Il sepolcro di Giulio II

Originario di Savona, Giulio II fu probabilmente il più importante pontefice del Rinascimento, vecchio rivale di Alessandro VI, grande mecenate, fondatore dei Musei Vaticani, uomo forte in un momento critico per la Penisola. Il tormento e le inquietudini personali sono ben raffigurate nel sepolcro realizzato da Michelangelo.

L’artista ci mise quarant’anni per portarlo a termine. I lavori iniziarono nel 1505, due anni dopo l’elezione di Giuliano della Rovere col nome di Giulio II, quando Michelangelo aveva ventinove anni, e terminarono nel 1545, quando l’artista ne aveva sessantanove.

In questo lungo arco di tempo, segnato, dalla morte del pontefice nel 1513, e, tra il 1536 ed il 1541, da una lunga pausa dovuta alla commissione di Paolo III a Michelangelo per gli affreschi della Cappella Sistina, il progetto subì enormi modifiche, ampliamenti e pesanti variazioni, la riduzione del numero delle iniziali quaranta statue e la definitiva collocazione a San Pietro in Vincoli, anziché nella Basilica di San Pietro in Vaticano, chiesa con cui i Della Rovere avevano particolari legami sin da Francesco, Papa Sisto IV.

Qui ancora oggi vediamo questo enorme sepolcro segnato dalla figura di Mosè, centro dell’opera con i suoi occhi, sereni e assieme carichi di fermezza, e l’imponente barba grigia, fermo tra due figure femminili, come se fosse sospeso tra due scelte, la vita contemplativa e la vita attiva. “E perchè non parli?”, esclamò l’artista al termine della composizione, consapevole della grandezza di quel capolavoro. Cosa avrebbe potuto dire?

Il monumento sembra imprigionare la trepidazione di Giulio II, probabilmente la stessa che logorava Michelangelo. Tra altre figure, sotto la Vergine, c’è in posizione semi-giacente il defunto pontefice, in alto, sopra Mosè. Lo vediamo col volto pensieroso nella barba florida, stretto nel morbido panneggio della veste, steso ma col busto sollevato, come se fosse impaziente, pronto a rialzarsi.

Si racconta che quando Michelangelo ebbe abbozzato la statua del pontefice, il papa in persona andò a vederla. Poichè la mano destra era levata in alto, il papa domandò allo scultore che cosa facesse quella mano, se stesse benedicendo o maledicendo. “Santità – avrebbe risposto Michelangeloessa avverte e minaccia il popolo di Bologna”. Forse temendo d’aver esagerato, lo scultore poi domandò al papa se voleva che nella mano sinistra ci mettesse un libro, ma Giulio II rispose: “Che libro! Mettici una spada perchè io non ne so di lettere!”.

In effetti Giulio II fu questo, ansioso e tormentato. Scagliatosi contro la simonia, convocò il Concilio Lateranense V mettendo ordine allo scompiglio lasciato dai Borgia. Unì a questa forte attività religiosa un’iniziativa diretta e fu un vero pontefice militare. Sottrasse Bologna ai Bentivoglio, guidò personalmente gli eserciti pontifici nei territori di Romagna tenuti dai veneziani, li scacciò e riprese Imola e Forlì. Un altro aneddoto racconta come, quando nel 1513 le truppe papali frono sconfitte a Ravenna dai francesi, il pontefice volle andar a combattere personalmente contro i nemici. Gettò allora le chiavi di San Pietro nel Tevere ed esclamò: “Se le chiavi di San Pietro non bastano, valga almeno la spada si San Paolo”. Qualcuno gli fece osservare che Cristo aveva detto a San Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Il papa allora rispose: “Sì, ma Cristo lo disse soltanto dopo che Pietro ebbe mozzato le orecchie al servo Malco”. Fu pure lui ad istituire il corpo della Guardia svizzera pontificia.

Giulio II voleva essere sicuro che la sua ultima dimora terrena mettesse in ombra i suoi predecessori come era sicuro che avrebbe fatto il suo pontificato. Non poté prevedere lo scempio del suo cadavere, insieme a quello dello zio, profanato e spogliato nel Sacco di Roma del 1527.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Pellegrini, Il papato nel Rinascimento; G. R. Terminiello, Giulio II: papa, politico, mecenate

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