L’eccidio dei cristiani armeni in Siria

Nell’anno 1909 si registrò uno sterminio di almeno 30.000 armeni nei domini turchi, che anticipò il genocidio del 1915. Questi stralci tratti da una lettera scritta dal Superiore delle Missioni di Terrasanta a Kesab, datata “Latachia, 5 maggio 1909”, estratti dal Bollettino dell’Opera La Propagazione della Fede, forniscono particolari agghiaccianti sui massacri di cristiani compiuto quell’anno in Siria.

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Stragi, massacri e fuoco

Ventimila musulmani della regione antiochena all’improvviso si sono gettati sopra i villaggi cristiani del Monte Cassio. Da per tutto stragi, massacri e fuoco! I cristiani di Antiochia e di Suedie sono stati distrutti, di Kasie, Jacubie e Gesser non sappiamo niente. Il 23 aprile un 15,000 musulmani, tra i quali molti Cerkos, dopo aver distrutto i villaggi Caiagek, Elski-Oren e Cinargek, assalivano da tre parti il nostro villaggio di Kesab al Cassio. I cristiani di Kesab, che avevano armi, subito presero posizione fuori del villaggio per trattenere, almeno per qualche ora, gli assalitori e per dar tempo alle donne ed ai fanciulli di fuggire alla montagna. Io pure dovetti lasciare l’ospizio, e mi misi a capo delle donne e dei fanciulli dirigendoli verso le montagne di Carà Duran. I 350 cristiani che difendevano l’entrata del villaggio di Kesab, dopo 2 ore e mezzo di combattimento, furono schiacciati dai 15,000 Musulmani, i quali divenuti così padroni del villaggio, lo saccheggiarono da capo a piè, indi v’appiccarono il fuoco con casse di petrolio: case, botteghe, chiese, tutto diventò una vampa! Anche l’ospizio nostro subì naturalmente la sorte comune; prima saccheggiato e poi bruciato. Altrettanto dicasi delle scuole di Carà, Doran e Cenargek. Poi venne la notte. Dalle montagne di Carà Duran dove lasciai tutte le donne ed i fanciulli di Kesab, con due persone andai a Bagegaz, dove stava il P. Alessio Marquinez con i cristiani di quel villaggio. Parlai col Padre un istante e gli dissi di gettarsi con la gente sul territorio di Latachia in caso che il giorno seguente i 15000 Musulmani, attualmente occupati a Kesab, si fossero diretti su Bagegaz. Partii da Bagegaz con i maestri Adur Iskenderian, Sciukri Bolatian e Kevork Bolaban. Per vie deserte andammo sotto le montagne di Carà Duran e Bedrasie dove avevo lasciate le donne ed i fanciulli e dove quasi tutti i superstiti ed i fuggitivi degli altri villaggi cristiani s’eran raccolti in quella notte. Presi in braccio un piccolo fanciullo, e dissi alle donne di seguirmi. Ordinai però agli uomini di seguirci un po’ da lontano ed a piccoli drappelli, per non allarmare i villaggi turchi che avremmo incontrati sulla via. Questo pensiero fu una vera ispirazione!

Il piccolo bimbo salvatore

Arrivati al primo villaggio turco del territorio di Latachia, gli abitanti ci volevano assalire… Allora sollevai il piccolo bimbo che avevo in braccio, e gridai: “Temete Dio!… Il più grande dei cristiani maschi è questo bimbo, tutta la gente che vien dietro di me, sono donne, fanciulli e vecchi. I turchi di quel villaggio ci dettero allora libero passo; solo spogliarono la gente di quel poco che avevano preso seco fuggendo da Kesab. Aperta così la via quasi 6000 cristiani, residuo di Kesab, Cenargek, Carà Duran ed altri sei villaggi, mi vennero dietro. – Arrivammo verso mezzogiorno al villaggio turco di Kencisc, ove risiede un Mudir. In nome dell’umanità lo scongiurai a non farci massacrare dalla gente del suo villaggio, che già stava per gettarsi sopra di noi. Il Mudir ci disse che potevamo star sicuri per parte di lui e della gente di Kercisc; ma che temeva che la gente che aveva assalito Kesab, finito là il saccheggio, si sarebbe data a inseguirci… e in questo caso lui non avrebbe potuto far niente per noi! Dio mio, che terribile momento! Feci subito prendere alla mia gente la spiaggia del mare. Raccomandai a S. Michele Arcangelo tutta quella turba di donne e di fanciulli, mi feci dare una guardia dal Mudir, e con due maestri e tre persone corremmo verso Lata chia in cerca di soccorso. Tralascio di narrare tutto ciò che ci accadde in queste otto ore di corsa. Verso mezzanotte si vedevano in lontananza alcuni lumi della città… il cuore ci si apri. Ma proprio vicino alle prime case fummo assaliti da una quindicina di persone: erano ladri! Ci furono addosso, uno mi diede un colpo di bastone alla testa, che però potei scansare con la mano sinistra, e gridai: “Fermi, siamo europei!”. A questo grido i due che mi tenevano mi lasciarono; però uno dei maestri era già stato portato fuori di strada. La guardia datami dal Mudir di Kercisc era fuggita verso la città. Con l’altro maestro fuggimmo anche noi in quella direzione, e i ladri si contentarono del maestro che avevano preso: lo spogliarono e gli tolsero 200 franchi, risparmio del suo stipendio. Arrivammo mezzi morti all’Ospizio di Terra Santa in Latochia. Giannoccaro, prevenuto ed avvisato del pericolo in cui ci trovavamo noi Missionari ed i cristiani del Monte Cassio, avanti che succedessero i massacri ne aveva informati i consoli di Francia e d’Italia. Il console di Francia quattro o cinque giorni avanti i massacri aveva domandato al console generale di Beirut una nave da guerra per il porto di Latachia. Il console di Beirut, in mancanza di una nave da guerra, aveva telegrafato a Cipro al comandante del Niger (della Società Messegeries Maritimes) di recarsi a Latachia a disposizione del Consolato. Mentre io ed il Presidente parlavamo dei fatti di Kesab, fummo avvisati dal Console di Francia che il Niger sarebbe giunto a Latachia di buon mattino e che sarebbe rimasto a disposizione del Consolato fino all’arrivo di una corazzata francese.

Il “Niger” e il “Jules-Ferry”

Il Niger infatti giunse di buon mattino. Subito salimmo a bordo io ed il Presidente, e in poche ore arrivammo alla spiaggia di Basit dove avevo diretto le donne, i fanciulli e gli altri fuggitivi. Arrivammo in tempo. Già i massacratori di Kesab scendevano dalle montagne in cerca dei fuggitivi. Il Niger in poche ore imbarcò quasi 2000 persone in gran parte donne e fanciulli, e si diresse verso Latachia; dopo un’ora di viaggio il comandante segnalò l’arrivo di una nave da guerra. Era l’incrociatore “Jules Ferry” con a bordo un ammiraglio. Il “Jules Ferry” si avvicinò al “Niger” e dopo aver parlato al Console di Francia, invitò, me ed il P. Giancrisostomo a passare sull’incrociatore. Il “Niger” continuò per Latachia; e noi col “Jules-Ferry” ritornammo alla spiaggia di Basit. L’incrociatore, giunto in prossimità della spiaggia, mise a mare tutte le imbarcazioni e tirò alcuni colpi di cannone. Allora i cristiani rimasti a terra che si erano nascosti e dispersi per le vicine montagne, accorsero da tutte le parti e ne imbarcarono quasi 1500. Intanto l’Ammiraglio, per mezzo del telegrafo senza fili, aveva chiamato da Allesandretta l’altro incrociatore francese il “Michelet” appena arrivato il quale, il “Jules-Ferry” si diresse verso Latachia per sbarcarvi il suo carico. Fra gl’imbarcati sul “Jules-Ferry” vi era anche il P. Alessio Marquinez coi cristiani di Bagegaz. Tutto sommato, sulla spiaggia di Basit furono raccolte un 6000 persone, in maggior parte donne e fanciulli, e tutti furono trasportati a Latachia. 1500 furono alloggiati nel nostro ospizio, nell’orto e nella chiesa, il resto nei Khan, nella chiesa armena e presso la Missione degli Americani. Per mantenere tanta gente i francescani fanno ora miracoli di carità. Il P. Ermenegildo Silvestri è arrivato da Beirut sull’incrociatore italiano “Piemonte” e ci ha portato 20 sacchi di farina ed altri soccorsi in moneta. Ma il governatore di Latachia ha timore che l’agglomerazione di tanta gente generi qualche pestilenza, ed infatti gravi malattie accennano a scoppiare.  È stato deciso perciò di trasportare provvisoriamente i fuggittivi a Bosit. Ritornare ora ai proprii villaggi è impossibile, sia perchè sono distrutti, sia perchè non vi è nessuna garanzia da parte del governo. R.mo P. Custode, tutta questa gente non possiede ormai niente più oltre i vestiti che ha in dosso. Per carità, faccia lei un appello al mondo cattolico, al mondo civile. Mandateci pane e vestiti. Ma fate presto, in nome di Dio e di S. Francesco, fate presto!

Un povero figlio di S. Francesco salva 6000 persone

lo povero figlio di S. Francesco prima con l’aiuto di Dio e poi coll’aiuto provvidenziale delle navi francesi, ho potuto salvare la vita a 6000 persone. I frati di Terra Santa, ripeto, han fatto miracoli di carità; noi abbiamo dato tutto quello che avevamo; ora bisogna che il mondo civile, il mondo cristiano ci dia modo di poter riportare questi poveretti ai loro villaggi, di poterli aiutare a costruire baracche, perché le case non esistono più. Soprattutto però convien far presto perché gli aiuti non riescano, per molti, inutili. Sperare soccorsi dalla gente di queste parti, è cosa più che vana; tra gli Orientali non vi è più cuore! Ma gli Occidentali non lasceranno morire di fame e di stenti tante povere donne e tanti poveri fanciulli da me strappati alla morte sicura. Le navi francesi hanno compiuto la loro missione e si ritirano; il Governo turco dà promesse senza fatti, il popolo Orientale neanche si commuove a dare un rotolo di farina. Dunque non resta che la carità dell’Occidente! In nome di Dio e di S. Francesco mandateci pane e vestiti.

 

 

 

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