La resa di Brescia

Al riaccendersi delle ostilità nel marzo del 1849, alcune città lombarde avevano ripreso le armi contro gli austriaci, e prima di tutte Brescia. Il 23 marzo i suoi abitanti si sollevarono, assediarono gli austriaci nel castello e combatterono strenuamente in quelle che furono chiamate Dieci giornate di Brescia. Per dieci giorni, sino al 1° aprile, i bresciani, benché sottoposti ad un violento bombardamento, si batterono eroicamente, animati dall’entusiasmo del giovane studente Tito Speri, ma alla fine, sopraffatti dal numero maggiore di nemici, furono costretti ad arrendersi. Per la sua resistenza la città merità il titolo di Leonessa d’Italia, mentre il generale Haynau, che comandava le truppe austriache, si guadagnava l’epiteto vergognoso di Iena di Brescia. Il brano che segue è tratto da G. C. Abba, Ricordi e meditazioni.

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Invano il dì 29 giunse al comitato di difesa la notizia della rotta piemontese a Novara; il Comitato volle continuare a non credere e la propria certezza trasfuse nel popolo con un proclama, che, a leggerlo oggi, non per cosa da creder vera. Così il 29 e il 30 di marzo si continuò a combattere. Ma il 31 si capì che qualche cosa di nuovo doveva essere avvenuto tra gli austriaci.

Ora salivano da fuori varie porte, e dal Castello, che per molte viuzze che scendono, tentavano rompere, e venir nel cuore della città.

Era tornato Haynau! Il maresciallo nella notte dal 30 al 31 era potuto entrare nel Castello dalla porta di soccorso fuori le mura, e aveva pigliato a dirigere le offese lui, lui che pareva nato per dannarsi nel sangue.

Egli il 31 dominò la resa a discrezione per le 2 pomeridiane. Ma alle 2 pomeridiane gli rispondeva la campana a stormo da tutta la città.

Onde la sua furia. E per tutto il resto del 31 sangue a Torrelunga, sangue dentro e fuori le porte; e poi il 1° aprile stragi, e mucchi di cadaveri, diciassette di qua, venti di la, quarantadue più in la; arso quasi tutto il quartiere di quella parte; assalti all’altre porte, Sant’Alessandro e San Nazzaro; e dentro, sino a mezza la città, morti, morti, morti. Quattrocento austriaci perdettero la vita in quel giorno che era la domenica delle Palme, ma era nulla ormai per Haynau, che sapeva vicine le colonne reduci da Novara: la vittoria sarebbe stata presto per lui. Quel giorno il Comitato di difesa capì al fine che non c’era da illudersi, né da illudere; e si sciolse.

Allora il Municipio mandò ad Haynau il Provinciale dei Minori Osservanti ad offrir la resa. Alle undici antimeridiane quel frate che si chiamava Padre Maurizio Malvestiti, col suo fratello Padre Ilario da Milano, preceduti da un Signor Marchesini che portava la bandiera bianca, passarono tra i combattenti concittadini e gli austriaci per le viuzze che menano al Castello. E lassù si presentarono al terribile uomo. Questi fu durissimo. Voleva cose crudeli: tutti in sua mano i capi dei combattenti, chiuse le porte della città, che nessuno potesse fuggire; e ostaggi ed altro.

E come il frate contendeva, egli, dalle finestre di lassù, egli mostrava non lontano un polverone sulla via tra Rovato e Brescia. In quel polverone come in una nuvola tempestosa, si vedevano balenare le baionette. Presto dunque la città sarebbe stata presa d’assalto, e che cosa sia una soldatesca in simili casi, si sa. Chi non sarebbe uomo da torcere un capello ad un suo simile, uccide, incendia, sfoga la bestia che ha in se, delinque, e si sente acclamato.

La resa fu fatta. Ahi povera Brescia! Il giorno appresso cominciarono le stragi a sangue freddo. Dal due al cinque, ad arbitrio, senza riguardi, furono fucilati in Castello e sugli spalti ben cento bresciani, popolani quasi tutti. Giù nella città la gente udiva gli spari, s’arrestava nelle vie, si scopriva, s’inginocchiava, come per salutar le anime dei morti lassù. Lo dicono quei che vivevano allora; e ciò è grande. Dal cinque si continuò a fucilare, ma con qualche cura di far parere che tutto fosse fatto con piena giustizia. Così si vendicarono i 1504 soldati che Haynau confessò d’aver perduti, nelle dieci giornate; tra le quali un generale, due colonnelli, un maggiore, quattro capitani, trentadue tenenti.

 

 

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