Porta Tosa e la fuga del Radetzky
Il 22 marzo 1848 i cittadini di Milano presero Porta Tosa, oggi ribattezzata Porta della Vittoria. Nella notte Radetzky scrisse: “Devo evacuare Milano, questa è la più triste ora della mia vita! Tutto il paese è in rivolta, sono minacciato alle spalle dal Piemonte”.
Un giorno dopo Venezia, si sollevò pure Milano. Una gran folla, al seguito del podestà Casati, aveva fatto irruzione al Palazzo del Governo e strappato al vicegovernatore O’ Donnel la concessione di una guardia civica. Bastò poco però per aprire gli scontri. La lotta degli insorti durò accanita per cinque giorni. Il 22 marzo del 1848 la città era libera.
Il 19 marzo barricate sbarrarono le vie milanesi. Ogni tipo di materiale andava bene. A Porta Romana furono usate le carrozze di corte, a Porta Nuova gli insorti utilizzarono le sedie del Teatro della Scala, a Porta Orientale invece la barricata fu rafforzata con un pianoforte a coda. Radetsky nel suo rapportò annotò: “Non cento, ma mille sono le barricate che chiudono le vie… Il popolo è preso da fanatismo, giovani e vecchi, donne e fanciulli combattono contro i nostri soldati”. Due giorni dopo un consiglio di guerra animato da Giulio Terzaghi, Giorgio Clerici, Carlo Cattaneo ed Enrico Cernuschi, guidò la conquista del Palazzo del Genio.
Il nemico era già stato snidato da Porta Nuova, da San Fedele, da Piazza della Scala, dagli spalti del Duomo. I milanesi dovevano respingerlo verso la cerchia dei Navigli, poi verso i Bastioni. Avrebbero dovuto sottrargli il controllo delle porte e collegarsi agli insorti della provincia. Il problema però restava la resistenza fiera degli austriaci all’interno di Milano, a Palazzo del Genio. Fu l’iniziativa di un popolano, il calzolaio Pasquale Sottocorno, ad essere decisiva. Sottocorno, saltellando fra gli spari ,raggiunse il portone, lo cosparse d’acqua ragia, lo indenciò. Diede fuoco pure alle stalle. Gli insorti poterò così prendere possesso del palazzo e costringere gli austriaci alla resta. Il 22 i patrioti attaccarono l’ultima linea della resistenza austriaca, quella dei Bastioni.
A Porta Tosa li guidava Luciano Manara. Avanzarono dietro barrricate mobili, si avvicinarono alla porta, la dettero alle fiamme, la conquistarono. L’indomani sarebbe stato il giorno dell’assalto al castello.Scrive Italo Raulich: “Nel quarto giorno di lotta la vittoria degli insorti parve sicura, perché il Radetzky propose una tregua, che non fu accettata, e per l’eroismo di un vecchio popolano, Pasquale Sottocorno, e del Nizzardo Augusto Anfossi, fu conquistata la caserma del genio, cosicché, respinti dal centro, gli austriaci furono costretti a ritirarsi verso i bastioni, dove continuarono ad essere assaliti, mentre fuori dalle mura centinaia di campagnoli armati tentavano invano di venire in aiuto dell’insurrezione. Nell’ultimo giorno di battaglia l’episodio più glorioso fu la conquista di Porta Tosa (22 marzo). Benché difesa da più di mille uomini e da sei pezzi d’artiglieria, essa fu assalita con valore dagli insorti, tra cui bello e ardito appariva tra i primi Luciano Manara, che, in quei giorni, delle frivolezze e degli agi voluttuosi della vita elegante era passato improvvisamente alla lotta con l’energia di un eroe. La porta fu presa, e un giovanetto falegname, Paolo Pirovano, che era stato il primo a superar la barriera, richiesto quale ricompensa volesse in premio del suo valore, rispose: – Essere ammesso nella guardia civica!. La conquista di Porta Tosa, fu detta poi Porta Vittoria, coronò di gloria la vittoria de’ Milanesi: il Radetzky impotente a proseguir la battaglia, si affrettò alla ritirata, tanto più perché temeva l’essere assalito dall’esercito piemontese, il quale appunto allora si preparava a passare il Ticino”.
Gli austriaci erano ora in fuga. Si dettero nel Quadrilatero, in Veneto: “Nelle tenebre della notte adunque, mentre le campane suonavano senza posa e il fragor delle fucilate continuava sui bastioni della città, il maresciallo austriaco usciva con tutti i suoi da Porta Tosa prendeva la via di Lodi, senza che alcun più osasse assalirlo e s’andava a chiudere in Verona, in attesa della rivincita. Così il dì seguente (23 marzo) tutta Milano seppe meravigliata e lieta, la grande novella, e si riversò per le vie a respirar finalmente con ineffabile voluttà la sua vittoria e la sua liberazione. Ma quali segni della fiera lotta e della ferocia austriaca! Al Radetzky la battaglia era costata quattromila uomini e gli insorti lamentavano trecentocinquanta morti e seicento feriti; ma le crudeltà dei venti resero assai più dolorose le perdite dei vincitori. Bambini infilzati sulle baionette, donne e fanciulle mutilate, cittadini arsi vivi o scannati; la rabbia dei suoi soldati coprì di vergogna il nome dell’Austria, la generosità verso i vinti rese più numerosa la vittoria degli insorti. E alla vittoria sarebbero stati anche serbati prodigiosi effetti, se tutte le altre città di Lombardia avessero seguito l’esempio della metropoli, e se gli stessi vincitori non si fossero poi adagiati sui loro allori, credendo che l’impresa della liberazione fosse compiuta e che tuttalpiù all’accorrente esercito piemontese si potesse lasciar l’onore di dare al nemico il colpo di grazie”.
Tutta la città era stata protagonista di quell’incredibile successo. La storia ricorda ancora il coraggio dei Martinitt, gli alunni dell’orfanotrofio che “andavano e venivano” come piccoli, coraggiosi messaggeri. Furono loro a consentire le comunicazioni tra i combattenti sparsi nei vari punti della città. Altri giovanissimi non furono da meno sulle barricate. Accovacciati dietro le barricate, mettevano qualche gatto a bersaglio del nemico, e più spesso inalberavano sopra manichi di scopa cappelli alla calabrese, che gli austriaci si affrettavano a colpir furiosamente.
Autore articolo: Angelo D’Ambra