Il Cippus Abellanus

Un documento epigrafico di straordinaria importanza si conserva nelle sale del Museo Storico Archeologico di Nola: è il Cippus Abellanus.
Si tratta di un lastrone di pietra calcarea risalente alla prima metà del II secolo a.C., rinvenuta tra i ruderi del Castello di Avella nel 1685 ed acquistata dallo storico Gian Stefano Remondini per sei piaste nel secolo scorso, dopo che era stata posta come soglia di una porta carraia. Pare servisse per la demarcazione dei confini con la vicina città di Nola e definisce anche l’uso del Santuario di Ercole, forse gestito da entrambe le città.

Tuttavia si tratta solo di supposizioni, mancano soprattutto dettagli perchè il nodo più difficile da sciogliere per gli archeologi sta proprio nel testo, uno dei più lunghi e complessi testi in lingua osca che si sia conservato.
Le difficoltà sono state segnalate da tutti gli autorevoli studiosi che si sono occupati della sua traduzione.

Il Mommsen si spinse a tradurlo così:

“Lato A – Con Maggio Vestirico – figlio di Maio – che ha il sommo potere in Avella e con Maggio Justio, figlio di Maio – Rettore e Governatore di Nola – come pure con i legati Avellani e con i legati Nolani, che per ordine del proprio Senato – hanno gli unì e gli altri funzionato da Ambasciatori – si è fatta questa Convenzione: che il Tempio di Ercole il quale trovasi sul confine – e quella terra che sta presso quel Tempio, e si trova di fuori tra i termini, dove esattamente confina la pietra terminale per comune legge – quel Tempio e quella saranno comuni in un comune territorio. Nel frutteto pio di quel tempio e di quella terra, saranno i frutti comuni all’uno ed all’altro popolo. Ma i frutti dei Nolani saranno nel confine del Tempio di Ercole: quelli degli Avellani…..

Lato B – Se poi qualcuno vorrà dividere il loro territorio, limiterà soltanto quel terreno – che sta dopo di là – dove si stabilì il confine del Tempio di Ercole – oltre quelle contrade limitate dal detto Tempio – alla via ove si trova. Dopo tal confine, per ordine del proprio Senato, sarà lecito dividere il terreno e con tal misura – che tutto ciò che spetterà alla divisione di Nola – per diritto sia dei Nolani. Parimenti, se qualche cosa, apparterra’ ad Avella; sia degli Avellani – con tale misura e con tale diritto. Ma in quella terra che è limitata dietro le borgate e non occupata dalla Divisione Nolana ed Avellana – non vi è appartenenza, né di Nola, né di Avella. Se scoprono un tesoro in quella Terra, per ordine pubblico, tutto ciò che si trovi in esso fuori dal diritto altrui, lo consegnino all’altro. Se tra il confine di Avella e di Nola – vi si trova una strada curva – in mezzo a tale strada si pianti un termine”.

Sappiamo dunque che si trattava del Santuario di Ercole, che l’edificio si trovava al confine tra le due città e che i magistrati designati alla contrattazione furono Maio Vestricio, per Avella, e Maio Lucceio Puclato, per Nola. Purtroppo nessuno scavo archeologico ha riportato sino ad oggi alla luce il santuario ma doveva essere un luogo imponente dato che si discute degli appezzamenti confinanti e delle strade che lo attraversano.

Il culto d’Ercole nell’Italia del Sud è complesso, dai tratti eterogenei, anzitutto pastorale. La figura di Ercole segue gli itinerari della transumanza, a lui si affidano i pastori per proteggere o ritrovare le greggi, ma sotto il suo sguardo si sanciscono anche accordi commerciali ed i fanciulli vengono iniziati alla società. Tutto si fonda sul carattere agro-pastorale del mito delle “dodici fatiche”. In quegli episodi si inseriscono il lavaggio delle stalle del re Augia, tra l’altro deviando le acque di due fiumi, e soprattutto il furto dei buoi di Gerione portati, dall’Iberia in Grecia, attraversando l’Italia, subendo a sua volta furti e dovendo affrontare nuove prove di astuzia e forza. Così Ercole è il dio dei pastores, presiede agli accordi e, protagonista per eccellenza di una “iniziazione”, sovraintende alle cerimonie di transizione dei paides all’età adulta.

Il santuario non era dunque solo un luogo di culto ma anche un luogo di commercio come tutti i santuari eraclei in Italia; è per questo che si trovava fuori dalle due città come luogo in qualche modo neutrale.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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