I napoletani incontrano Vittorio Emanuele II a Grottammare

Resistevano ancora le fortezze di Capua, di Gaeta, di Messina e Civitella del Tronto, ma, nell’incalzare degli avvenimenti, una giunta di esponenti della città di Napoli fece visita a Vittorio Emanuele II nelle Marche, a Grottammare, il 12 ottobre del 1860. La deputazione partenopea incontrò il re nel palazzo del Marchese Marino Laureati ed invitò il sovrano a recarsi presto in città.
La deputazione era composta da Ruggero Bonghi, Marino Turchi, Carlo Campomazza, Michele Baldacchini, Michele Persico, Giovanni La Pegna, Edoardo Pandola, i marchesi D’Afflitto e Caracciolo di Bella, Giusppe Figlioli, Giuseppe Romano, i marchesi Ulloa e Adenolfi, Oronzo di Donno, Luigi Giordano, Gioacchino Colonna, Antonio Dentice, Antonio Raniere, il barone Vetromiele, Filippo De Blasis, Gaetano Ventimiglia, Luigi Settembrini ed i magistrati Giuseppe Vacca e Giuseppe Ferrigni.

Il Bonghi salutò il re e presentò le volontà delle popolazioni meridionali di aderire al progetto nazionale unitario: “Voi avete già promesso di soddisfare in poter vostro, il voto più ardente, più unanime del popolo napoletano, vedere e salutare il suo Re. Interpreti di questo voi, noi deponiamo nelle mani della M. V. l’indirizzo del municipio di Napoli: ma una maggior prova, Sire, ed una maggior testimonianza vi asptta, l’immensa gioia e l’unanime paluso delle popolazioni del Regno”. Il plebiscito votò la città all’unione, poco dopo Vittorio Emanuele potè entrare a Napoli con una trionfale parata.

Vittorio Emanuele era seguito dal suo Stato Maggiore e dall’esercito che si accampò sulle alture attorno alla cittadina. Bonghi spiegà così le ragioni dell’incontro: “Il concetto che mosse parecchi a rompere gl’indugi e il municipio napoletano a spedir deputati a Vittorio Emanuele, era appunto questo: che il paese dovesse per ogni modo attestare all’Europa il suo fermo volere di fare di questa Italia una patria potente, unita, ordinata, tutta raccolta sotto un solo scettro e sotto un solo governo…”. Di fatti quest’incontro legittimò l’ingresso delle truppe sabaude nel territorio del regno borbonico senza che fosse stata dichiarata guerra. Solo allora il re dette ordine di marciare in Abruzzo.

Bonghi, nel 1848, era stato segretario della legazione straordinaria inviata a Roma da Napoli per la formazione di una lega degli stati italiani. Al termine del biennio rivoluzionario, si rifugiò a Firenze, poi a Torino ed a Stresa. Tornò a Napoli solo nel 1860, in una città liberata da Garibaldi, dopo aver ricoperto l’incarico di insegnante all’Università di Pavia. Qui fu il più strenuo sostenitore dei Savoia e dei plebisciti. Ebbe a dire al riguardo: “Quando Carlo III di Borbone volle regnare in Napoli, si pose a capo di un esercito, combattè a Velletri, a Capua, a Bitonto, e dopo aver compiuta la conquista del Regno, prese la corona con la punta della spada, nè credette aver mestieri del suffragio de’ Napoletani per costituirsi legittimo sovrano di queste contrade. Quando i suoi successori più volte scacciati dal regno vi rientrarono, riconquistandolo, alla testa di eserciti stranieri, noi non sappiamo che avessero convocati Comizi, per assicurarsi che i popoli accettassero di buona voglia la restaurazione del loro dominio. Ma pure i borbonici ora esclamano, che Vittorio Emanuele, acclamato Re da un capo all’altro del Regno, da popoli che hanno abbattuto il governo borbonico per fondare il suo, Vittorio Emanuele sarebbe un predone, se assumesse il governo di Napoli prima che il voto delle popolazioni fosse regolarmente raccolto in solenne e libero comizio”.

 

 

 

 

Autore articolo:  Angelo D’Ambra

Bibliografia: E. Salaris, Un episodio del Risorgimento. Il 12 ottobre 1860 a Grottammare

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