistenza inattaccabili da ogni tentativo di unificazione politica. L’equilibrio è il limite della tendenza unitaria che variamente ha operato nella storia nostra, prima come aspirazione egemonica di uno stato sugli altri, poi come forzato accordo dei maggiori potentati.

 

 

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