Il movimento cattolico postunitario

Il movimento cattolico postunitario nacque come conseguenza del Sillabo. Il 4 aprile del 1866, un Breve del pontefice faceva ufficialmente nascere l’Azione Cattolica.

La direzione generale trovava sede a Bologna, vi aderivano figure eminenti dell’aristocrazia, dell’alta borghesia, reazionari, vecchi legittimisti, anche filosabaudi che avevano perduto la fede nella monarchia dopo l’alleanza con Garibaldi. Ma lo Stato non esitò ad agire: il presidente Fangarezzi riparò all’estero, la sede di Napoli fu sottoposta a perquisizione, l’avvocato Casoni, fondatore dell’associazione, fuggì nottetempo da Bologna per rifugiarsi nel Vaticano. E alle drastiche disposizioni di legge seguì la furia popolare: il presidente della sede di Reggio Calabria finì oggetto d’un attentato e la sede di Bologna fu vandalizzata. L’associazione fu sicolta nel 1866.

Toccò allora ai giovani cattolici bolognesi dare vita alla Società della Gioventù Cattolica Italiana. L’intento era quello di combattere la massoneria, la scristianizzazione dei giovani e la laicizzazione dell’insegnamento. Pio IX ne sottoscrisse il programma il 19 giugno 1867 e allora tornarono a fiorire sedi e giornali. Cosa poteva fare un gruppo di giovani oltranzisti combattuto e screditato dall’opinione pubblica? Fece molto, crebbe gradatamente sino al 1870 quando la presa di Roma riproporrà la necessità d una più ampia unione dei cattolici.

Nel dicembre di quell’anno nacque la Società primaria romana per gli interessi cattolici, forte del sostegno della Roma papalina, del clero tradizionalista, della nobiltà nera, degli ex militari pontifici. Si susseguirono l‘Opera delle prime comunioni, le Scuole del popolo, le società, le Opere pie, ed altri fogli che annunciavano l’essenza della futura forza del movimento cattolico italiano, ovvero la coscienza che i laici assumono dei loro doveri e delle loro funzioni, degli scopi a cui li chiama il Papa. Nel frattempo però l’anticlericalismo aggrediva fisicamente nelle piazze gli esponenti dei circoli cattolici, attaccava le processioni, oltragiava l’eucarestia e le immagini della Vergine. Ciò affrettò il movimento verso un’unione di tutti i cattolici che poi sfociò nell’Opera dei Congressi nel 1874.

Nel mezzo restava una vasta cerchia eterogenea e meno definibile di cattolici liberali che avrebbero voluto accordarsi con le istituzioni, conciliare le loro convinzioni religiose con la visione risorgimentale. L’isolamento dei cattolici nella società nazionale però pesava per tutti. Ancora nel 1878, Leone XIII ammonì, nella Quod Apostolici Muneris, contro i numerosi pericoli che investivano le “fondamenta medesime del consorzio civile” ovvero il rifiuto dell’obbedienza all autorità superiori, l’assurdo della “perfetta eguaglianza di tutti nei diritti e negli uffici”, il socialismo, le società segrete, le novità politiche. Ne nacque un’ulteriore spaccature, due visioni contrapposte, un cattolicesimo moderato ed un cattolicesimo integrale, il primo che voleva negoziare con lo Stato, il secondo che rifiutava ogni collaborazione. C’era chi mirava a fare del cattolicesimo politico uno strumento dello Stato col fine di frenare il processo antireligioso e respingere il positivismo e il socialismo, altri invece puntavano a sostituirsi allo Stato, a raccogliere il retaggio dell’ordinamento liberale travolo e distrutto per riedificare il potere pontificio senza compromessi e transazioni col nemico, in piena aderenza col non expedit. L’Opera dei Congressi si sarebbe schierata con gli intransigenti.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Spadolini, L’opposizione cattolica

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