Le quattro giornate di Napoli

Tra il 27 ed il 30 settembre del 1943, con l’Italia non più alleata della Germania, una furiosa insurrezione scoppiò a Napoli: è la storia delle “quattro giornate“.

La città fu liberata prima dell’arrivo degli alleati in una eroica pagina di storia civile. Fu un moto spontaneo, senza un vero e proprio coordinamento che smosse Napoli devastata da 110 bombardamenti alleati, occupata facilmente dai tedeschi per l’immediato cedimento del comando militare, soggetta alle più vandaliche azioni di rappresaglia, dall’incendio dell’Università alle pubbliche fucilazioni. Il colonnello Scholl, proclamato il coprifuoco e lo stato d’assedio, fece dapprima i conti con la resistenza passiva, con sole 150 persone che si presentarono per il decretato servizio obbligatorio invece delle previste trentamila, poi, mossa l’ennesima rappresaglia, fece i conti con l’esplosione della rivolta.

Napoli, priva di viveri e d’acqua, con 200.000 persone senza tetto, si destò dal Vomero, da Chiaia, da Piazza Nazionale. Tutto iniziò all’alba del 28 settembre, si sparò sui tedeschi che, in una retata, avevano preso ottomila uomini. Le prime fucilate scoppiarono al Pagliarone al Vomero vecchio, caddero decine di studenti, operai, impiegati, guidati dal tenente Enzo Stimolo. Gruppi di scugnizzi attaccarono, bombe alla mano, le autoblindo tedesche. Giunsero voce di colonne di prigionieri condotte dai tedeschi nel bosco di Capodimonte. I partigiani napoletani si divisero, un gruppo avrebbe puntato al Vomero, l’altro sarebbe andato avanti lungo il limite del bosco. Avanzarono cantando inni patriottici e dai balconi si applaudì al loro coraggio. Al quadrivio tra via Scarlatti e via Cimarosa una motocarrozzetta fu ribaltata e i due occupanti morirono, i tedeschi giunsero in forze e ne nacquero altri violenti scontri. La rivolta si estese a Pianura, sorsero le barricate, si continuò a sparare, a via Foria, nei vicoli di Toledo. Nella notte altre retate al centro del Vomero coi prigionieri che furono condotti nello stadio oggi intitolato “Arturo Collana”. I partigiani si mossero, circondarono la struttura aprendo il fuoco con una mitragliatrice antiaerea e da un momento all’altro si videro uscire dallo stadio tre autocarri tedeschi che sventolavano un grande drappo bianco. Sotto l’urto imprevisto ed incontenibile, il colonnello Scholl fu costretto a trattare la resa ed a liberare tutti gli ostaggi in suo possesso. I tedeschi abbandonarono Napoli ma sfogarono la loro rabbia da Capodimonte bombardandola, dando fuoco agli archivi, sparando a Porta Capuana. La rappresaglia fu colma d’astio ma il I ottobre, quando gli anglo-americani entrano a Napoli, essa era già liberata.

Tutto finì nei versi di Giuseppe Palumbo cantati da Mario Abbate: ” ‘O partiggiano ha dato a patria ‘o core, vita e ‘ammore / Pe’ fà salvà ‘a bandiera tricolore. / Scennevа ‘a Capemonte ‘na matina, / Purtava arret’ ‘e spalle ‘a tasca ‘a ppane, / Teneva dint’a tante bombe a mmano, / Salvaje ‘ntiempo ‘o ponte a Sanità. / Chesta canzona è ‘na paggina / ‘E storia ‘e Napule, / Paggina scritta cu sanghe / E llacreme tant’anne fa. / Tutte ll’uommene d’ ‘o munno / Se l’avesseno ‘a ricurdà ca / Simmo tutt’ ‘e frate / Pе’ scungiurà ll’ati pericule / Che minacciano ll’umanità“. Anche Sergio Bruni, la voce di Napoli, canterà col ricordo delle sue dirette esperienze i versi celebrativi di Salvatore Palomba: ” ‘O vintotto ‘e settembre d’ ‘o quarantatrè / se tignettero ‘e russo e giesummine / for’ ‘e balcune ‘e Materdei. / Uommene, femmene, vecchie, / guagliune che sapevano ‘a storia malamente / e guagliune ca nun sapevano niente / sapettero ‘o stesso chello c’avevano ‘a fà. / Napule nun t’ ‘o scurdà / Ma quà chitarre e manduline, / ‘o vintotto ‘e settembre d’ ‘o quarantatrè / p’ ‘o Vommero e Pusilleco / p’ ‘e Funtanelle e ‘o Ponte ‘a Sanità / l’accumpagnamento ‘o faceva ‘a mitraglia / e ‘o scugnizzo cantava: / – Jatevenne, fetiente, carugnune, jatevenne! – / Strillava, curreva, sparava e mureva”. Sergio Bruni davvero formò con una decina di giovanissimi un gruppo di volontari che, con l’aiuto di un capitano d’artiglieria, riuscirono a sminare il ponte di Chiaiano, minato dai tedeschi. Sulla via del ritorno in uno scontro a fuoco rimase gravemente ferito alla gamba destra e segnato per sempre da una menomazione nel camminare.

Le quattro giornate valsero alla città di Napoli il conferimento della medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione: “Con un superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo a lutto e alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un’impari lotta col secolare nemico offriva alla patria nelle quattro giornate di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della patria”.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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