Napoleone III ed il Colpo di Stato in Francia del 1851

Lo storico Adolfo Omodeo si sofferma sul carattere di Luigi Napoleone Bonaparte, sui contenuti del colpo di stato con cui si proclamò Imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III e sulla sua politica estera.

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La notte fra l’1 e il 2 dicembre 1851 il presidente si decise, con l’aiuto dei generali comandanti le forze parigine, al colpo di stato. I capi partito furono arrestati. I tentativi di insurrezione furono repressi: con provvedimenti amministrativi furono deportati in Caienna e in Algeria i turbolenti.

Poi Luigi Bonaparte si appellò al popolo proponendo una costituzione ricalcata su quella del consolato: un presidente decennale, un senato e un consiglio di stato di nomina presidenziale, un corpo legislativo eletto a suffragio universale, ma senza iniziativa legislativa, che discutesse e approvasse le leggi preparate dal consiglio di stato.

Un plebiscito approvò con 7.500.000 voti. La stampa fu imbavagliata. I deportati superarono i 15.000. Tutto fu predisposto per la restaurazione dell’impero, che fu accettata con un altro plebiscito il 2 dicembre seguente (1852). Luigi Bonaparte assunse il titolo di Napoleone III, includendo nella serie anche Napoleone II, a cui, per l’abdicazione di Fontainebleau, sarebbe toccata la corona.

Così l’avventuriero politico ascese al trono. Una perpetua ambiguità, che ingannò i suoi nemici, un amore per i colpi di sorpresa, il prestigio del nome, la stanchezza e il disgusto politico della Francia, la necessità di sicurezza e di tranquillità lo portarono in alto. Si diffuse sistematicamente dalla stampa ufficiosa il dispregio pel regime liberale, oggetto di vivissima aspirazione un trentennio prima. Ma l’uomo che aveva assunto il potere non era un puro strumento di reazione. Nel suo temperamento mistico e fantastico sognava d’avere su di sé una grande missione, la missione propria dei Bonaparte. Come il suo grande zio aveva recato al mondo i benefizi della rivoluzione, così egli doveva instaurare in Europa il principio delle libere nazionalità: quel principio che il grande Napoleone aveva con suo danno disconosciuto. La Francia con questa missione avrebbe riacquistato l’egemonia in Europa, avrebbe grandeggiato fra nazioni satelliti, e avrebbe ristabilito il primato della stirpe latina. A coronamento dell’opera, egli avrebbe restituita alla nazione la libertà, la vera libertà.

Però gli nocque profondamente il cinismo sanguinoso con cui compì il colpo di stato, gli uomini equivoci di cui dovette circondarsi, l’isolamento in cui lo lasciarono i migliori, il servilismo che fiorì all’ombra del suo trono. Odii profondi lo perseguitarono e l’ossessionarono: sopra tutti quello del partito mazziniano ch’egli aveva snidato da Roma. L’incubo del Mazzini lo indurrò ad assumersi lui la risoluzione del problema italiano. Gli pesò poi come una palla al piede il partito cattolico esigentissimo e di cui non poteva fare a meno. La preoccupazione di giustificare il suo regime lo portò ad un’irrequieta politica di grandezza, senza linea costante, che abbagliò la Francia con le vittorie di Crimea e d’Italia, ma addensò le tempeste che dovevano travolgerla nel ’70.

 

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