Le marce della morte

Trasferimenti a piedi per lunghe distanze cominciarono per gli ebrei già negli ultimi mesi del 1939 e si conclusero solo un paio di giorni dopo la fine ufficiale della guerra. Erano le cosiddette “marce della morte”, anch’esse parte del piano di sterminio di Hitler. Si intensificarono nell’inverno del 1944-45. In quel periodo migliaia di ebrei, prigionieri di guerra ed omosessuali rinchiusi nei campi di concentramento polacchi furono messi in cammino prima che sopraggiungessero le forze sovietiche.

Le intenzioni di Hitler d’eliminare gli ebrei furono sempre chiare, anche prima dell’ascesa al potere, ma l’evoluzione delle sue intenzioni immediate e delle misure pratiche adottate non fu lineare né coerente. Eliminare gli ebrei da ogni aspetto della vita sociale tedesca, azzerare la loro presunta capacità di danneggiare la Germania, era un piano vincolato da alcune limitiazioni ed altri obiettivi. I nazisti avevano preso il potere in una Germania in piena depressione e bisognò essere pragmatici, così, soprattutto nei primi anni di governo, Hitler dovette adattarsi a soluzioni di compromesso. Le misure intraprese trasformavano gli ebrei in esseri “morti per la società”, da dominare con la violenza, esseri disonorati da tutti tenuti lontano dalla società, dal contatto fisico coi tedeschi. Aggressioni verbali e fisiche, provvedimenti giuridici e amministrativi, emigrazioni fortazte, deportazioni forzate, ghettizzazione, morte per fame, malattia e debilitazione, lavoro in condizioni schiavistiche, anticiparono il genocidio. L’avvio del programma di sterminio sistematico sopraggiunse nell’estate del 1941, sino ad allora l’acutizzazione dell’antisemitismo era stata rappresentata dalle Leggi di Norimberga del settembre 1935 – che privavano gli ebrei della citadinanza, proibivano i loro matrimoni e precisavano criteri razziali per l’identificazione degli ebrei – e dalla Notte dei Cristalli, un vero e proprio pogrom su scala nazionale nella notte del 9-10 novembre 1938.

In questo piano d’eliminazione degli ebrei rientrano perfettamente le marce della morte. I prigionieri, già estenuati da mesi o anni di violenze e privazioni, vennero obbligati a marciare per decine di chilometri, nella neve, verso le stazioni ferroviarie; successivamente vennero caricati senza cibo o riparo su tradotte formate da carri bestiame aperti, stipati fino al limite della capienza. Una volta giunti a destinazione, spesso dopo interi giorni di viaggio esposti alle intemperie, alla fame e alla sete, vennero obbligati a marciare nuovamente per raggiungere i nuovi campi di destinazione; coloro che non riuscivano a seguire le colonne in marcia vennero brutalmente uccisi dalle guardie di scorta che seguivano la colonna, e che si occupavano di finire con un colpo in testa tutti i prigionieri moribondi o stremati dalla stanchezza, che si accasciavano durante la marcia.

Le marce si moltiplicarono quando gli eserciti nemici minacciarono i luoghi di detenzione degli ebrei. I tedeschi allora si videro costretti a scegliere fra il trasferire i detenuti ed il rilasciarli. L’Armata Rossa si avvicinava sempre più ai campi delle regioni occidentali sovietiche ed alla Polonia. Da Auschwtiz, da Gross-Rosen e da altri campi polacchi i detenuti sopravvissuti furono evacuati e avviati a piedi, nelle campagne gelate del gennaio 1945, verso nuove destinazioni temporaneamente furoi dalla portata degli Alleati. Circa 80.000 prigionieri furono obbligati ad una terribile marcia in direzione di Wodzislaw per poi essere caricati su treni trasporto merci ed inviati a destinazione. Circa 15.000 internati non sopravvissero e si abbandonarono lungo la strada, prontamente uccisi con un colpo alla nuca dai soldati della scorta.

Orribile fu la sorte delle detenute dei quattro sottocampi femminili di Gross-Rosen. In quello di Schlesiersee c’erano circa mille donne, in gran parte giovani ungheresi e polacche, e centocinquanta circa ne morirono durante la marcia che, per 100 chilometri, le condusse al sottocampo di Grunberg. Venti di esse morirono di fame e sfinimento, le altre 130 furono abbattute dai tedeschi. A Grunberg, un paio di giorni dopo il loro arrivo, il 29 gennaio, si rimisero in marcia con le altre detenute del campo – in maggioranza ebree dell’Alta Slesia. L’Armata Rossa avanzva ed il campo doveva essere evacuato rapidamente. I tedeschi le divisero in due gruppi, quello più consistente raggiunse Helmbrechts, un sottocampo di Flossenburg, in Alta Franconia, mentre l’altro puntò a nord di Hannover, verso Bergen-Belsen. Quest’ultima marcia durò addirittura un mese, quattrocento chilometri fatti a piedi. Non si sa esattamente quante sopravvissero. Dell’altra marcia, quella per Helmbrechts, si sa che durò cinque settimane e coprì circa 500 chilometri. Su 1100 donne solo 621 giunsero al campo. Tutte versavano in condizioni di salute disperate, affette da dissenteria e con gravi sintomi di congelamento. Dal campo di Helmbrechts, il 13 aprile del 1945, si rimisero in marcia. C’erano 580 prigioniere ebree e 590 non ebree, destinate ad un trattamento migliore rispetto alle ebree picchiate e lasciate con scarso cibo.

Il primo giorno i tedeschi fucilarono o picchiarono a morte 10 ebree. I tedeschi pestavano le ebree per qualsiasi motivo, e senza alcun motivo. Le picchiavano perchè erano ammalate, perchè erano lente, perchè chiedevano cibo. La denutrizione, la stanchezza ed il freddo non erano forse tormenti sufficienti. I nazisti appresero che l’esercito americano aveva liberato il campo e diressero la marcia verso la Cecoslovacchia, allora ancora occupata. Lasciarono le donne non ebree nel sottocampo di Zwodau e continuarono solo con le ebree. Quelle donne marciarono per altre due settimane. Oltre 270 di esse morirono picchiate, sparate o sfinite. Durante il viaggio un aereo americano attaccò i veicoli ed un gruppo di ebree provò a fuggire approfittando del fatto. Non ci riuscirono, erano troppo deboli e finirono sorvegliate da tre dei peggiori carneficii delle guardie del campo. Ne morirono 27 in due giorni. Il 6 maggio furono liberate a Volary, in Cecoslovacchia.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: D. J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler

 

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