L’Università di Torino
L’Università di Torino nacque nel 1404, quando il pontefice Benedetto XIII concesse a Ludovico di Savoia-Acaia la bolla papale di riconoscimento, seguita nel 1412 dal diploma dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo (necessaria in quanto, all’epoca, i Savoia erano vassalli del Sacro Romano Impero).
Alla nuova Università furono riconosciuti corsi di dottorato in teologia, in diritto canonico e civile, in medicina e arti liberali e l’autorizzazione a conferire i gradi accademici sia di licentia che di doctoratus, che più tardi confluiranno nel titolo unico della laurea. La funzione di proclamare i nuovi dottori competeva al vescovo, cancelliere dello Studio. Dopo che nel 1506, vi conseguì la laurea in teologia Erasmo da Rotterdam, per l’Università di Torino iniziò un periodo travagliato, che vide anche lo spostamento della sua sede a Chieri e Mondovì. Quando, dopo gli anni di dominazione francese, Emanuele Filiberto rientrò in possesso dei suoi domini, riportò lo Studium a Torino, e operò una prima riforma di esso basandosi sul modello dell’Università di Bologna, alla quale riforma seguì nel 1677 l’emanazione di nuovi regolamenti voluti da Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours.
Ma la riforma fondamentale fu quella voluta da Vittorio Amedeo II, che voleva garantire al suo regno un sistema scolastico d’eccellenza, che rivaleggiasse con le altre Università più prestigiose. A questo scopo, egli inviò nel 1711 Carlo Ricca, l’Archiatra di Corte, in visita presso l’Università di Oxford. Ma quando Vittorio Amedeo II venne in possesso della Sicilia, entrò in contatto con personalità come quelle dell’architetto Filippo Juvarra e del giurista ed erudito Francesco d’Aguirre, e le volle entrambe a Torino.
Mentre Juvarra veniva nominato “Primo Architetto Civile”, il marchese d’Aguirre fu incaricato di dare corpo alla riforma degli Studi, secondo la volontà del sovrano. E Francesco d’Aguirre attese a questo compito in modo esemplare, svincolando l’insegnamento dal monopolio gesuitico, e introducendo anche nuove discipline d’insegnamento, come la Storia e le Scienze Sperimentali. E’ rilevante notare che, quando Napoleone Bonaparte volle riformare la Sorbona di Parigi, si ispirò alla stessa riforma operata a Torino dal d’Aguirre.
L’Università di Torino conservava, nei suoi archivi accademici, una cospicua mole di documenti riguardanti la sua lunga storia accademica, ma purtroppo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fecero perire nei roghi conseguenti la maggior parte dell’archivio. L’Università di Torino sembrava così destinata all’oblìo del suo prezioso passato. Ma se oggi essa può essere orgogliosa di mostrare, tra i tesori del suo Archivio Accademico, la lettera originale con la quale (in data 6 Febbraio 1711) Vittorio Amedeo II ordinava all’Archiatra di Corte di recarsi ad Oxford, o l’editto originale con il quale Madama Reale (in data 25 marzo 1677) introduceva nuovi regolamenti nello Studium, tutto è avvenuto soltanto grazie al contributo di un mecenate, Marco Albera, che ha voluto offrire all’ateneo, a titolo gratuito, l’intera sua collezione, raccolta in più di quarant’anni di ricerche, affinchè essa fosse conservata per i posteri.
La cessione della “Collezione Albera” (così è stata denominata), è un evento culturale che ha arricchito l’archivio accademico dell’Università di oltre 4200 tra documenti manoscritti, stampe, manifesti e cimeli, dal ‘500 al 1968, nonché oltre 1300 antiche tesi di laurea del XVIII-XIX secolo, con rilegature di pregio. La nuova importante acquisizione dell’Ateneo, è stata illustrata, il 7 giugno 2018, dal Rettore Gianmaria Ajani e dallo stesso Marco Albera, con una conferenza di presentazione, svoltasi nell’aula magna del rettorato. Per celebrare questa importante acquisizione, una parte dei pezzi di essa sono stati allestiti in esposizione, raccolti in una mostra, aperta dall’8 al 29 giugno 2018 presso l’Archivio Storico del Rettorato. Tra i cimeli esposti, non poteva mancare la parte più curiosa, dedicata alla vita studentesca e all’associazionismo, che tanta parte ebbero nella vita culturale, ricreativa e sportiva della città, a cavallo tra Otto e Novecento.
Autore articolo: Paolo Benevelli