Jules Verne e il destino del Veneto

Jules Verne (1828-1905) è uno di quegli scrittori con cui siamo cresciuti tutti. I suoi libri sono dei classici della fantascienza per ragazzi, eppure rileggerli ora che siamo grandi non smette di provocarci emozioni e sorprese. Anzi, con gli occhi dell’adulto è più facile accorgersi di come il contenuto di quelle storie possa raccontare molto anche a chi non è più un bambino.

Verne ha pubblicato De la Terre à la Lune nel 1865, ed è stato uno dei suoi libri di maggior successo. Immaginando la storia di una spedizione diretta sulla luna, il romanziere francese pare aver predetto l’impresa del 20 luglio 1969: «Quando ci si domanda se Verne è stato davvero un uomo che ha previsto il futuro, un maestro della narrativa di anticipazione, uno dei creatori della fantascienza, bisogna certo rispondere di sì» riconosce lo studioso Antonio Faeti, «ma facendo attenzione a che cosa si afferma. Verne comprese i cambiamenti profondi prima che si manifestassero, decifrò certi sintomi e indicò le strade che gli uomini avrebbero poi percorso».

Quest’opera sulla conquista del satellite della terra contiene numerosi riferimenti alla sua epoca, ma ve ne è uno particolarmente curioso, che forse potrebbe essere sfuggito a tanti lettori italiani: Jules Verne sembra aver calato nella sua narrazione una curiosa riflessione sull’assetto politico ed economico della nostra Penisola.

L’autore di Dalla terra alla luna era un uomo modesto che tendeva a non attribuire un eccessivo valore al suo lavoro, ma era innegabilmente molto colto. Il dodicesimo capitolo di Dalla terra alla luna si intitola Urbi et orbi e descrive la raccolta fondi che fu necessaria per finanziare il sogno dell’esplorazione lunare: «Una volta risolte le difficoltà di ordine astronomico, meccanico, topografico, ci si dovette accingere ad affrontare quella del danaro occorrente. Necessitava, infatti, per lesecuzione del progetto, procurarsi una somma enorme: non solo nessun privato, ma neppure nessuna nazione poteva disporre dei milioni necessari. Il presidente Barbicane decise, dunque, benché limpresa fosse americana, di farne una questione di interesse universale, e di chiedere a ciascuna nazione la propria collaborazione finanziaria, essendo a un tempo diritto e dovere della Terra tutta intervenire nelle vicende del suo satellite».

Riguardo all’Impero Asburgico, lo scrittore spiega: «LAustria, nonostante le sue difficoltà finanziarie, si dimostrò abbastanza generosa, contribuendo con 216.000 fiorini, che furono i benvenuti»; più avanti c’è la parte per noi più interessante: quella che riguarda gli italiani.

Il Risorgimento era ancora in corso e il Pontefice era padrone del Lazio: «Gli stati della Chiesa si ritennero in dovere di mandare non meno di 7040 scudi romani». Del Regno dItalia viene sottolineata la difficile condizione finanziaria, che però non basta a fiaccarne l’orgoglio: «Per quanto in estreme ristrettezze» tuttavia, «a forza di girarle e rigirarle, scovò 200.000 lire nelle tasche dei suoi sudditi», e il pensiero che segue è significativo: «se [il Regno dItalia] avesse avuto il Veneto, avrebbe fatto di meglio, ma poiché non lo aveva…».

La prima osservazione spontanea è che Giulio Verne ha azzeccato un’altra previsione: il Veneto (un’altra traduzione, secondo l’uso dell’epoca, riporta «la Venezia») si sarebbe ricongiunto all’Italia, ma questo nel 1865 era un futuro facilmente immaginabile, restava solo da capire quando sarebbe avvenuta l’annessione.

Appare invece rilevante la questione delle province venete come fonte di guadagno sicuro; innanzitutto va detto che si tratta di un argomento complicato che è impossibile riassumere in questo spazio, in seconda istanza – cercando di essere sintetici – si deve chiarire che la Venezia dopo la Seconda Guerra dIndipendenza (27 aprile-12 luglio 1859), combattuta dai piemontesi di Casa Savoia e dai francesi di Napoleone III contro l’Austria, vide aggravarsi drammaticamente la sua situazione economica. La tassazione imposta dall’Impero continuò a essere giudicata oppressiva e la perdita della Lombardia chiuse uno sbocco al commercio veneziano, per la città lagunare fu un colpo durissimo. Le condizioni del Veneto precipitarono e gli anni che vanno dal 1859 sino al plebiscito del 21-22 ottobre 1866 furono particolarmente pesanti per la popolazione, e non solo per la repressione politica.

Gli studiosi sono concordi nel notare come l’agricoltura veneta fosse ferma in una dimensione stagnante, e tale sarebbe rimasta ancora per decenni; nel Veneto l’introduzione diffusa di nuove tecniche all’avanguardia era mancata sin dagli ultimi anni della dominazione veneziana. In ogni caso, come è noto, nella vita quotidiana di gran parte degli abitanti delle zone rurali venete la miseria permase sino al miracolo economico.

Come notò Jules Verne, l’Austria era davvero in difficoltà e l’idea che il Veneto potesse essere ceduto con un compenso pecuniario era iniziata ad apparire plausibile già dal ’59, ma sino al 1864 ogni offerta fu sempre rifiutata. Ovviamente il neonato stato italiano non era mosso dal desiderio di arricchirsi, ma da motivazioni patriottiche, comunque è significativo ricordare che in una lettera al senatore Giuseppe Saracco (1821-1907), l’economista Ruggiero Bonghi (1826-1895) espresse un giudizio che non pare dissentire da quello contenuto nel romanzo: «Iddio che ama, comella sa, gli spensierati, ci dava la Venezia; il cui bilancio, presentando unentrata di circa 79 milioni di lire ed unuscita di circa 54 per la sua intera amministrazione ed il proprio debito, ci dava un avanzo di 25 milioni, che scemavano daltrettanto il peso della spesa comune a tutta Italia».

Le parole di Jules Verne meriterebbero un’indagine più accurata e più ampia, ma possiamo riconoscere che in fondo il tempo gli ha dato ragione. “La Venezia” aveva le capacità per avanzare e sarebbe diventata una regione ricca, contribuendo al grande cammino di crescita economica che avrebbe interessato l’Italia, e ci auguriamo che anche l’avvenire del Veneto possa rivelarsi prospero.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

Bibliografia: A. M. Alberton, Il plebiscito veneto del 1866. Una rilettura in chiave internazionale, in «Venetica», 1/2016; R. Bonghi, Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868 Lettere di Ruggiero Bonghi al commendatore Giuseppe Saracco Senatore del Regno: A. Faeti, Postfazione, in Jules Verne, Viaggio al centro della terra; J. Verne, Dalla terra alla luna

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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