L’unzione regale presso Longobardi e Normanni

Uno degli aspetti simbolici di grande interesse della regalità medioevale è rappresentato dall’unzione del re. Clodoveo, capostipite della dinastia dei merovingi, era assurto alla dignità di re del regnum Francorum, solo dopo il battesimo ricevuto per mano di San Remigio, e l’unzione con l’olio che una leggenda vorrebbe portato in un’ampolla da una colomba scesa dal cielo. Il rito fu presente anche nel Mezzogiorno medioevale.

I cinque secoli di stanziamento longobardo nel Mezzogiorno d’Italia coincisero con una fase di espansione e rafforzamento del cristianesimo in Europa. La Chiesa guardava all’evangelizzazione dei popoli germanici e poneva innanzi ad essi non solo una via spirituale, ma anche l’eredità politica e giuridica del mondo romano di cui si faceva continuatrice. Lo slancio della predicazione cristiana si caricava oltretutto di caratteri mistici ed apocalittici di grande fascino che rendevano i popoli germanici partecipi di un evento universale: l’attesa del ritorno di Cristo e del giudizio finale. L’interpretazione che San Girolamo fornì della visione del profeta Daniele faceva delle quattro bestie che salgono dal mare, i quattro imperi che si erano sino ad allora susseguiti; Cristo, dopo l’impero romano, apriva l’ultima età del mondo che si sarebbe chiusa con la parusia, il suo ritorno ed il giudizio universale, un’età in cui i popoli germanici erano chiamati ad essere grandi partecipi. Essi dunque si sentirono chiamati dalla storia, posti al centro di un grande progetto universale.

La conversione dei longobardi al cattolicesimo è però tutt’altro che lineare. La violenza che spesso li frappose all’autorità pontificia e lo studio delle forme di regalità ci dicono che l’élite longobarda conservò a lungo la propria identità pagana e germanica sotto l’apparenza del cristianesimo di Ario.

Il modello primigenio di regalità longobarda, infatti, era di tipo tribale. I re venivano nominati da un’assemblea di guerrieri, la gairethinx (dal germanico gaire che vuol dire lancia e da thinx che vuol dire assemblea), ed erano prima di tutto dei capi militari. Il rituale elettivo tramandatoci era antichissimo e fu praticato almeno fino al VIII secolo quando Ildeprando, nipote di Liutprando, fu eletto fuori le mura di Pavia mediante la consegna di una lancia (P. Diacono, Historia Langobardoru, VI, 55). Tale rito derivava probabilmente dalla leggenda del neonato salvato presso uno stagno dal re Agelmundo, primo re longobardo, che gli aveva teso l’asta della sua arma (P. Diacono, Historia Langobardoru, I, 15). Quel bambino era Lamissione e fu il secondo re longobardo; ci troviamo di fronte, quindi, ad un’incoronazione che esulava dal diritto di primogenitura e ad un modello di regalità guerriera lontana dalla tradizione del pensiero giuridico e politico romano.

L’influsso bizantino ed il bisogno dei duchi di legittimare la propria autorità tra gli avversi pretendenti, avviarono però un processo rapido di romanizzazione della regalità. La regalità bizantina, infatti, si poneva lungo il solco della tradizione giuridica romana. La sovranità dei Romani d’Oriente, per quanto assoluta ed autocratica, conosceva de facto dei limiti che rendevano il basileus non soggetto alle leggi e alla loro coercizione, ma non di meno in grado di porre in essere leggi contrarie a quelle esistenti: “E’ degno della maestà del principe il dichiarare, che quantunque sia principe, si crede obbligato, e stretto dalle leggi; fino a tal segno la nostra autorità dipende da quella del diritto e della giustizia. Infatti il sottomettere il supremo potere alle leggi è cosa eziandio più grande che la sovranità, ed a noi piace di pubblicare, e far noto agli altri ciò che non crediamo lecito a noi medesimi” (Codex,  I.14.4.).

L’editto di Rotari del 643 è la più evidente testimonianza di tali influenze sul modello di regalità longobarda. Esso, pur presentandosi come un’affermazione antiromana ed anticattolica, costituì il punto centrale dell’evoluzione giuridica e politico-amministrativa dei longobardi. Fu il primo passo verso l’affermazione del diritto giustinianeo sopra il diritto barbarico perché segnava il passaggio dall’organizzazione tribale, e dalla tradizione orale della legge, al concetto di Stato, alla territorialità del diritto, alla norma scritta. L’Editto fu ribadito a Benevento nel codice legislativo emanato dal principe Arechi.

Questo processo di assorbimento della cultura romana non poté che sostanziarsi in una lenta conversione al cattolicesimo. A Benevento la cristianizzazione dei longobardi giunse a compimento negli anni in cui San Barbato fu vescovo della città. Con l’aiuto della duchessa Theodorada, il santo si fece promettere la conversione del duca Romualdo in cambio della vittoria sulle truppe assedianti dell’Imperatore bizantino Costanzo II. L’evento cruciale non fu la vittoria sui bizantini, ma l’apparizione della Madonna nei pressi di Porta Rufina a cui assistette anche Romualdo che rigettò il paganesimo e autorizzò la fusione dell’idolo d’oro raffigurante la vipera anfisbena per ottenerne un sacro calice da rituale cattolico. San Barbato, acclamato dal popolo, fu eletto vescovo, ristabilì così la cattedra episcopale rimasta vacante dalla fine del sec. V, come induce a credere il silenzio delle fonti, poi rescisse il noce intorno al quale venivano celebrati i riti del paganesimo longobardo ed eresse il tempio di Santa Maria in Voto a Piano Cappelle per celebrare l’apparizione mariana e la conversione.

Sotto Arechi la Langobardia Minor espresse con maggiore evidenza l’influenza di Bisanzio.

Il principe fece costruire a Benevento la chiesa di Santa Sofia sull’esempio dell’omonima struttura di Costantinopoli e ai moduli iconici bizantini si ispirò per la sua monetazione. Con Arechi si presentò anche un elemento di innovazione della regalità che non trovava esempi nell’Impero d’Oriente: l’unzione.

La parola unto corrisponde all’ebraico ashia (messia) e al greco chrisòs (cristo). “Presa allora Samuele un’ampollina d’olio, la versò sul capo di Saul, poi baciatolo gli disse: Ecco il Signore ti ha unto come principe della sua eredità e tu libererai il suo popolo dai nemici che gli stanno attorno” (Libro dei Re I, X, 1). Il primo riferimento effettivo alla consacrazione di un re è contenuto nelle lettere di Tel-el-Amarna ritrovate nel 1887 e appartenenti all’archivio reale di Akhetaton, lì dove il re siriano Ramman-niràri scrive al Faraone della consacrazione di suo padre e suo nonno, e della loro unzione con l’olio. Le unzioni bibliche di Saul e di Davide furono riprese nella ritualità di corte in Occidente, non in Oriente dove si celebrò la sola incoronazione affidata al Patriarca di Costantinopoli. “Re unti erano stati probabilmente primi tra tutti, i re visigoti… E’ comunque l’unzione di Pipino nel 751 all’origine di un tronco comune europeo al quale vanno ricondotti i riti di unzione degli imperatori germanici, che godevano della speciale prerogativa di essere unti dal papa e di potersi fregiare del titolo di canonico di San Pietro, dei re di Francia, di Inghilterra, di Scozia, di Aragona e anche dei sovrani di Svezia, Danimarca e Polonia” (MARIA ANTONIETTA VISCEGLIA, Riti di corte e simboli della regalità, Napoli 2009, pp. 22-3). Bisanzio si appropria molto tardi del rito dell’unzione forse per rispondere all’usurpazione del titolo imperiale da parte dei re franchi.

Arechi fu unto nel 774 a. C.: “Arechi fu il primo a voler essere chiamato principe, mentre fino a lui i signori di Benevento avevano il titolo di duchi: si fece, pertanto, ungere dai vescovi, cinse la corona e ordinò che in calce ai documenti si annotasse Scritto nel sacratissimo nostro palazzo” (Erchemperto, Ystoriola, 3). 

Dalle corti longobarde, il rito dell’unzione trasmigrò in quelle normanne e la sacra unzione divenne “dovuta de Jure al Re di Sicilia, al Gerosolimitano, al Francese e all’Inglese; agli altri per consuetudine o privilegio speciale”.  

Le prime unzioni normanne di cui si ha notizia si officiarono entrambe a Capuaper opera del locale arcivescovo, la prima è quella del principe Riccardo nel 1120: “In questo anno del quinto dì del mese di maggio i Capuani elessero a Principe Riccardo figliuolo del Principe roberto loro signore, atteso che questi era infermo; e poiché ebbonlo eletto, l’Arcivescovo Capuano, convocati i Vescovi, ed altri prudenti uomini, e Roffredo Eletto Beneventano, nel dì dell’Ascensione del Signore, quinto del detto mese di marzo, quel principe consacrò” (F. Beneventano, Chronicon) . La seconda è quella del principe Roberto nel 1128: “Allora l’Arcivescovo di Capua secondo il privilegio de’ suoi predecessori, in presenza di così gran Pontefice, com’era Onorio, con un gran numero di religiosi colà convenuti, e l’assemblea de’Vescovi, unse e confermò il predetto Roberto nell’onore del Principato”.  

Sono in verità assai scarne le informazioni che abbiamo sulle cerimonie anche nel caso dell’unzione di Ruggero II nel 1130: “Il Duca dunque condotto a modo di re nella chiesa arcivescovile e quivi unto con la sacra unzione, avendo presa la regal dignità, non si può esprimere a parole, né immaginare colla mente quale e quanta fosse allora in lui la maestà e nello splendore di re e nella mirabile abbondanza delle ricchezze“ (A. Telesino, Chronicon). Egualmente mancano dettagli per l’unzione di Guglielmo il Buono nel 1166: “Morto, Guglielmo, Guglielmo suo figlio maggiore, di anni dodici, gli successe nel regno, e il secondo giorno dopo la morte del padre, per comandamento della Regina, per consiglio degli Arcivescovi, de’ Baroni, del Popolo, fu gridato Re. Imperocchè andando quel giorno con la maggior gloria e regio apparato alla Chiesa di Santa Maria di Palermo, con l’assistenza di molti Arcivescovi, Vescovi e Baroni, fu da Romualdo secondo Arcivescovo Salernitano uno Re e coronato. Quindi con grandi onori e allegrezze del popolo intero, tornò colla corona sul capo al Palazzo” (R. Salernitano, Chronicon). 

L’unzione però era diventata un elemento cardine dell’ordinamento politico-sociale monarchico che faceva del sovrano la fonte del diritto e il garante delle leggi.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concessa dal gruppo di rievocazione storica “Cives Regni Siciliae”

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