I bambini di Auschwitz

Sulla base dei documenti conservatisi è difficile stabilire il numero di bambini e adolescenti deportati ad Auschwitz. Da elenchi nominativi di trasporti e stime si è potuto affermare che su non meno di un milione e trecentomila internati vi erano circa 234.000 bambini e adolescenti, di cui circa 220.000 ebrei, oltre 11.000 zingari e tremila fra polacchi, bielorussi, ucraini e russi.
Il loro destino era tragico, di regola quelli ebrei venivano uccisi direttamente all’arrivo, insieme a vecchi, storpi ed inabili al lavoro, mentre i gemelli venivano destinati a fare da cavia in criminosi esperimenti medici. Anche gli altri, prima o poi, condividevano il destino dei bambini ebrei.

Vi erano bambini anche nei convogli di ebrei italiani, deportati ad Auschwitz a partire dalla seconda metà del 1943. Il primo trasporto, 1030 individui giunti il 23 ottobre da Roma, comprendeva 296 bambini e adolescenti al di sotto dei 17 anni. Ben 193 avevano meno di 10 anni e 20 di loro appena alcuni mesi.

Complessivamente dall’Italia dal 23 al 28 ottobre 1944 vennero deportati più di 7-500 ebrei, ma mancano dati che permettano di stabilire il numero complessivo di bambini e ragazzi. Solo nove di loro riuscirono a sopravviere fino alla liberazione del campo.

Dai registri conservati ad Auschwitz risulta che fra i circa 21.000 zingari immatricolati nel campo di Birkenau vi erano oltre 11.000 fra bambini e adolescenti, di cui 9432 di età inferiore a 14 anni e, fra questi, 378 nacquero nel campo. In quel campo le condizioni dei bambini zingari furono migliori, era un campo per famiglie ed essi potevano restare coi loro genitori, erano meglio nutriti e, fino a sei anni, potevano prender parte al Kindergarten, una sorta di asilo. I gemelli erano oggetto degli studi criminali dei medici. Mancava acqua e le condizioni sanitarie erano pessime, mancavano anche le fognature e scoppiò una epidemia di tifo che portò ad un calo drastico dei piccoli zingari nel campo. Successivamente, in seguito ad un ordine di Himmler, i medici iniziarono a provvedere direttamente alla liquidazione degli infermi, in particolare dei bambini. Era chiaro così che il miglior trattamento aveva solo lo scopo di nascondere lo sterminio.

Fino alla metà del 1943, invece, le donne gravide venivano uccise con iniezioni di di fenolo. Probabilmente in seguito all’ordine di Himmler di ridurre le morti da eutanasia, si passò agli aborti coatti senza tener conto neppure dello stato di avanzamento della gravidanza. Se l’aborto falliva ed il parto aveva luogo, i neonati venivano uccisi, annegati in acqua o avvelenati. A partire dalla seconda metà dell’anno vennero lasciati vivere i neonati non ebrei, ma essi poi morivano quasi sempre a causa dell’insufficiente alimentazione o delle condizioni sanitarie. Alcuni di essi, ritenuti in possesso dei tratti della razza germanica, dunque fili di polacchi e slavi, erano sottratti alle madri e spediti ai centri specialistici della Lebensborn, un’organizzazione che si occupava, fra l’altro, della germanizzazione dei bambini.

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: AA.VV., Auschwitz, il campo nazista della morte, (a cura del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau)

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