Le donne della corte di Tripoli

Richard Tully operò a Tripoli nel 1785, come funzionario consolare britannico nell‘Impero Ottomano e console generale di sua maestà britannia presso la corte tripolina. Le sue memorie forniscono un completo ragguaglio sulle abitudini della corte di Alì Karamanli, pashà di Tripoli, in un’epoca in cui la città serbava vivi aspetti del suo splendore ma già mostrava tutti i germi della decadenza che doveva poi colpirla. Tully vi risiedette per dieci anni e, per i suoi doveri, venne a trovarsi a stretto contatto con la famiglia dei Karamanli, potendone poi raccontare abitudini e particolari piccanti.

Ciò che secondo il console britannico differenziava la corte tripolina dalle altre barbaresche era la maggiore libertà che in essa era lasciata alle donne della famiglia reale. Esse si occupavano degli affari di stato in un’atmosfera di gelosie e intrighi su cui era pesante l’ombra ottomana. Il pashà, infatti, da secoli prendeva in moglie solo straniere, per lo più schiave greche, armene o circasse, appositamente istruite ad Istanbul, viceversa le donne della sua famiglia erano solite sposare sopratutto rinnegati cristiani emersi come valenti capi della guerra di corsa, di cui si servivano per tessere le loro trame di potere.

L’opera “Letters Written during a Ten Years Residence” rappresenta una fonte preziosa sulla vita sociale e politica di Tripoli allo spegnersi del XVIII secolo. Il testo comprende memorie e aneddoti del regnate e della sua famiglia, e molti resoconti sulle maniere domestiche dei barbareschi. Fu pubblicato anni dopo da Anne Tully, sorella del console, che aveva vissuto con lui a Tripoli. Tully fu testimone di un’epidemia giunta da Tunisi nel 1784 che costò la vita a 10.000 abitanti, di siccità e carestia, di sciami di locuste, di incursioni beduine, della diffusione delle idee della rivoluzione francese, infine, nel 1793, una spedizione punitiva ottomana per scacciare i Karamanli, lo costrinse a imbarcarsi per Malta. Ne emerge l’immagine di una famiglia reale corrotta dai vizi e crudele.

Tully, infatti, riporta il caso di assassinii perpetrati per volontà del pashà senza che ne sia esplicitata la ragione e si convince che nessuno, né ufficiali di alto rango, né semplici funzionari, siano mai al sicuro. Aggiunge pure che “se taluno viene chiamato a palazzo piangendo si accomiata dai suoi figli e dalle sue donne, come mai più dovesse rivederli”.

Alì Karamanli aveva ereditato la stessa brutalità ed il cinismo di suo nonno, Ahmed Karamanli il grande, ex-giannizzaro che si era impadronito del trono nel 1711, uccidendo l’antico pascià turco di Tripoli e poi facendosi nominare pascià a sua volta, commissionando l’assassinio dell’intero presidio ottomano per liberarsi dall’asfissiante cappio di Istanbul. I soldati turchi furono tutti strozzati e Ahmed si fece perdonare dal sultano inviandogli ricchi doni. La corruzione di Ahmed mietè molte vittime innocenti come la figlia di un santo marabutto che, costretta ad entrare nel suo harem, vi si dette la morte con una fiala di veleno.

Tully conobbe l’unica moglie legittima del pashà, che poteva infatti avere numerose favorite, ma una sola moglie. La bellissima Lilla Kebbiera ci è descritta nel loro primo incontro in abiti suntuosi e sensuali: “La sua camicia era ricamata in oro intorno al collo. Sulla camicia avea una veste tessuta d’oro e d’argento senza maniche, e sopra questa un’ altra di velluto porpora con ornamenti d’oro, e bottoni di corallo e di perle, vicinissimi gli uni agli altri sul dinanzi. Le maniche della seconda veste erano cortissime e adorne d’un gallone d’oro. Il baracano che la sovrana portava sopra gli altri vestimenti, era della più bella mussola e velo cremisi stesso colore Ella avea intorno alla cavicchia di ciascun piede una specie d’ anello largo un pollice e mezzo, d’ oro massiccio. Immediatamente sopra questo anello un tessuto di fil d’oro terminava un calzone di seta gialla languida e bianca. Avea cinque pendenti per ogni orecchio, due a basso e tre in alto, e tutti di pietre preziose. In una sala dell’ appartamento di questa principessa vedevasi una cornice di porcellana e di cristallo lungo il soffitto”. Lilla era una donna forte, capace di dire la sua nelle faccende politiche e guidare un suo gruppo di fedeli aguzzini. Era in lotta con le donne della corte, in particolare con le mogli dei suoi figli, e il giorno in cui essi, foraggiati dalle rispettive consorti, si presentarono in udienza dal padre armati l’uno contro l’altro per rivendicare la successione, fu lei a quietare gli animi minacciando di sollevare una rivolta.

Le osservazioni del console si soffermano largamente sulla civetteria delle dame tripoline. Racconta di una donna ritenuta la più elegante della corte, moglie di un alto funzionario, che un giorno fu trovata uccisa, col sospetto che a commettere il delitto fossero state proprio le rivali gelose.

Le gelosie si intrecciavano ad effettivi adulteri così sappiamo di Sidy Mahmoud, figlio di una figlia del paschà, che corruppe sua zia, la moglie di Sidy Hamet, secondo figlio del pashà. Saputolo, lo zio si mette a cercalo nelle sale del palazzo, ma il nipote trovò riparo nella stanza di una favorita del pashà, lì dove nessuno più entrare… Per ripicca allora Sidy Hamet spinse Alì Karamanli ad affrettare le nozze previste tra il giovane nipote e Lilla Fatima figlia minore del sovrano di Tripoli. A farne le spese fu Sulah, la schiava tunisina preferita di Sidy Mahmoud, costretta ad allontanarsi dal palazzo e spedita a Tunisi, ma poi fatta scendere dalla nave e strozzata.

Di tali discordie si interessò sempre il Sultano di Istanbul, preoccupato che la città potesse cadere nelle mani dei cristiani, vittima dei suoi stessi intrighi. Non riuscì però mai a placarle. Tully assistette sinanche al colpo di stato di Sidy Useph, il figlio minore del pashà, il più ambizioso, che si impadronì del trono uccidendo il padre per poi essere cacciato dall’altro fratello, Hamet. Non molto tempo dopo la Sublime Porta intervenne direttamente occupando la città. L’ufficiale turco Ali Benghul depose Hamet Karamanli e riportò brevemente Tripoli al dominio ottomano.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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