Un’ambasciatore veneziano nella Francia in rivoluzione

“Cresciuti ora grandemente il dominio, la popolazione, il commercio e le arti della Francia, un’infinità di cittadini meritevoli per tutti i riguardi di essere ammessi nell’Assemblea nazionale, vogliono essere contentati per qualche cosa e vogliono essere rappresentati da persone del loro ordine… In questo conflitto di opinioni, o piuttosto di interessi non si sa qual decisione sarà per prendere il sovrano: ma se segue l’opinione dei notabili vi è pericolo di una generale insurrezione nel popolo in tutte le provincie”. Quando a Versailles si riuniscono gli Stati Generale, l’ambasciatore Antonio Capello rappresenta a Parigi la Serenissima. E’ questi un uomo abile, perspicace, sicuramente sottile. Nel suo dispaccio del 15 dicembre 1788 sembra prevedere in modo chiaro e preciso lo sviluppo che prenderanno i fatti.

Pochi giorni dopo annota: “La guerra interna, spetialmente fra la Nobiltà e il Terzo Stato, sotto il numero dei loro rappresentanti agli Stati Generali diviene ogni dì più grave e più minacciante pericolose conseguenze. La vera definizione del Terzo Stato è questa: che Egli è la Nazione meno la Nobiltà e il Clero”. Quando finalmente si riuniscono gli Stati Generali, annota ovazioni per il re, meno per la regina e l’incapacità politica di Necker che, in un discorso di tre ore diretto a crearsi alleati nella nobiltà con l’intento di far accettare un piano di riduzione del deficit pubblico, riesce a farsi nemici tutti. Capello non potrebbe tratteggiare meglio la situazione. Le sue parole sembrano quelle di uno storico più che di un ambasciatore. Dà notizia del giuramento della Pallacorda e poi la situazione precipita.

Capello inizia a narrare di disordini, proteste, pericoli, di tribuni che eccitano il popolo alla guerra civile, di soldati in tumulto. Venezia non poté dirsi colta di sorpresa dai fatti quando il 14 luglio il popolo assale la Bastiglia. L’ambasciatore descrive tutto così: “Volendo la sollevata popolazione di Parigi resistere alla forza con al forza, la prima impresa che fecero martedì scorso fu di andare a sospendere, con le guardie francesi, al casa degli Invalidi, i quali misero subito abbasso le armi, onde senza resistenza asportarono da quel deposito una grande quantità non solo di cannoni e di armi ma anche di farine ivi riposte per sostentamento delle truppe. Di là passarono all’Arsenale e presero tutto ciò che vi hanno trovato, e ben provveduti di fucili, di cannoni e polveri, sotto la direzione delle guardie francesi, andarono ad assaltar la Bastiglia poichè senza essere padrone di questo castello non si è padroni di Parigi. Il governatore della Bastiglia, signor di Launey aveva già ricevuto ordine di difendersi con i suoi soldati e di far fuoco contro il popolo ed era stato assicurato di un soccorso entro 2 ore di 10.000 uomini per mezzo dei sotterranei che vanno sino a due leghe di distanza. Ma, non potendo lungo tempo resistere al valore ed all’impeto delle guardie  francesi, e ad un immenso popolo ben armato e ben condotto, nè potendo far uso dei cannoni perchè gli assalitori erano perpendicolarmente alle porte, immaginò un perfido stratagemma, che gli fu fatale, di spiegar bandiera bianca, ed avendo lasciato entrare nelle corti della Bastiglia, sotto buona fede, i cittadini, fece levar i ponti e fece tirar sopra a tutti quelli che erano entrati. Allora lo sdegno di questo tradimento riaccese ancora più il coraggio francese; in mezzo ai maggiori pericoli riuscirono in un momento a riaprire i ponti per far entrare gli altri loro compagni, e si avventarono contro il Governatore e presolo gli tagliarono subito la testa, e fecero lo stesso del suo luogotenente e di un altro ufficiale subalterno, e queste tre teste, appese ad una picca, le condussero in trionfo al palazzo reale. Lo stesso fecero del Prevosto dei mercanti, perchè faceva passar le lettere e gli ordini di Versaglies al Governatore della Bastiglia. La presa di questa non durò che quattro ore e non costò che cinquanta uomini appena, e quanto ho scritto sin qui non fu fatto che in un sol giorno. Nel castello e nei sotterranei vi trovarono quantità di cannoni, di polvere, di soldati nascosti e di carte contenenti alti segreti di stato. Hanno preso subito il partito di demolir tutto e di non voler più che la Bastiglia serva ai ministri di un mezzo di privata vendetta, e già gli architetti ingegneri travagliano a questa demolizione”.

In queste parole si legge una evidente simpatia per gli insorti. Sicuramente ha pena nel descrivere una Parigi in disordine, probabilmente ha paura. “Il più bel regno d’Eurpa è in dissoluzione”, scrive, ma non mostra parole di stima né pietà per i monarchi costretti a spostarsi nel Palazzo delle Tuileries a Parigi da una folla tumultuante: “Le femmine, portando il furore e la costernazione dapertutto, entrarono di notte nell’Assemblea nazionale, domandando del pane, e quindi si permisero di andare al castello e di penetrare nell’appartamento della Regina già determinate di volerla uccidere. Le guardie del corpo, avendo prima ricevuto ordine dal comandante generale di Versaglies, Conte d’Estaing di non far resistenza, rinculavano di luogo in luogo, ma quando le viddero sforzare la porta della camera dove dormiva la Regina, fecero fuoco sulle medesime e ammazzarono cinque o sei ed una di queste guardie entrò nella camera della Regina per avvisarla del suo pericolo. La Regina, costernata, sbalzò dal letto per correre nella camera del marito, e svenne in cammino. Ma la truppa di Parigi, irritata, volle vendicare la morte delle sue femmine, e, cominciando anch’essa a far fuoco, uccise alcune guardie nobili del corpo, ed avendone perse due, tagliò loro la testa. S.M. partì insieme colla Regina, con il Delfino, e colla reale famiglia e venne a fare la sua residenza alle Tuileries, cui figurava più da prigioniero che Re. Per la strada gridavano: Evvia la nazione! I preti e la Regina alla lanterna!…”.

Però Capello cambia presto atteggiamento. Costretto a portare per strada la coccarda tricolore, giunge alla fine del suo incarico diplomatico con opinioni profondamente mutate, negativissime, sconcertate. L’egualitarismo democratico che la Francia perseguita non gli appare meglio del suo passato segnato dalla “debolezza del Re” del “dispotismo dei ministri, l’odiosità del regime feudale”. Aveva creduto nel moderatismo di Necker, si era lasciato entusiasmare dalla partecipazione popolare, ora condanna gli eccessi che aveva temuto nelle sue lungimiranti analisi. La Francia gli appare in balia di un acceso e distruttivo livore contro la nobiltà e di avvocati che col “talento della parola, sono padroni delle deliberazioni dell’Assemblea nazionale”.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Mazzucchelli, La rivoluzione francese vista dagli ambasciatori veneti

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