Francesco Bussone detto Carmagnola

Da giovinetto era stato un umile pastore nelle terre attraverate dal Po, vicino Torino, quelle di un villaggio chiamato Carmagnola. Già a quell’età però aveva coraggio da vendere nel difendere i suoi animali dagli eserciti e dai banditi che percorrevano quelle zone affamate e desiderose di arraffare di tutto. Qualcuno ci provò a togliergli le pecore, ma trovò motivo di pentirsene ed allora il nome del giovinetto divenne noto da un villaggio all’altro: Francesco Bartolomeo Bussone detto Carmagnola.

Mentre Francesco si prendeva cura delle sue pecore, la guerra distruggeva l’Italia. Schiere di soldati, scapestrati, facinorosi, assediavano e saccheggiavano le città. Fu così che un soldato di ventura piemontese, Facino Cane, sempre pronto ad arruolare mercenari per le sue schiere, gli si presentò e gli propose di impugnare una spada. Dopo quell’incontro i due combatterono per chi pagava di più, Venezia o Genova, Torino o Milano, e Facino Cane apprezzò così tanto le energie di quel pastorello che, nel giorno delle sue nozze, volle fargli dono della sua preziosa spada, quella con cui aveva preso Brescia, Bergamo e Milano.

Morto Facino, sua moglie fu presa in moglie da Filippo Maria Visconti che usò la sua ricca eredità per assoldare gli uomini che avevano combattuto col marito, anzitutto Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, e si riprese Milano. Non si fermò però lì e attaccò Monza, Asti, Piacenza, Parma, Reggio.

Ad affiancarlo c’era sempre il Carmagnola, condottiero che volle fare Conte di Castelnuovo. Nel 1425, però, il duca di Milano l’accusò di voler usare l’entusiasmo di coloro che combattevano con lui per spodestarlo. Carmagnola era divenuto in quegli anni oggetto della venerazione dei suoi commilitoni e, a causa della sua capacità di non esagerare mai nella vittoria, di non umiliare mai gli sconfitti, si era guadagnato stima anche tra gli avversari. Filippo Maria Visconti giurò di volerlo far fuori e così Carmanola prese la strada di Venezia, fuggendo dalla folle invidia del duca.

Questo aiutò la scomposizione dei vecchi equilibri del Nord Italia e fiorentini e veneziani si allearono contro Milano.

Affaticato ed affamato, irruppe in una capanna di contadini per chiedere del pane e, non avendo nulla da pagare, promise al suo ospite: “Un giorno ti ricompenserò. Mi chiamo Carmagnola!”. Il contadino si inchinò a sentir pronunciare quel nome e gli offrì cibo, acqua e quel suo misero riparo. Nel frattempo gli scagnozzi del duca di Milano si eran messi sulle sue tracce. Volevano ucciderlo, dovevano fargli pagare il debito di graditudine rimasto in sospeso. Quell’omicidio però non fu mai portato a termine… Carmagnola ricevette dal doge della Repubblica di Venezia, in una solenne cerimonia davanti all’altare di San Marco, lo stendardo e le insegne del supremo comando degli eserciti di terra della Serenissima. Divenuto generale tornò sui campi di battaglia allargando i confini della repubblica e consolidando il potere di Venezia, favorito dalla fortuna e sostenuto dal suo valore in ogni spedizione.

Mentre la repubblica voleva una breve campagna, il condotiero e i suoi mercenari volevano prolungare la guerra per ottenere maggiori profitti. Evitò scontri decisivi e liberò rapidamente i prigionieri. Di conseguenza, vittorie e sconfitte, tregua e ricominciamenti di ostilità seguirono senza mai fine. Carmagnola, nella Battaglia di Maclodio, il 12 ottobre del 1427, sgominò l’esercito visconteo guidato da Carlo Malatesta, Niccolò Picinino, Francesco Sforza e Guido Torello. Filippo Maria si vendicò del Carmagnola battendolo a Soncino.

Il 5 maggio del 1432 gli aguzzini del Consiglio dei Dieci condussero in piazza un uomo legato e con un bavaglio sulla bocca. Uno di loro lo afferrò per i capelli e lo costrinse ad appoggiare la testa su un ceppo. Quindi sollevò un’ascia, sopra il collo nudo della vittima, già quasi esanime per le crudeli torture di cui era stato oggetto, e lo colpì, troncandogli il capo dal corpo. Fu così che morì Carmagnola. Il senato veneziano aveva attribuito la sua sconfitta ad un tradimento, si era convinto che il duca di Milano gli avesse offerto qualche signoria in compenso. Era stato arrestato dai veneziani con l’inganno, convocato per discutere di future operazioni militari.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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