La Badia Fiorentina

La Badia Fiorentina fu fondata da Willa, moglie del marchese Bonifazio di Toscana, nel 978, alla sua morte i lavori proseguirono sotto suo figlio, il marchese Ugo che nedesiderò pure l’ampliamento. La chiesa ha una grande importanza nella storia cittadina. Qui, secondo la Vita Nuova, Dante Alighieri vide Beatrice Portinari per la prima volta, durante una messa, e qui Boccaccio tenne le sue celebri letture della Divina Commedia.

Di questa struttura antica restano poche memorie. Della Tosa la descrive “piccola e discorrevole”, con una facciata volta a ponente ed una pianta a croce latina e l’inglobamento della più antica Chiesa di Santo Stefano. Marino, il primo abbate, si vide assegnare dal conte la “fucina di studi letterari e scientifici” e molti beni e terreni. Ugo morì nel 1001 e le sue donazioni vennero ratificate dall’Imperatore Ottone III. Nuovi lavori di ampliamento furono innaugurati nel XIII secolo, su iniziativa dei monaci che vollero dormitori e chiostro. Nel 1071 fu annesso un ospedale al monastero. Fra le attività dei monaci c’era anche la viticoltura, come suggeritoci anche dal nome della vicina via della Vigna Vecchia. Così la struttura restò sino alla seconda metà del secolo quando il comune assoldò l’architetto Arnolfo di Cambio per un completo restauro.

Nel rifacimento, solo il campanile restò come prima: una torre di forma ottagonale con cuspide acuta, sormontata da una bandieruola in forma di Angelo, famosa per attirare i fulmini. Caddero infatti su di essa i fulmini del giorno dell’Assunzione del 1652 che ammazzarono una donna durante la celebrazione religiosa; caddero su di essa quelli del 1675 che uccisero un povero cane che aveva trovato riparo dal temporale nella chiesa. La nuva chiesa sorse più grande di prima, conservò una pianta a croce latina con tre cappelle sulla tribuna rialzata da una gradinata. La cappella maggiore conservava il monumento al marchese Ugo, opera di Mino da Fiesole, nonchè affreschi di Giotto, le cappelle minori furono dipinte da Buffalmacco.

Lo sforzo del comune fu compensato da certi donativi dei monaci che, ogni due mesi, mandavano in gran pompa al Palazzo Vecchio un migliaccio portato a vista in un corteo accompagnato da pifferai e trombettieri. Nel 1444 il migliaccio fu sostituito da quattro ceri, offerti alla cappella dei Priori nel giorno di San Bernardo. La repubblica contraccambiava i monaci donando loro, nella festa di San Benedetto, un cero direttamente consegnato dal Capitano del Popolo.

Questo rapporto però non fu sempre idilliaco: nel 1307, quando il comune impose nuove tasse sugli ordini religiosi, l’abbazia si ribellò suonando le campane a stormo per ore e ore, fino a quando il popolo, esasperato, prese a distruggere il campanile. Quest’atto fu foriero di nuovi disordini per l’abbazzia. Una nuova rivolta si ebbe, infatti, nel 1327, quando papa Giovanni XII concesse in commenda l’abbazia al Cardinale Giovanni Gaetano Orsini: il cardinale fece ricostruire il campanile distrutto impossessandosi di mille fiorini d’oro l’anno sottratti alle rendite della comunità e spazientendo e irritando a tal punto i monaci da indurli ad apiccare il fuoco all’intera abbazia. Le indagini andarono per le lunghe e i colpevoli non furono mai individuati, anche perchè i monaci appartenevano tutti a importanti casate cittadine. Fatto sta che nel 1434 papa Eugenio IV poribì che l’abbazia fosse ancora data in commenda.

Ristrutturazioni seicentesche dettero al tempio la piana a croce greca cancellando le sepolture del pavimento delle illustri famiglie fiorentine i Cerchi, Salviati, Valori, Tadaldi, Agolanti, Galigai, Filicaia, Baldovini, Riccomanni, Bastari, Pandolfini, Giugni, Ricciardi, Del Caccia e Ricci. In effetti l’Abbazia Benedettina di Firenze era divenuta nel corso dei secoli un’insigne luogo di culto e centro di cultura umanistica. Numerose opere d’arte in stile rinascimentale la abbellivano, oltre alle sculture di Mino da Fiesole e di Bernardo Rossellino, autore pure del suggestivo Chiostro degli Aranci, si ricorda l’affresco Sant’Ivo commissionato dall’Arte dei Giudici e Notai, che aveva la sua sede proprio nel vicino palazzo in via del Proconsolo ed usava talvolta la badia per riunioni e funzioni pubbliche, al Masaccio.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Cirri, La Badia di Firenze; A. Di Gaetano, Della Badia fiorentina

 

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