Torino nell’Alto Medioevo

Alla caduta dell’Impero Romano fame, pestilenze e guerre travolsero l’antica Augusta Taurinorum. Si provò a respingere Alarico, Ataulfo, Radagaiso, e poi i borgognoni, discesi in Italia come alleati di Odoacre, ma le invasioni barbariche erano come un fiume difficile da contenere. Le campagne furono raziate, la città attaccata, devastata e distrutta, i suoi abitanti più volte fatti prigionieri. Per salvare i prigionieri nelle mani di Gandobado, re dei borgognoni, Teodrico volle che il Vescovo di Pavia, Santo Epifanio, e quello di Torino, San Vittore, affrontassero un pericoloso viaggio oltrealpe. Furono abili i due nel persuadere Gandobado a restituire tutti i prigionieri, più di diecimila. Così si aprì per Torino il Medioevo.

Il Torinese doveva apparire una landa desolata, con templi ed edifici imperiale ormai in rovina. Numerose iscrizioni, pievi, cappelle, chiese e battisteri suggeriscono che al crollo dell’autorità imperiale seguì una fase di radicamento del cristianesimo guidata dal vescovo Massimo II. Non si hanno in realtà notizie sulla colonizzazione gota e Torino è solo ricordata per due suoi vescovi, Tigridio, che prese parte ai sinodi romani del 501 e 502 dello scisma simmachiano, e Rufo che, tramanda la leggenda, si oppose al trasferimento in città, da Moriana, delle reliquie di San Giovanni Battista e, quando l’arcidiacono disubbidendogli tentò di sottrarle, fu colpito da una malattia improvvisa e morì nel giro di tre giorni.

Nel 569 d. C., negli anni del vescovo Ursicino, furono i longobardi a conquistare Torino ed i franchi furono costretti a spostare il confine ad Avigliana. Iniziò allora per Torino il dominio ducale.

Di quattro duchi longobardi torinesi, due furono pure re. Il primo fu Agilulfo che, alla morte di re Autari, ne sposò la moglie Teodolinda, abbandonando l’arianesimo, e dai due nacque Adaloaldo, il duca successore. Ad essi si deve la costruzione della Chiesa di San Giovanni Battista, elevata poi a cattedrale e rimasta tale sino al 1505; i duchi inoltre adattarono a proprio palazzo gli edifici esistenti nell’attuale Piazza IV Marzo, corrispondenti, forse, all’antica sede delle magistrature romane. Il terzo duca fu Arioaldo della stirpe dei Caupu, che spodestò Adaloaldo, a lui seguì una fase di continue lotte in cui la guida del ducato si intrecciò con il titolo regale. Si ricorda un duca Garibaldo, inviato a Benevento come messo da re Godeperto per chiedere soccorsi per sconfiggere suo fratello Pertarito. Garibaldo, però, tradì Godeperto, esortando il duca beneventano, Grimoaldo a scalzare i due fratelli e a insediarsi sul tronoe finì vittima di un attentato. Sul trono d’Italia qualche anno dopo si inesdiò ancora un duca di Torino, Ragimperto, il figlio di Godeperto, che riuscì a battere il contendente Liutperto nella Battaglia di Novara. Ultimo duca di Torino a portare il titolo di re fu Ariberto II che governo per nove anni, fino alla sconfitta subita da parte di Liutprando intorno al 710, sotto le mura di Pavia. Quella battaglia in verità non vide un chiaro vincitore ma Ariberto, dinanzi all’ostilità dei generali che lo ritenevano un vile, tentò la fuga nelle acque del Ticino, morendo annegato.

Questo periodo intenso di lotte fraticide e guerre spinse Torino in una fase di torpore e buio che perdurò anche quando le porte della città, nel 774, si aprirono a Carlo Magno. I franchi già nel 754 avevano provato a irrompere nella valle, ma le schiere longobarde erano riuscite a respingerli. Così pure nel 756, ma vent’anni dopo ciò risultò impossibile. Carlo Magno discese per il valico del Cenisio mentre suo zio, Bernardo, procedeva con un altro esercito dal Gran San Bernardo. Non servirono le chiuse di Avigliana nè quelle di Bard. Il re dei franchi insediò nella città i suoi rappresentati comitali, rendendo, di fatto, Torino una contea franca. Gli succedettero i re carolingi affiancandosi a conti di cui si hanno scarne notizie.

La figura più interessante di questo periodo è il Vescovo Claudio, originario della marca spagnola e dscepolo di Felice d’Urgel. Protetto da Ludovico il Pio, il vescovo portò avanti una linea iconoclasta. Così raccontò: “…quando venni in Italia, nella città di Torino, trovai tutte le basiliche piene delle brutture degli anatemi e di immagini contro l’ordine della verità e poichè io solo cominciai a distruggere ciò che tutti riverivano, tutti aprirono contro di me le loro bocche per bestemmiarmi e se Dio non m’avesse aiutato mi avrebbero inghiottito vivo”. Claudio distrusse dunque le reliquie, le immagini sacre, le croci, ed un grande patrimonio artistico andò per sempre in frantumi mentre la popolazione provò ad opporsi ottenendo, solo nell’825, che il culto delle immagini fosse approvato.

Con l’inizio del X secolo e la scomparsa dell’impero di Carlo Magno, si fecero strada in Piemonte i saraceni. Sbarcati sulle coste farncesi, raggiunsero le Alpi occidentali e si impadronirono dei più importanti valichi alpini compiendo rapine e scorribande. La campagna torinese sprofondò nella povertà, i terreni erano incolti, le case abbandonate, si trascurò agricoltura e allevamento. Nel 905 i saraceni raggiunsero Aqui e vi ritornarono nel 936, le abbazie di Pedona e Oulx finirono in rovina, i monaci di Novalesa si rifugiarono a Torino con i loro codici senza poter sapere che venti anni dopo, due saraceni li avrebbero bruciati dando fuoco alla Chiesa di Sant’Andrea. Audaci incursioni saracene si ebbero dunque anche a Torino, ma quando gli arabi giunsero a catturare l’abate di Cluny, San Maiolo, i feudatari d’Italia e Francia si decisero a debellare la minaccia. Un corpo di spedizione guidato dal marchese Arduino il Glabro, capo della Marca di Torino, annientò i saraceni nella Val di Susa. Nello stesso periodo la lotta per la corona d’Italia fece emergere nuovi protagonisti, condottieri come Berengario del Friuli, Guido, duca di Spoleto, Rodolfo di Borgogna ed Ugo di Provenza. Fu proprio questi ad istituire la Marca di Torino, ascrivendole anche i comitati di Asti, Alba, Albenga e Ventimiglia ed affidandoli ad Arduino il Glabro.

Il principale marchese della dinastia arduinica fu Olderico Manfredi II, nipote del Glabro, che gestì la marca nel momento di maggior potenza ed estensione territoriale. Fu sua figlia, Adelaide di Susa, vedova di Ermanno di Svevia, nipote dell’imperatore Corrado II, che, sposando Oddone di Savoia, assicurò il dominio sulla regione ai Savoia.

Pietro I e Amedeo II, figli di Oddone, morirono in giovinezza e fu allora Adelaide a tenere le redini dello stato. Fu una donna attenta alle responsabilità del potere politico e fu grande amica della contessa Matilde di Canossa, forse simile a lei per carattere. Tuttavia era già avanti nell’età e dovette affrettarsi a scegliere un giusto successore. Sostenne il cugino Federico di Montbelliard e morì lasciando la regione in guerra perchè pochi riconobbero quella successione. Il territorio torinese fu così logorato sia dalle pretese ereditarie di Federico e dei conti di Albon, sia dagli Aleramici di Bonifacio del Vasto e dal controllo di Enrico IV del Sacro Romano Impero. Quando Umberto II, figlio di Amedeo II, prese pieno titolo sul territorio, riuscì a difenderlo e a passare il dominio al figlio Amedeo III di Savoia, detto il “Crociato”. Torino in quegli anni non era altro che un piccolo centro agricolo di poco più di tremila abitanti ma Amedeo non vi rinunciò, sfidando Luigi VI, re di Francia, scacciato, inseguito e poi ancora padrone della città.

In questo periodo l’organizzazione urbanistica di Torino continuò a riflettere quella antica. I quattro quartieri detti di Porta Palatina, Porta Susina, Porta Marmorea e Porta di Po o Fibellona, rappresentano infatti una ripartizione risalente all’epoca romana. I marchesi alloggiarono nel Castello di Porta Susina, Adelaide spesso soggiornò a Susa, nel castello della Porta di Francia. Grandi lavori rifecero il duomo e la chiesa del Salvatore. Il vescovo Gezone, fuori città, lì dove erano le rovine di una chiesa dedicata ai martiri Solutore, Avventore e Ottavio, fondò una grande abbazia cui assegnò come dote la corte di Sangano, il castello di Mucuriase, terre in Carignano e Borgaro, le decime di Stoerda e di Calpice e muli sulla Dora. Negli stessi anni, Guglielmo di Volpiano, il grande abate di San Benigno di Dijon, fondò l’abbazia di Fruttuaria.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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