Arte religiosa e dignità regale in Giovanna I d’Angiò

Comunemente descritti come un periodo di declino, gli anni di Giovanna d’Angiò si caratterizzarono in realtà da importanti committenze artistiche di cui però poche tracce sopravvivono. Possiamo asserire che le opere commissionate dalla regina testimoniano, con una esplicita vicinanza al mondo culturale francese, l’obbiettivo di legittimare Giovanna nel governo, nella successione dinastica, nella piena dignità regale. 

Le preferenze della corte napoletana del tempo restarono orientate verso la Toscana. Già al servizio di re Roberto erano giunti Giotto, tra il 1328 ed il 1332, e Tino di Camaino, tra il 1325 ed il 1336. Nell’età della regina furono attivi a Napoli il senese Andrea Vanni, la cui firma era, ancora nel Seicento, ben leggibile sul perduto polittico di Casaluce, e quella dei fiorentini Pacio e Giovanni Bertini che, a Santa Chiara, eressero i sepolcri di re Roberto, Ludovico figlio di Carlo di Durazzo e di Maria d’Angiò. Tra gli artisti napoletani va ricordato il miniaturista Cristoforo Orimina autore di una Bibbia che Giovanna donò a papa Clemente VI e che si contraddistinse per la riproduzione fedele del ciclo dell’Antico Testamento dipinto da Giotto a Castelnuovo e Santa Chiara. Molto intense furono sia la produzione libraria, accompagnata da traduzioni della bibbia fatte da Niccolò da Reggio e Leone de Scolis di Altamura, sia quella di gioielli d’oreficeria, con gli oggetti preziosi commissionati per il matrimonio con Luigi di Taranto e quelli donati a Clemente VI. La regina poi fondò l’ospedale annesso alla Chiesa dell’Incoronata e finanziò quello di San Nicola al Molo istituito da una confraternita laica, ma soprattutto portò a compimento la Certosa di San Martino.

Sebbene oggi scarseggino notizie sulla fase medievale della struttura voluta da Carlo, duca di Calabria, padre di Giovanna, il suo completamento fu per la regina di grande importanza, una vera ostentazione di potere che rispecchiava una consolidata tendenza dell’Europa del tempo. Enrico II d’Inghilterra, Luigi IX di Francia e suo figlio Carlo di Valois, infatti, furono tutti grandi patrocinatori dei certosini. Non volle essere da meno Giovanna che ai monaci affidò anche la Chiesa dell’Incoronata ed il suo ospedale.

L’Incoronata fu una vera “chiesa immagine” della corte perché conservò la Spina della Corona di Cristo donata alla regina da Carlo V di Valois nel 1367. Proprio in questa chiesa è evidente l’orizzonte simbolico-religioso cui si riferì la regina. In una lettera indirizzata a Carlo V, Giovanna la presentò come volutamente ispirata “ad istar cappelle regii palatii parisiensis”, cioè alla Sainte-Chapelle di Parigi, quella di Luigi il Santo. La regina insomma s’ispirò alla beata stirps e ciò appare evidente anche nei rilievi del perduto pulpito della Basilica di Santa Chiara.

Prima che andasse distrutto dall’incendio del 1943, si ergeva sul lato destro della navata un pulpito dalla cassa rettangolare, che, mostravano i martiri dei Maccabei, San Giorgio e Santa Eufemia, i miracoli dei Santi Vito e Modesto che fanno crollare un idolo pagano. Questi santi godettero di speciale venerazione tra il duecento ed il trecento ma anche nelle crociate perché rappresentavano l’affermazione e la difesa della fede. Proprio Giovanna, discendente di Carlo d’Angiò l’athleta Christi delle crociate del 1245 e del 1270, della Campagna d’Egitto del 1248-50 e della conquista del Regno di Sicilia sotto i vessilli papali, compare significativamente nel pannello con il martirio dei Maccabei, in ginocchio nell’angolo destro, con la corona a terra in segno di umiltà ed in compagnia del suo seguito.

Giovanna si interessò della custodia dei luoghi santi ed a lei Santa Caterina si rivolse, quale titolare del Regno di Gerusalemme, affinché prendesse l’iniziativa di condurre la crociata del 1375 per riconquistare la città santa. Probabilmente questi pannelli facevano parte di un più ampio ciclo con le Storie della Passione con cui la regina esprimeva il desiderio di uniformarsi all’esempio dei martiri e del cavaliere San Giorgio quali difensori della fede.

Ulteriore testimonianza di ciò è il Libro d’Ore della Biblioteca Nazionale di Vienna. Nelle sue miniature Giovanna appare in ginocchio al cospetto della Vergine in un volume carico delle immagini dei santi di famiglia, San Luigi di Francia su tutti. Del codice, però, colpisce la miniatura f.218r con l’immagine di un re all’interno della Sainte-Chapelle di Parigi sotto il baldacchino che custodiva le reliquie della Passione contenute nella Grande-Chasse. Nella miniatura il re tiene tra le mani un reliquiario a forma di croce e si riconosco la Lancia, la Corona, quattro dei cinque vasetti che custodivano il Latte della Vergine, la Spugna, i Chiodi, il Sangue di Cristo. L’immagine riprende una antica tradizione iconografica francese, ancora una volta troviamo un rimando alla  beata stirps. Questo re è Carlo V che estrae la Spina per farne poi dono a Giovanna.

Sono tutte forme di autorappresentazione, in un intreccio di religione e politica, in cui si richiama il culto delle sante reliquie ed assieme le vicende della dinastia, la tradizione familiare, legittimazione del potere di Giovanna in anni che furono di crisi per la stabilità del regno e di continui tentativi di diffamazione della sua regina.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: P. Vitolo, Immagini religiose e rappresentazione del potere nell’arte napoletana durante il regno di Giovanna I d’Angiò (1343-1382)

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