Isabella Sforza, signora delle lettere

Isabella Sforza nacque nel 1503, figlia di Giovanni Sforza, Signore di Pesaro e nipote del Moro. Il padre aveva abbandonato Pesaro, scacciato da Cesare Borgia nel 1500, e si trovava a Venezia esule quando nacque la bambina. Giovanni tornò in possesso dei suoi feudi solo con la caduta di Alessandro VI ma non ebbe vita felice: fu colpito a morte il 27 luglio del 1510 nel Castello di Gradara ed Isabella restò sola.

Ad appena sette anni fu consegnata al Monastero di Santa Maria Maddalena di Pesaro e qui crebbe educata alla pietà ed alla cultura, restandovi per dieci anni e maturando interesse per le lettere e la filosofia.

Sposò il fiorentino Cipriano del Nero, Barone di Porcigliano, i due vissero a Firenze dove lei si guadagnò la stima del marito e della sua nuova famiglia per le grandi virtù ed il suo ingegno. Fu infatti autrice dei trattati Della vera tranquillità dell’animo e Dello stato femminile.

Rimasta vedova, lasciò Firenze e fu a Piacenza, poi a Milano, sempre coltivando gli studi e impegnandosi in opere caritatevoli.

Della vera tranquillità dell’animo, a lungo attribuita ad Isabella d’Aragona, fu redatta a Piacenza dove si trovava anche Ortensio Lando. Il grande umanista plaudì all’opera e ne restò entusiasta. Anch’egli stava scrivendo in merito ma letto il libro di Isabella Sforza bruciò i suoi appunti temendo il paragone. Così ne scrisse al Vescovo d’Augusta: “giunsi in Italia, e finalmente in Piacenza, dove 9 siccome era di mio vecchio costume , visitai la Signora Isabella Sforma , alla quale per infiniti rispetti mi conosceva obbligatissimo; ne credo fusse questa mia visita senza voler Divino, conciosia ch’io la ritrovassi tutta occupata in trattar simile argomento, et havendo con molte preghiere ottenuto di leggere così alla sfuggita i suoi divini componimenti, parvemi si dolcemente trattata questa materia, che subito con mio gran rossore feci disegno di ardere quanto ne havessì già scritto; ne vi prenda di ciò meraviglia alcuna Signor mio che si dottamente possa scrivere una Donna nelle mondane delicie sin da fanciulla avveda , essendo d’ingegno elevatissima, di memoria tenacissima , e grandissima osservatrice de savi detti; oltreché mi paja, che nostro Signore Iddio habbi di Sua Signore spetialissima cura, havendola da pericolose infermità sovente risanata, e postole nel cuore ardentissimo desiderio delle scritture sante , di modo che non mai, o di rado da molti anni in qual ho veduta far altro , che volger sossopra hor questo, et hor quell’altro degno auttore; si che non è punto da maravigliarsi, che dal suo bell’ingegno eschino frutti si dolci, e si saporiti”.

“Non fu mai femina che più rari concetti, nè più celesti pensieri avesse di Lei: nè chè meglio gli esprimesse di quel che fa la S. V.”, scrisse il letterato Anton Francesco Doni che la conobbe a Venezia. Morì a Roma, nel 1561, ed ebbe sepoltura a San Giovanni in Laterano dove le fu posto un modesto ed elegante monumento con questa epigrafe: “D. O. M. Isabellae Sfortiae. – Ioannis . Pisaurensium . Domini. F – Foeminae sui Temporis – Prudentia. Ac. Pietate. Insigni – Ecec . Test. P. – Viacit – An . L VII M. VII D . III . Obiit An . D . MDC LXI . XI Kal. Febr.”.

Gli Sforza di Pesaro devono a lei la conservazione delle loro memorie sepolcrali perché, abbattuta la Chiesa di Giovanni Battista dei Minori Riformati, in cui erano le tombe di famiglia, per ampliare la città, Isabella le fece riporre nella chiesa di Santa Maria Maddalena e vi fece collocare una pietra con queste parole: “Sepulcr. Sfort . Pisaur . Dominorum , Jsab . Sfortia . Instau. Anno MDLII”. L’anno seguente una nuova lapide recitava: “D. O. 31. – Ioanni Sfortiae . Aragonio. – Pisaurensium Principi – Isabella . Sfortia . Parenti – Optimo . Caeterisque . Ex Eius – Familia . Principibus . Veteri – Sepulcro . In Urbis . Munitione – Diruto . Ut Eorum – Ossa . Conderet – Pientiss. F. C. Anno D. MD LIII”.

Il Domenichi nella Nobiltà delle Donne così ce ne parla: “Honora et ammira (il mondo) le divine qualità della Signora Isabella Sforza per uno de più singolari soggetti, c’hoggi si possano imitare. Certo che non pure questa città la predica, ma tutta Italia la celebra, e le penne de’ più rari ingegni, c’oggidì volino per lo ciel della gloria, si sforzano d’alzarla a voto e consecrare il suo nome al tempio dell’eternità”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: N. Ratti, Della famiglia Sforza

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