Pompei ed i profumi nell’antica Roma

Tra i principali centri della cosmesi antica c’erano le città campane, anche Pompei.

Il profumo trova le sue lontane origini presso gli antichi egizi. Furono loro i primi ad estrarre con successo aromi naturali da fiori e piante adatti ad essere usati per la cosmesi. I greci adottarono questaenovità e ne migliorarono le tecniche di produzione trasmettendo poi il loro sapere ai romani.

Nelle città dell’Impero le persone usavano quotidianamente profumi, i loro vestiti erano carichi di aromi ed anche palazzi e teatri erano profumati. Si narra pure che Nerone, durante i suoi copiosi banchetti, ordinò che fosse versato del profumò sulle ali dei piccioni in modo che, una volta liberati, lasciassero il loro aroma in tutte le stanze. Anche sua moglie Poppea usava bagnarsi con latte d’asina aromatizzato con melissa e lavanda. I profumi si usavano nelle nelle cerimonie religiose, specialmente nei matrimoni, nelle celebrazioni militari. Era dunque davvero molto importanti.

Le prime importazioni di profumi coinvolsero le città greche poi furono le città italiane, quelle di Capua, Napoli e Pompei soprattutto, ad ergersi come grandi centri di produzione e commercializzazione degli unguenti. La Campania, con i suoi giardini di rose e l’olio per fissare i profumi era una mecca degli estratti, un’ antenata della filiera, con i vetri per le bottigliette prodotti nell’ area del Volturno.

I profumi usati dai romani erano divisi in tre categorie: solidi (polvere o pillole), unguenti profumati (come la rosa o la mela) e unguenti liquidi (a base di olio d’oliva). Gli aromi preferiti dei romani venivano dai fiori (narciso, gelsomino, giglio, giglio e violetta), ma utilizzavano anche olii estratti da sostanze come il sandalo. Secondo il libro XIII della Naturalis Historia di Plinio, i profumi più in voga erano “quello costituito da olio di mirto, da calamo aromatico, cipresso, henna, lentisco e corteccia di melagrana. Ma io sarei incline a credere che i profumi più diffusi siano quelli estratti dalla rosa, che cresce ovunque in abbondanza. Questo è il motivo per cui fu per lungo tempo semplicissima la ricetta del rodino, che richiede aggiunte di agresto, petali di rosa, olio di zafferano, cinabro, calamo aromatico, miele, giunco profumato, fiore di sale o ancusa, vino”.

Pompei è la sola area archeologica del Mediterraneo in cui si sono trovate tracce di botteghe di profumi.

A Pompei sono stati esaminati circa 1200 balsamari e unguentari in vetro, di cui solo 150 conservano residui. Quì, la Casa del Profumiere ha presentato in diverse occasioni al visitatore profumi e cosmetici prodotti con le tecniche di duemila anni fa studiate dagli archeologi.

Già a partire dal 1750, quando furono iniziati gli scavi, furono reperite numerosissime testimonianze circa l’uso e la fabbricazione dei profumi nell’antica città vesuviana, quali unguentari e balsamari e alcuni cicli pittorici, che illustrano le diverse fasi di preparazione come nella Casa dei Vettii.

Procedendo dalla destra di chi guarda verso sinistra si vedono due putti che pestano delle olive in un torchio mentre alla loro sinistra una ninfa mescola una miscela da macerare contenuta in un pentolone posto su un fuoco. Si vedono poi due putti che mescolano la miscela aggiunta dell’olio di oliva in un grande recipiente e a sinistra un putto, con alle spalle una vetrina piena di contenitori per profumi, con in mano un’ampolla, una bilancia e un rotolo di papiro. Infine una cliente prova sul polso il profumo versatole da un putto mentre un altro glielo spande con una spatola.

Svetonio sosteneva che le taberne ungaruentaria erano luoghi di incontro per vagabondi, libertini e imbroglioni, ed in effetti molte unguentarie erano legate ai bordelli. Molti antichi moralisti si presentarono come violenti fustigatori di costumi scagliandosi anche contro l’ usanza di profumarsi, ma fu inutile.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto di copertina gentilmente concessa da Alfredo Scardone del Gruppo Storico Oplontino

 

 

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