Il lavoro contadino di vecchi e bambini ad inizio Novecento

Analisi descrittiva del lavoro contadino di vecchi e bambini in Campania all’inizio del Novecento tratta da “Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia”, Roma 1909

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[…] Il bambino del lavoratore campano, sia mezzadro, colono, affittuario, o giornaliero, comincia già ai 6-7 anni di età ad attendere a qualche lavoro leggero, come diremo in appresso. Ad 11-12 anni, non di rado anche prima, comincia ad andare regolarmente a giornata e dai 15 ai 17 entra nella categoria degli adulti. Da allora in poi si può dire che l’opera sua continui ininterrotta, per quanto lo permettono la salute e le forze individuali, sino ai 60-65 anni e più oltre nelle regioni salubri, mentre nelle zone malariche finisce forse anche prima. Divenuto vecchio, lavora, finché gli reggono le forze, accontentandosi di minor mercede (un terzo circa in meno) ed attendendo ai lavori meno pesanti, abbandonando soprattutto la zappa, la vanga, la falce e la falciuola. Così trascinando la vita, tira avanti sino alla morte e, se diventa affatto invalido, lo sovviene la carità dei figli e dei congiunti, raramente costretta a tale sacrificio e di regola poi per tempo breve. Di cotesti vecchi se ne vede di quando in quando taluno sulle porte delle case di contadini nell’interno degli abitati, custodendole e guardando i piccoli nipoti, che i figli gli confidano. L’andare limosinando è eccezione ed infatti nella folla di mendicanti, che importunano il passeggero a Napoli e nei comuni vicini, non si riscontra quasi mai la mano callosa dell’antico zappatore né la persona rattrappita e curva, di chi ha trascorso la sua esistenza piegato quasi continuamente verso il terreno (Nota 1).
Bisogna poi tener sempre presente che in quasi tutta la regione la classe dei giornalieri ha un largo contributo da quella dei mezzadri e piccoli affìttuari ed anche dai minimi possidenti ed utilisti. Per conseguenza i vecchi trovano sempre modo di utilizzare l’opera loro sul fondo che coltiva la famiglia, in tutti quei piccoli lavori e leggeri affidati di solito a donne e ragazzi. Del resto al mantenimento del vecchio bastano poco pane, un piatto di legumi o pasta ed uno di verdura ogni giorno: un giaciglio in un angolo della camera è il suo letto; un vecchio abito tutte toppe, che porterà fino all’ultimo giorno, scarpe e cappello sdruciti costituiscono il suo vestiario. Per poco quindi che guadagni, il vecchio non riescirà mai passivo alla famiglia. Se per disgrazia poi fosse affetto da malattia grave, allora il genere di vita e di cibo a cui pur troppo è costretto,non gli consentirebbero di prolungare troppo a lungo l’incomodo alla sua famiglia. Può darsi tuttavia che il vecchio non ne abbia alcuna; questo però avviene molto di rado, perché in generale le famiglie sono sempre molto prolifiche ed il celibato assolutamente eccezionale. Allora per vecchi inabili di rado mancano parenti, nipoti, per esempio, che li tengano con sé, utilizzandoli per quanto possono. I pochi in tali condizioni e privi affatto di parenti e figli non hanno, come ben si comprende, altro rifugio che la mendicità e gli scarsi soccorsi della poverissima beneficenza locale. Anzi forse appunto per questo e perché negli stessi Comuni rurali più poveri, aventi l’agricoltura più misera, la quale non consente che poco lavoro all’anno ed a scarso salario, le persone che potrebbero beneficare sono rare od assenti dal paese, il mendicare resta automaticamente limitato, senza che questo sia indice di esistenza meno miserabile del contadino negli ultimi anni della sua vita.

1 Per es. nei dintorni di Napoli, a Resina, Torre del Greco, Santa Anastasia, Pomigliano d’Arco, nei Comuni del Nolano ecc., dove pure vi sono molti braccianti e poverissimi, la mendicità, che non fa mai difetto, non è punto di contadini inabili, ma piuttosto, per così dire, professionale. Eppure tale zona è l’unica quasi dove le elemosine non mancano ed i sussidi sono relativamente più copiosi che altrove.

 

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