Arduino d’Ivrea contro Enrico II

Astuto quanto ambizioso, Arduino s’approfittò con celerità della dipartita d’Ottone III, radunò i suoi sodali della Marca d’Ivrea e si portò a Pavia facendosi incoronare re d’Italia. Era il 15 febbraio del 1002, lo affiancarono gli Aleramici, gli Obertenghi e tutti i marchesi cui l’Imperatore avva negato diritti, terre e franchigie. Guido dei Corti, Vescovo di Pavia, officiò la cerimonia, le insegne reali gli furono date da Ugo, abate di Sant’Ambrogio, in rappresentanza di Arnolfo, arcivescovo di Milano, in viaggio a Bisanzio. Improvvisamente il sogno di costruire un regno indipendente, svincolato dal Sacro Romano Impero, sembrava prendere vita, rafforzato da un intreccio di brame politiche di varia natura, non ultima l’aspirazione di Pavia a conquistarsi una sua centralità fuori dal giogo imperiale.

Una volta cinta la corona, però, Arduino non dette seguito ad un programma di riforme, aspettò, temporeggiò. Nel frattempo in Germania, tra i vari contendenti, trovò la meglio Enrico di Baviera, ventinovenne pronipote di Ottone I, e a lui corsero a chiedere aiuto i nemici di Arduino. Essi ottennero un esercito punitivo guidato da Ottone di Carinzia.

L’armata imperiale contava cinquecento cavalieri. Scese in Italia dal Brennero, ignara che Arduino era ben pronto a riceverla. Il nuovo re d’Italia provvide subito ad impadronirsi delle Chiuse dell’Adige e costrinse i germanici a muoversi verso Trento per la Valsugana discendeno verso Bassano e alla pianura del Brenta. Il Natale impose la tregua poi Ottone di Carinzia spedì la sua ambasciata intimando la resta ad Arduino ed al rigetto di questi si scatenò la battaglia. I due schieramenti vennero allo scontro presso Monte Ungarico. I teutonici furono sbaragliati, massacrati e messi alla fuga, lo stesso Ottone di Carinzia si dileguò. La vittoria fu netta e diede ad Arduino serenità, onore e soprattutto la possibilità di governare per due anni su nemici di punto in bianco svaniti. Il risultato ottenuto sul campo sarebbe stato assai più ampio se il re d’Italia ne avesse approfittato per ridurre il potere dei vescovi e smantellare quanto costruito dagli Ottoniani. Arduino esitò ancora, non agì, forse non aveva una completa percezione di ciò che urgesse fare, ma i suoi nemici sì e rinnovarono la loro richiesta d’aiuto all’Imperatore.

Enrico II non aveva molto tempo nè grandi risorse da investire nelle vicende italiane. Ben altri erano i suoi guai. Se Enrico di Schweinfurth, pretendente al Ducato di Baviera, era stato sconfitto, Bolesalo Chrobry, re di Polonia, gli dava ancora filo da torcere. La calata di Enrico II in Italia fu dunque forzata, malvoluta e dispendiosa e solo parzialmente fruttuosa. Seimila cavalieri riattraversarono le Alpi, mentre Arduino s’era acquartierato a Verona pensando di ripetere il successo di Monte Ungarico. Stavolta però le cose andarono diversamente: il suo esercitò si sfaldò, gli imperiali occuparono le Chiuse dell’Adige e calarono sulla pianura senza incontrare resistenza, senza che nessuna battaglia avesse luogo. Arduino, ritrovatosi senza alleati, trovò riparo nelle montagne del Canavese, finendo poi assediato nella Rocca di Sparone da armigeri assoldati da Leone, Vescovo di Vercelli.

L’avventura italiana di Enrico II però, iniziata bene, terminò male, anzi malissimo. L’Imperatore, ben accolto a Verona, Brescia e Bergamo, si ritrovò inaspettatamente aggredito da rivoltosi a Pavia. La città, insorse, circondando il palazzo in cui alloggiava. I suoi fedeli furono scherniti e fatto oggetto di violenze, suo cognato Giselberto trovò la morte. Pavia era stanca di dover pagare l’ennesimo pedaggio all’ennesimo esercito tedesco, una prospettiva che finalmente con Arduino era scomparsa. L’intervento dei soldati di Enrico II, rimasti fuori dalla città, fu brutale. Pavia fu saccheggiata. L’Imperatore la abbandonò ferito alla gamba, mentre ancora ardeva nelle fiamme. Deluso, stupito, arrabbiato certamente, se ne tornò in Germania mentre Arduino tornava in auge, dopo il fallito assedio di Rocca di Sparone.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Milani, Arduino e il Regno Italico

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