Quattro passi ad Avella

Avella sorge nel cuore di una grande conca dell’Appennino Campano dominata dai massicci montuosi dei Picentini.La città ebbe un passato illustre, fu calcidese, etrusca, sannita, romana; fu saccheggiata da Spartaco poi dai Goti di Alarico nel 410 d.C. ed ancora da Genserico nel 455 d.C., dai Saraceni nell’884 e dagli Ungari nell’anno mille; vide i natali di Papa Silverio, che morì di fame nel 538 sull’isola di Ponza; battè pure moneta nel Quattrocento, sotto il conte Nicola Janvilla: un tornese di rame avente al dritto una croce patente ed al rovescio la sagoma del castello con la dicitura DE AVELLE DO 12.

Superstiti di una ininterrotta vicenda edilizia che ha investito l’abitato inghiottendo basilica, teatro e curia, l’antica città aveva visto accorrere i veterani romani di Silla prima e di Vespasiano poi. Una folta collezione di epigrafi, in onore degli anonimi Numerio Marcio Pletroio, Numerio Pettio Rufino e Numerio Pletorio Onirio, lasciano riecheggiare queste storie nella piazza.

Poi si incontra l’anfiteatro e, di botto, sembra essere ritornati a quei lontani tempi.

L’edificio ha pressappoco le dimensioni di quello di Pompei sebbene la città fosse la metà di quella sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C.. E’ in opus reticulatum di tufo e fungeva da sede per i giochi gladiatori, per la caccia alle fiere, e alcune volte per le naumachie. La cavea poggia su solide strutture a volta, l’arena è depressa rispetto al piano esterno di calpestio, i vomitori sono liberi e parzialmente ristrutturati.

All’angolo opposto della città, quattro sepolcreti, solidamente costruiti con la sovrapposizione del cilindro al dado secondo il gusto augusteo largamente diffuso nella Campania felix e riprodotto nella Conocchia di Curti. I mausolei probabilmente si elevano in una zona totalmente dedicata al culto dei morti, non lontano, infatti, si possono individuare altri sepolcri riutilizzati dai contadini da secoli.

Imponente al loro cospetto è il Castello, vigile e silenziosa presenza su un promontorio usato dai pastori per il pascolo. Qui fu rinvenuto il Cippo Avellano.

Avella fu originariamente un insediamento del popolo osco, subì la dominazione etrusca e poi da quella sannitica. Fu infine distrutta dalle truppe di Silla, ma c’è una storia più recente da raccontare, ed è quella longobarda. Eretto nel VII secolo questo edificio ha una mole modesta ma una enorme cinta muraria, ampliata dai normanni ed in gran parte sopravvissuta.

Colpisce la torre cilindrica saldata al donjon. Sembra guardare le altre dieci piccole torri della cinta. Ai suoi piedi si ha la chiara percezione di quanto fosse strategicamente importante questo castello: a ovest si poteva controllare l’intera piana campana fino al golfo di Napoli, la cui vista era sbarrata dal solo Vesuvio; a est invece era possibile far da guardia alla vallata fino al valico di confine con il territorio irpino.

Resti di una cisterna, di una stalla e di una chiesa sono presenti nella parte più alta della collina, ma recenti scavi hanno individuato anche qualcosa di particolare come una ulteriore incisione in osco. Ma soprattutto la “Triplice Cinta”. Elemento frequente in ambito religioso ma anche in luoghi ove la presenza templare è particolarmente evidente, questa rappresentazione di tre quadrati concentrici con quattro linee che convergono verso il centro starebbe a significare i tre gradi di iniziazione templare.

Fu sede dei Baroni di Avella, appartenenti alla dinastia dei Normanni, dei Del Balzo, degli Orsini, Colonna, Spinelli e infine dei Doria del Carretto, che lo tennero fino al 1806.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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