Le fortificazioni del Ducato di Amalfi

Il ducato di Amalfi estendeva i suoi confini su quella zona costiera campana compresa tra i territori del ducato di Sorrento, ad occidente, e quelli del principato di Salerno, ad oriente. Copriva cioè il lembo di terra che, partendo da Cetara, contava Maioiri e Minori, Atrani, Vettica, Conca, Praiano e Positano, le isole di Capri e dei Galli, i centri di Agerola, Scala, Ravello, Tramonti, Lettere, Gragnano ed i borghi di Pimonte e Pino. Così il piano difensivo del ducato si avvantaggiò della protezione naturale dei monti. Via terra una invasione poteva avvenire solo per il valico di Chiunzi, dalla piana del Sarno attraverso i Monti Lattari. A protezione di quest’accesso fu eretto il castello di Tramonti e quelli di Lettere, Gragnano, Pimonte e Pino, mentre più complesso risultò garantire la difesa dalle incursioni di pisani. genovesi e siciliani. Fu così costruito, a più riprese, un complesso di fortificazioni oggi scomparso.

Al centro di tutto lo schieramento difensivo del ducato c’erano ovviamente le opere di Amalfi cioè il castello di Pogerola, il fortilizio di Santa Sofia, la rocca di San Felice e la cinta muraria talmente solida e ben tenuta che gli amalfitani potettero resistere a lungo agli assalti normanni. Costoro espugnarono il castello di Tramonti, occuparono Ravello, Scala e Pino, ma solo il congiunto apporto di un esercito di terra e della flotta di Giorgio di Antiochia sancì la fine d’Amalfi, dopo un anno di resistenze.

L’invasione normanna e la fine dell’autonomia del ducato non decretò però la fine della funzione difensiva dei castelli dell’area. Tutte le fortificazioni però  acquisirono una nuova vita e piena efficienza nel periodo angioino: settori come quello di Positano non ebbero fortificazioni sino agli anni dello scontro tra Carlo d’Angiò e Corradino di Svevia, quando, pisani e genovesi, col pretesto di appoggiare quest’ultimo, attuarono una serie di scorrerie nel ducato; negli anni della Guerra del Vespro – quando, proprio la costiera amalfitana, fu teatro di una delle fasi del conflitto – il Conte d’Artois, balio del regno, fece ricostruire e meglio munire sia Pogerola che Scala, Ravello e Maiori; infine, una nuova età di ristrutturazioni e riattamenti dei castelli amalfitani si ebbe in seguito alle lotte tra angioini e durazzeschi. Re Ladislao infeudò il ducato a Venceslao Sanseverino, duca di Venosa e conte di Tricarico e Chiaromonte, ma quando questi si ribellò alla corona, il ducato tornò a far parte del regio demanio.

Del periodo angioino, oggi resta un elemento di notevole fascino paesaggistico: la Torre dello Ziro. Cilindrica, a base scarpata, con un’apertura rialzata a cui si accedeva mediante corde, questa torre era pure protetta da mure merlate che seguivano l’irregolare andamento dell’impervio terreno. Di tutte le restanti fortificazioni citate, non restano che ruderi, troppo è andato distrutto e ciò che sopravvive è in stato di abbandono. Ravello era in possesso di due castelli, quello di Fratta e quello di Montalto, ma essi sono scomparsi. La sola Villa Rufolo serba qualche lntano ricordo di casa fortificata con le sue due torri quadrate.

Finita la dominazione angioina, a partire dal 1460 del ducato fu investito Raimondo del Balzo Orsini, conte di Nola e Sarno. Il dominio passò poi ai Piccolomini, ad eccezione di Gragnano, Pimonte e Positano infeudate a Giovanni Miroballo. Con gli spagnoli solo alcune torri furono ancora usate con funzione di avvistamento contro le incursioni corsare.

Quasi un discorso a parte meritano le opere fortificate delle isole, sempre soggette alla furia dei corsari musulmani.Gli amalfitani, fortificando Capri, volevano controllare l’intero tratto di mare ad occidente del proprio territorio e contrastare le incrusioni dei saraceni. Innalzarono così il castello del Castiglione, un imponente cinta muraria ed altre opere difensive, tra cui ricordiamo la Torre dell’orologio, ma ciò, più di un secolo dopo, non fu giudicato sufficiente da Federico II che, ad Anacapri, volle un nuovo baluardo. Le razzie dei corsari erano l’incubo delle popolazioni isolane e allora, negli anni di Roberto d’Angiò, i monaci della Certosa di San Giacomo eressero la Torre Materita, mentre tre torri sulle tre piccole isole dei Galli furono finanziate da Pasquale Celentano di Positano, affinché impedissero l’approdo ai corsari. Non andò come sperato e nel Cinquecento fortilizio e certosa di Anacapri furono saccheggiate dal Barbarossa.

Dei castelli posti a difesa della’ccesso sul valico dei Monti Lattari, il primo ad essere costruito fu quello di Pino. In posizione più elevata rispetto a quelli di Gragnano e Pimonte, fu voluto dal doge Mastalo I nel 940 e, a lungo, rappresentò il più sicuro baluardo settentrionale per Amalfi, abbandonato solo a seguito della distruzione del borgo effettuata dagli aragonesi nel XVI secolo. Maggior interesse riveste il castello di Lettere, costruito quando gli amalfitani capirono che una catena di monti non si difende occupandone solo la line adi cresta ma possedendone entrambi i versanti. Fu così che, ai tre castelli posti a sbarramento della strada, si affiancò, su un rialzo naturale del terreno, questo nuovo castello. Anche gli angioini lo ritennero efficace per dominare la valle del Sarno. Le sue rovine mostrano ancora il gran torrione cilindrico orientato a nord-est, innestato su una’alta base scarpata. Risultato dell’unione tra la primitiva costruzione degli amalfitani ed i rifacimenti angioini, si nota la merlatura nella cortina che fiancheggia il mastio, una torre priva di base a scarpa ed un terzo torrione, evidentemente d’età angioina, dal corpo cilindrico con la cornice torica di mediazione tra esso e la base scarpata innestata su un perimetro poligonale.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: L. Santoro, I castelli del ducato amalfitano

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