La Battaglia di Minorca nel dispaccio del viceammiraglio John Byng

La battaglia di Minorca, scontro che segnò l’apertura delle grandi operazioni navali della Guerra dei Sette Anni, è divenuta famosa più per le tragiche vicende processuali che in conseguenza dell’insuccesso segnarono l’ammiraglio Byng, deferito alla corte marziale ed infine fucilato, che per le sue implicazioni strategiche. Il valore strategico dell’intera operazioni fu anzi assai discutibile. Minorca, il cui possesso da parte inglese assieme a Gibilterra era stato ratificato dal Trattato di Utrecht del 1713, si era rivelata una base di grande importanza all’epoca della Guerra di successione austriaca, trovandosi a cavaliere delle linee di comunicazione marittime franco-spagnole verso il fronte italiano che la Royal Navy si era trovata a recidere nel prestare soccorso all’alleato austriaco. Nel 1756, con lo scacchiere italiano permanentemente neutralizzato dagli esiti del Trattato di Aranjuez (1752) e con la Spagna ancora neutrale, il suo valore era invece assai limitato; gli inglesi, per conseguenza, avevano trascurato di rafforzarne il dispositivo difensivo. La principale piazza dell’isola, il castello di St. Philip, era stata rafforzata da numerose opere difensive erette nel corso degli anni, ma al momento dell’assedio la guarnigione, nominalmente costituita da 4 reggimenti di fanteria, era gravemente sotto organico (potendo contare su appena 3.000 uomini) e sprovvista della maggior parte degli ufficiali, in congedo sul continente od in patria. I francesi, constatando la debolezza di Mahon e dell’intero schieramento navale inglese nel Mediterraneo, azzardarono l’impresa: per Parigi il possesso di Minorca non aveva uno spiccato valore strategico esattamente come per Londra, ma il Duca di Choiseul contava di servirsi dell’isola per attirare Madrid nel conflitto promettendone la restituzione, oppure come moneta di scambio al tavolo della pace con gli inglesi. La vicinanza di Mahon alla base di Tolone, inoltre, rendeva l’operazione ancor più facilmente praticabile e prospettava come possibile la conquista dell’isola ancor prima che gli inglesi fossero stati in grado di orchestrare una qualsiasi reazione. A tal fine i francesi approntarono un corpo di spedizione di 14.000 uomini al comando del maresciallo di Richelieu, cui la squadra di Tolone avrebbe dovuto prestare assistenza. Il diversivo costituito dal rafforzamento della squadra di Brest garantì infine che sino all’ultimo l’attenzione inglese rimanesse concentrata sull’eterna minaccia di invasione delle isole britanniche portata attraverso il Canale. Quando giunse incontrovertibile notizia a Londra dei preparativi francesi a Tolone e del loro obiettivo, la difesa di Minorca divenne per il gabinetto Newcastle una questione di prestigio nazionale, più che di priorità strategiche: anche nell’imminenza del pericolo che sovrastava Mahon, infatti, l’Ammiragliato guidato da Lord Anson decise che Byng, deputato al teatro del Mediterraneo, avrebbe dovuto fare a meno delle ingenti forze a disposizione del Western Squadron di Boscawen per operare nella Manica e nel Nord Atlantico. A Byng vennero assegnati dieci bastimenti di limitata potenza ed egli ebbe difficoltà anche a completarne gli equipaggi. Il viceammiraglio, figlio del famoso Lord Torrington vincitore della battaglia di Capo Passero, era un tattico di un certo talento ma di carattere alquanto remissivo: soprattutto, egli non aveva alcuna fiducia nella possibilità di adempiere colle forze a sua disposizione alle ampie istruzioni impartitegli dall’Ammiragliato, ovvero coprire Gibilterra e sventare la caduta di Minorca. Mentre faceva scalo a Gibilterra, Byng ebbe già modo di dimostrare lo scarso spirito di iniziativa di cui avrebbe dato mostra per tutto il corso dell’operazione inviando all’Ammiragliato, in data 4 marzo, un dispaccio in cui faceva eco al parere espresso dal comandante della piazza di Gibilterra, tenente generale Thomas Fowke, circa l’impossibilità di prestare soccorso alla piazza di Mahon. Conformemente al parere emerso dal consiglio di guerra con Fowke ed il suo stato maggiore Byng si accingeva pertanto a contravvenire agli ordini ricevuti, rinunciando ad imbarcare i 700 uomini della guarnigione locale che egli avrebbe dovuto sbarcare sull’isola per rinforzare il contingente del castello di St. Philip. Un simile dispaccio, una volta recapitato a Londra, avrebbe sortito una pessima impressione sull’Ammiragliato, sul governo e sullo stesso re Giorgio II; quest’ultimo, in tale occasione, maturò al riguardo di Byng un opinione affatto negativa come di un uomo che non fosse disposto a combattere: la successiva notizia del fiasco di Minorca, e del ripiegamento di Byng su Gibilterra, avrebbe rafforzato tale pregiudizio, sino a condurre il monarca a negare la grazia all’ammiraglio dopo la condanna a morte comminata dalla corte marziale. Riguardo ai dettagli dello scontro cedo volentieri la parola al dispaccio dello stesso Byng, cui offro la traduzione integrale: documento che, in qualità di fonte primaria, deve essere comunque accolto colle riserve del caso e che ho provveduto a corredare di alcune note esplicative, soprattutto nei punti ove il giudizio dell’ammiraglio stride maggiormente con la ricostruzione dei fatti oggi generalmente accettata. Basti dire che, giunto a Mahon il 19 maggio, Byng riconfermò in breve la convinzione cui era già pervenuto circa l’impossibilità di prestare soccorso al castello di St. Philip; le truppe di Richelieu avevano preso terra il 21 aprile ed il 9 maggio la prima batteria d’assedio aveva aperto il fuoco contro la fortezza. Avvistata la flotta francese, Byng si mise in caccia: ne scaturì, il 20 maggio, una battaglia in cui la squadra inglese lamentò gravi danni senza essere riuscita ad impegnare a fondo il nemico. Il 24 maggio, dopo aver effettuato le necessarie riparazioni di fortuna, Byng convocò un consiglio di guerra in cui avanzò la propria opinione che nulla potesse essere fatto per Minorca e che la squadra avrebbe dovuto ripiegare su Gibilterra per garantire la sicurezza almeno di quella piazzaforte. Nessuno degli ufficiali presenti ebbe da obiettare. Byng giunse a Gibilterra il 19 giugno; tre giorni prima era giunto il suo dispaccio concernente la battaglia e le decisioni del suo consiglio di guerra, provocando grave costernazione nel governo. Il successivo 3 luglio, a bordo del 50 cannoni Antelope, giungeva anche l’amm. Hawke assieme agli ordini che sollevavano dal comando Byng, il suo contrammiraglio Temple West ed il tenente generale Fowke. Rientrato a Londra e posto agli arresti, Byng venne sottoposto a corte marziale in accordo al dettato dell’Art. 12 degli Articles of War per la condotta tenuta nel corso della battaglia di Minorca: “qualunque membro della flotta che, per codardia, negligenza o disaffezione dal servizio, al momento di entrare in azione si ritiri, o si tenga lontano, o non giunga ad ingaggiare battaglia; oppure che non faccia tutto il possibile per catturare o distruggere tutte quelle navi nemiche che sia in suo dovere ingaggiare, o per assistere e prestare soccorso a tutte le navi di Sua Maestà, od a quelle dei suoi alleati, che sia in suo dovere assistere; ebbene qualunque persona colpevole di ciò, e di tale crimine condannata da una corte marziale, sia messa a morte”. La corte marziale giudicò Byng innocente di codardia e di disaffezione dal servizio, ma colpevole di negligenza, trovandosi pertanto costretta dalla formulazione dell’Art. 12 ad irrogare la pena di morte. La corte chiese all’Ammiragliato di poter infliggere una pena meno severa, ottenendone un diniego; si rivolse allora al re, raccomandando l’imputato alla sua clemenza. Anche in tal caso ottenne un rifiuto. La sentenza venne letta il 27 gennaio 1757 e la pena eseguita il successivo 14 marzo: a mezzogiorno, sul cassero della HMS Monarch alla fonda a Spithead, il viceammiraglio Byng venne fucilato da un plotone di esecuzione composto da 9 Royal Marines. Nel corso della guerra gli inglesi non fecero alcun serio tentativo di riprendere Minorca, a riprova del suo scarso valore strategico; per contro i francesi furono costretti a mantenere sull’isola una ragguardevole guarnigione dipendente da Tolone per i rifornimenti. La presenza della Royal Navy nel Mediterraneo, e la protezione dei convogli, continuò ad essere assicurata da Gibilterra, vera chiave di volta del sistema difensivo inglese. Nel 1763 Minorca sarà restituita alla Gran Bretagna col Trattato di Parigi; la magnitudine della sconfitta subita da Francia e Spagna impedì che si concretizzasse l’unico serio intento che ne aveva motivato la conquista, ovvero il suo utilizzo come moneta di scambio al tavolo delle trattative.

 

Autore articolo: Marco Mostarda

 

 

“HMS Ramillies, [1] al largo di Minorca, 25 maggio 1756

Signore [2], prego vogliate informare le Loro Signorie [3] che, essendo salpato da Gibilterra il giorno 8 [maggio], giunsi al largo di Mahon il 19, essendo stato raggiunto dalla nave di Sua Maestà Phoenix [4] al largo di Maiorca due giorni prima, dalla quale ebbi conferma delle informazioni che avevo ricevuto a Gibilterra circa la forza della Flotta francese e la sua posizione al largo di Mahon. I colori di Sua Maestà sventolavano ancora sul castello di St. Philip e potei rendermi conto che diverse batterie di bombarde lo colpivano da posizioni differenti. Vidi inoltre i colori francesi sventolare sulla parte occidentale di St. Philip. Inviai avanti la Phoenix, la Chesterfield [5] e la Dolphin [6] per perlustrare l’imboccatura della rada; ed ordinai al capitano Hervey [7] di avventurarsi via terra con una lettera per il generale Blakeney, [8] onde informarlo che la flotta era lì per prestargli assistenza, nonostante ciascuno fosse dell’opinione che non potessimo essergli di alcun aiuto giacché, a detta di tutti, non v’era luogo che fosse indicato per fornire copertura ad uno sbarco, a patto che avessimo potuto mettere insieme abbastanza uomini. [9] La Phoenix avrebbe dovuto inoltre esibire la bandiera armatoriale fra il capitano Hervey ed il capitano Scrope, poiché quest’ultimo si sarebbe senza dubbio precipitato, se le condizioni fossero state favorevoli, avendo a tal fine trattenuto la lancia della Phoenix presso di sé. Ma essendo la flotta nemica apparsa a sudest, ed avendo al contempo preso a soffiare un vento forte da terra, fui costretto a richiamare le sopradette navi prima che potessero avventurarsi abbastanza vicino all’imboccatura della rada da potersi assicurare quali batterie o singoli pezzi fossero posizionati in modo da impedire le nostre comunicazioni col castello. Essendo un poco caduto il vento, si fecero le cinque prima che potessi formare la mia linea o distinguere i movimenti del nemico; e non potei in alcun modo giudicare la sua forza più che il numero delle sue navi, che erano diciassette di cui tredici sembravano di grande tonnellaggio. Dapprima si posizionarono verso di noi in linea regolare ed all’incirca alle sette virarono di bordo, cosa che giudicai un tentativo di guadagnare il favore del vento su di noi nel corso della notte; motivo per cui, essendo tardi, virai di bordo per mantenermi sopravvento ad esse ed al contempo per assicurarmi il vento da terra. Essendo molto nebbioso, e trovandoci a non più di cinque miglia da Capo della Mola, alle undici virammo in fuori verso il nemico, ma alla luce del giorno non fummo in grado di avvistarlo; nondimeno due tartane, che esibivano la bandiera armatoriale francese, si trovavano a breve distanza dalla nostra retroguardia, per cui inviai la Princess Louisa [10] in caccia di una mentre feci segnale al contrammiraglio, che era vicino all’altra, di inviare le sue navi in caccia della seconda. La Princess Louisa, la Defiance [11] e la Captain [12] diressero la prua al largo per un gran tratto; la Defiance, tuttavia, catturò l’unità di cui era in caccia, a bordo della quale si trovavano due capitani, due tenenti e centodue soldati, parte dei seicento soldati che erano stati inviati il giorno prima a bordo delle tartane per rinforzare la flotta francese. Al nostro apparire al largo di quel luogo la Phoenix, dietro offerta del capitano Hervey, venne preparata per essere impiegata come brulotto, ma senza danneggiarla tanto da impedirle di servire come fregata sino a quando non fosse stato dato ordine di accendere le micce, allorché avrebbe dovuto aprire i portelli dei ponti, [13] essendo ogni altra cosa preparata secondo quanto il tempo ed il luogo permettevano. Il nemico iniziò in quel mentre ad essere visibile dalla testa d’albero, per cui richiamai le unità inviate in caccia e quando esse si ricongiunsero a me virai di bordo verso il nemico e formai la linea di fila. Trovai che i francesi si stavano disponendo sottovento dopo aver tentato inutilmente di guadagnare il favore del vento su di me. Vi erano dodici grandi navi di linea e cinque fregate. [14] Appena ritenni che la retroguardia della nostra flotta fosse all’altezza della loro avanguardia, virammo a un tempo e feci immediatamente segnale alle navi di testa di andare al lasco, ordinando alla Deptford [15] di abbandonare la linea di modo che le nostre navi fossero in numero pari alle loro.

Alle due trasmisi il segnale di ingaggio, ritenendo che fosse il metodo più sicuro per ordinare a ciascuna nave di serrare le distanze sull’avversaria toccatagli in sorte. Qui mi corre l’obbligo di esprimere la mia grande soddisfazione per il modo davvero valoroso con cui il contrammiraglio [16] diede l’esempio al resto dell’avanguardia, volgendo immediatamente la prua sulla nave che avrebbe dovuto ingaggiare col suo secondo e così costringendo le navi francesi a dare inizio allo scontro, cosa che fecero prendendo d’infilata le nostre mentre serravano su di esse. Io serrai sul vascello opposto al mio ed inizia ad ingaggiarlo, dopo aver subito per qualche tempo il suo fuoco mentre mi avventavo su di esso. [17] La Intrepid, [18] sfortunatamente, proprio all’inizio del combattimento ebbe l’albero di parrocchetto abbattuto dal tiro nemico; e dal momento che quest’ultimo pendeva sulla vela di trinchetto schiacciandola, l’equipaggio perse completamente il controllo della nave giacché la mura di trinchetto e i bracci erano stati tranciati di netto nello stesso momento. La nave si diresse così contro quella successiva, obbligando quest’ultima, assieme alle unità di prua alla mia, a mettere tutte le vele a collo. Ciò mi costrinse a fare lo stesso per alcuni minuti onde evitare che entrassero in collisione con me, ma non prima che avessimo costretto l’avversario ad uscire dalla linea di fila, il quale si dispose vento in poppa nonostante alcuni colpi sparati contro di esso dal suo stesso ammiraglio. [19] Ciò comportò che non soltanto il centro nemico rimanesse indisturbato, ma lasciò anche la divisione del contrammiraglio priva di copertura per qualche tempo. [20] Segnalai alle navi di prora alla mia di spiegare le vele e serrare sul nemico; e ordinai alla Chesterfield di mettersi alla cappa accanto all’Intrepid, ed alla Deptford di prendere il posto di quest’ultima nella linea di fila. Realizzai che il nemico si stava distanziando da noi costantemente e dal momento che guadagnava tre piedi per ogni piede che coprivamo non ci avrebbe mai permesso di serrare le distanze su di lui, limitandosi ad avvantaggiarsi col distruggerci le manovre; e sebbene riducessi velocemente le distanze col contrammiraglio, ritenni di non poter sopravanzare nuovamente il nemico, la cui avanguardia si era spinta alquanto lontano dalla loro linea; il loro ammiraglio, al contrario [21], si stava ricongiungendo ad essa poggiando.

Erano ormai passate le sei e l’avanguardia nemica e la nostra erano ormai troppo distanti per ingaggiare battaglia. Mi resi conto che alcune delle loro navi si stavano distendendo verso nord e immaginai che si accingessero a formare una nuova linea di fila. Segnalai alla nave di testa di virare di bordo ed a quelle che prima conducevano l’avanguardia mure a sinistra di far rotta mure a dritta, così da mantenere colla prima unità il favore del vento sul nemico e con la seconda di interpormi fra il nemico e la divisione del contrammiraglio, quella che maggiormente aveva sofferto. Mi proponevo anche, in tal modo, di coprire l’Intrepid, che sapevo essere in condizioni davvero pessime e la cui perdita avrebbe fatto pendere la bilancia decisamente a nostro sfavore se, come mi attendevo, ci avessero attaccato il mattino seguente. Quella notte mi misi alla cappa alle otto circa, di modo da ricongiungermi all’Intrepid e riallestire le nostre navi il più velocemente possibile, cosa che continuammo a fare per tutta la notte.

Il mattino seguente non riuscimmo a scorgere il nemico, sebbene fossimo ancora alla cappa. Mahon era in direzione nord-nordovest a circa dieci od undici leghe di distanza. Distaccai degli esploratori a guardia della Intrepid e della Chesterfield, che mi raggiunsero il giorno seguente; e constatai, da una dichiarazione inviatami circa le condizioni della squadra, che la Captain, l’Intrepid e la Defiance – l’ultima delle quali aveva anche perduto il capitano – erano molto danneggiate nell’alberatura tanto da non essere in grado di assicurare i propri alberi in navigazione. Accertai inoltre che gli equipaggi della squadra erano in generale in pessime condizioni, avendo avuto molti morti e feriti, e non disponendo dello spazio per ricoverare un terzo degli uomini quand’anche avessi riattato la Chesterfield a nave ospedale, cosa non facile a farsi in mare; ritenni pertanto opportuno, in questa situazione, di convocare un consiglio di guerra prima di avventurarmi nuovamente in cerca del nemico. Richiesi la presenza del generale Stuart, di Lord Effigham, di Lord Robert Bertie e del colonnello Cornwallis onde poter raccogliere le loro opinioni sulla presente situazione riguardante Minorca e Gibilterra e così assicurarmi di proteggere la seconda giacché si era rivelato impossibile soccorrere la prima o sollevarla dall’assedio con le forze a nostra disposizione. Ciò perché, quantunque potessimo giustamente reclamare la vittoria, pure eravamo di molto inferiori al nemico quanto a stazza delle navi, sebbene fossimo pari in numero; inoltre i francesi godevano del vantaggio di poter inviare i loro feriti a Minorca, e di ricevere rimpiazzi di marinai dai trasporti [22] e di soldati dal loro campo; tutte le quali cose erano state sicuramente portate a termine mentre eravamo alla cappa per riallestirci e spesso in vista di Minorca, tanto che più di una volta avevamo potuto avvistarli in linea di fila dalla testa d’albero.

Invio alle Loro Signorie la decisione del consiglio di guerra, nel quale non emerse alcun dubbio o contesa. Confido davvero che potremo trovare delle riserve a Gibilterra con cui riallestire le nostre navi e se avremo dei rinforzi non perderemo un solo momento nel ricercare il nemico e, ancora una volta, dargli battaglia sebbene questi goda del vantaggio di avere navi ben carenate che filano a tre piedi contro il solo delle nostre [23] e possono pertanto scegliere come ingaggiarci o se darci affatto battaglia. E ritengo che non ci permetteranno mai di serrare su di esse, giacché il loro unico obiettivo è di azzoppare [24] le nostre, nel quale ebbero anche troppo successo sebbene le costringessimo infine a poggiare. Non invio alle Loro Signorie i dettagli delle nostre perdite e dei danni subiti, poiché la loro stima prenderebbe molto tempo e desidero che non ne sia perso nell’informarLe di un evento di tale rilievo. Non posso fare a meno di sollecitare le Loro Signorie all’invio di rinforzi, qualora questi non fossero ancora salpati, sulla base della Loro conoscenza delle forze del nemico in questi mari; a tal riguardo, stando ad informazioni molto accurate, esse dovrebbero essere aumentate in capo a pochi giorni dall’invio di ulteriori quattro grandi vascelli da Tolone, quasi pronti a salpare se non addirittura già salpati per congiungersi agli altri. Invio la presente per mezzo di Sir Benjamin Keene via Barcellona mentre faccio vela il più velocemente possibile onde coprire Gibilterra, [25] d’onde mi propongo di inviare alle Loro Signorie un dispaccio più dettagliato.

Sono, Signore, il Vostro più umile servitore

John Byng

All’Onorevole John Cleveland

P.S.

Desidero informare le Loro Signorie di aver nominato il capitano Hervey al comando della Defiance al posto del capitano Andrews, ucciso in azione”.

 

 

 

 

Marco Mostarda ha studiato Scienze Storiche presso l’Università di Trento e collabora col Laboratorio di Storia Marittima e Navale dell’Università di Genova

NOTE:

[1] Vascello a tre ponti da 90 cannoni, nave ammiraglia di Byng. Nella traduzione ho scelto di conformarmi all’uso della lingua inglese, per cui la nave – mercantile o militare – è sempre di genere femminile.

[2] Destinatario del dispaccio è John Cleveland, Segretario dell’Ammiragliato.

[3] Si intendono i Lord Commissari dell’Ammiragliato (Lords Commissioners of the Admiralty).

[4] Fregata di sesto rango da 20 cannoni.

[5] Vascello a due ponti da 40 cannoni, cap. William Lloyd.

[6] Fregata di sesto rango da 24 cannoni, cap. Carr Scrope.

[7] Si tratta di Augustus Hervey, cap. della Phoenix.

[8] Il tenente generale Sir William Blakeney, vicegovernatore di Minorca e comandante del castello di St. Philip durante le operazioni di assedio francesi. Blakeney all’epoca aveva 84 anni e benché in pessime condizioni fisiche le sue capacità di giudizio erano intatte. Diresse la difesa della piazzaforte con notevole energia, sino alla resa del giorno 29 di giugno.

[9] L’impossibilità a procedere in sicurezza ad uno sbarco delle forze di fanteria a bordo della propria squadra, qui sostenuta da Byng, venne energicamente confutata dal gen. Blakeney nel corso del processo a carico dell’ammiraglio. Blakeney sostenne che un simile sbarco avrebbe potuto avere luogo nella cala di Santo Stefano, al riparo offerto dalle mura del forte di St. Charles. Le batterie francesi erano in grado di battere l’accesso via mare al forte solo dalla lunga distanza, ed anche codesto pericolo avrebbe potuto essere minimizzato conducendo l’operazione di notte.

[10] Vascello di quarto rango da 60 cannoni, cap. George Edgcumbe.

[11] Vascello di quarto rango da 60 cannoni, cap. Thomas Andrews.

[12] Vascello di terzo rango da 70 cannoni, cap. Charles Catford.

[13] In un brulotto era d’uopo aprire tutti i portelli ed i boccaporti per garantire al fuoco il necessario tiraggio.

[14] La squadra francese al comando dell’amm. Roland-Michel Barrin, Marquis de La Galissonière schierava in battaglia il due ponti da 84 cannoni Foudroyan (ammiraglia di La Galissonière), i due ponti da 74 cannoni Redoutable, Guerrier, Téméraire e Couronne, i due ponti da 64 cannoni Orphée, Sage, Content, Lion e Triton, i due ponti da 50 cannoni Hippopotame e Fier. Completavano l’organico il vascello di quarto rango da 46 cannoni Junon e quattro fregate: la Gracieuse, la Nymphe e la Rose da 26 cannoni, e la Topaze da 24.

[15] Vascello di quarto rango da 60 cannoni, cap. John Amherst.

[16] Il contramm. Temple West era al comando dell’avanguardia, alzando le proprie insegne sul due ponti da 70 cannoni Buckingham (cap. Michael Everitt).

[17] Secondo le testimonianze emerse al processo l’ammiraglia di Byng aprì il fuoco attorno alle ore 15.00, molto prematuramente. Soltanto vero le 17.00 si trovò ad una distanza tale da sortire effetti tangibili col suo tiro.

[18] Vascello di terzo rango da 64 cannoni, cap. James Young. Si trattava dell’ex francese Le Sérieux, catturato il 3 maggio (OS) 1747 durante la Prima battaglia di Capo Finisterre.

[19] Poiché l’avanguardia francese accostò a un tempo non secondo l’ordine di successione delle unità in linea di fila, ma in modo apparentemente disordinato, Byng ne trasse l’impressione che essa fosse stata costretta a rompere prematuramente il contatto dall’attacco inglese, con gran disappunto di La Galissonière che avrebbe appunto esploso, in questa circostanza, dei colpi di cannone per richiamare indietro le unità. L’ammiraglio inglese, malauguratamente, si sbagliava: in quella circostanza l’avanguardia nemica virò di bordo riformando la linea di fila su mure opposte, conformemente ad uno schema tattico che dovette essere divisato e segnalato (da cui, appunto, i colpi di cannone) proprio dall’ammiraglio nemico, restio ad impegnare le proprie unità in un combattimento a distanza serrata e desideroso di limitarsi a frustrare i tentativi inglesi di sbloccare Mahon. John Clerk, nel suo Essay on Naval Tactics [1804, pp. 47-48] osservò che l’apparente confusione del ripiegamento dell’avanguardia francese nascondeva in realtà un metodo preciso: prima abbandonò la linea la quarta unità a partire dalla testa, quindi la quinta, poi la prima e la seconda, ed infine la terza. Accostando in modo alternato si garantiva pertanto che rimanessero delle unità intermedie a sostenere la linea di fila durante la manovra di sganciamento.

[20] L’incapacità dimostrata da Byng di ingaggiare col proprio centro il centro francese e di prestare soccorso alla propria avanguardia costituirono la principale motivazione che portò alla sua condanna per negligenza da parte della corte marziale.

[21] Si denota sempre l’errore di giudizio di Byng di cui sopra; egli ritiene che La Galissonière sia stato costretto ad assecondare la virata di bordo della propria avanguardia non potendo fare altrimenti, e non che la manovra fosse intesa sin dall’inizio a riformare la linea di fila su mura opposte, sempre sottovento agli inglesi.

[22] Per lo sbarco del corpo di spedizione di 14.000 uomini destinato a conquistare Minorca i francesi avevano radunato 50 trasporti e 130 navi di rifornimento.

[23] La piazza di Gibilterra non era all’epoca provvista di un bacino di raddobbo, ma soltanto di un pontile presso cui abbattere in carena i vascelli che necessitassero di lavori di manutenzione, complicando ed allungando sensibilmente le operazioni di carenaggio.

[24] Come noto, i francesi prediligevano la formazione della linea di fila sottovento al nemico, da cui dirigere il fuoco d’artiglieria contro l’alberatura delle unità avversarie che manovravano per serrare le distanze. Se queste ultime subivano gravi danni, come nel caso della squadra di Byng, vi erano ottime possibilità che il sensibile scadimento delle loro capacità di evoluire permettesse ai francesi di mantenere lo scontro sulla distanza. Simili modalità d’ingaggio non potevano produrre effetti tattici decisivi, ma per la marina francese del XVIII secolo la battaglia non era finalizzata alla distruzione delle forze nemiche: questa era invece subordinata al conseguimento di obiettivi strategici contingenti, fossero essi la copertura di un convoglio o di una forza di invasione.

[25] Byng, in realtà, ripiegò su Gibilterra con notevole lentezza. Salpato da Minorca il 24 maggio, giunse a Gibilterra ben 26 giorni dopo.

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