Memorie della Grande Guerra: la primavera del 1916

E giunse la primavera e con essa la Quinta Battaglia dell’Isonzo. L’offensiva s’aprì l’11 marzo del 1916. Cadorna aveva collegato l’intera fase invernale a quest’offensiva contro la linea Sabotino-Oslavia per impadronirsi della testa di ponte e ricacciare il nemico oltre l’Isonzo, agendo nel contempo contro la linea San Michele-San Martino. Per la prima volta si sarebbe contato su una imponente artiglieria ed i pezzi sarebbero stati impiegati passando dal calcolo delle probabilità di tiro al principio del controllo incorciato degli effetti di ciascuna batteria su ogni obiettivo. Non si credeva più all’opportunità di lanciare le fanterie contro i reticolati intatti e si puntava sull’impiego delle bombarde per aprire delle brecce nel filo spinato. Le artiglierie a lunga gittata potevano constire di molestare i centri vitali del nemico dietro le sue linee, mentre i grossi calibri a tiro curvo potevano distruggere i ponti, fare controbatteria ed eliminare i principali osservatori. Ancora una serie di attacchi dall’alto numero di vittime che però restarono senza risultati apprezzabili.

Alla 2° Armata fu ordinato di attaccare le posizioni austriache sulla testa di ponte di Tolmino, mentre la 3° Armata, col VI Corpo di Capello, doveva attaccare il settore di Gorizia ed il margine occidentale del Carso, in particolare il settore del San Michele. Cadorna sapeva che l’operazione non avrebbe rapprsentato un passo decisivo per la vittoria ma andò incontro alla volontà degli alleati francesi che gli avevan chiesto di tenere impegnate le truppe asburgiche sul fronte italiano per impedire l’invio di rinforzi a Verdun. Il Monte Calvario restò al nemico, il Sabotino pure, San Martino del Carso fu conquistato ma solo per poche ore. Le condizioni metereologiche erano ancora dure ed ostacolarono i movimenti, in particolar modo nell’alto Isonzo. Abbondanti nevicate, freddo e fitte nebbie che riducevano la visibilità quasi a  zero, resero impossibile effettuare attacchi coordinati. Dopo cinque giorni, una nevicata improvvisa interruppe la battaglia. La pioggia trasformò il terreno in un pantano annullano le ventinove divisioni radunate da Cadorna. Si contarono 16.000 caduti.

Il nemico, sebbene debole in numero, si avvalsero come al solito della natura del terreno che favoriva il difensore e del loro efficiente sistema trincerato. Come sempre la loro intelligence si mostrò efficiente e aveva comunicato in tempo il possibile attacco. Le nostre artiglierie, più di 900 cannoni d’artiglieria campale rinforzati con 300 pezzi medi e 85 pesanti, colopirono dal Rombon all’Adriatico in un poderoso bombardamento che durò quasi quarantotto ore, tuttavia sembrò che le batterie mirassero spesso a bersagli generici piuttosto che specifici. Il fuoco di preparazione fu quindi molto meno efficace di come in teoria avrebbe dovuto essere. Fallirono gl sforzi della 2° Armata per arrivare alla conquista della conca di Plezzo e del Mrzli, fallì l’avanzata del VI corpo sul Podgora. La 3° Armata non ottenne risultati migliori sul Carso. Nel settore del San Michele si effettuarono ripetuti tentativi di prendere il monte ed il vicino paese di San Martino, ma la nebbia e l’efficienza delle difese austriache annullarono ogni possibilità di successo.

Sicuramente la breve iniziativa cadorniana servì a rassicurare i francesi sull’efficienza degli alleati, ma non riuscì a portare alcun aiuto a loro né servì a noi. Questa battaglia però contribuì in maniera decisiva all’evoluzione del pensiero militare di Cadorna perchè rafforzò in lui la convinzione che erano necessari cannoni di grosso calibro per lo sfondamento dell’Isonzo.

L’inverno cedeva lentamente il passo alla primavera ed i combattimenti si susseguirono. Il 26 si combattè sulle nevi delle Alpi Carniche in un combattimento che durò tre giorni e proseguì anche di notte e durante una tormenta, intorno al passo di Monte Croce Carnico. Alla fine gli italiani ripresero le posizioni perdute nel primo assalto austriaco, ma si contarono mille caduti.

Il Paese era sconvolto dalla pochezza dei risultati ottenuti a fronte di così tante vittime. Zupelli, dimissionario, fu sostituito dal generale Paolo Morrone il 4 aprile. Zupelli, responsabile del collegamento tra il governo ed il comando supremo, era finito vittima delle tensioni sempre più frequenti tra Cadorna e Salandra. Il primo ministro accusava apertamente Cadorna di non essere riuscito a conseguire successi di rilievo, intollerabile era poi la sua idea di non ammettere ingerenze nel suo comando nè fornire informazioni sui suoi pianti, pretendendo che ogni richiesta di uomini e materiali venisse accolta senza indugio. Aprile non fu più proficuo di marzo.

Triste fu la sorte di Treviso. La bombardarono idrovolanti asburgiti nella notte del 18. I primi aerei s’eran visti già alle 23 del 17, poi seguiti alle 2.30 del 18. Quattordici bombe fecero nove morti e una trentina di feriti. Uno degli aerei fu danneggiato dalla contraerea ed costretto ad ammarare a Grado. Il pilota venne catturato. Treviso, nel corso della guerra, risulterà bombardata ben 27 volte. Più di 1500 bombe produrranno 48 morti sino al novembre del 1917 quando la città fu in gran parte abbandonata. Solo trecento edifici restarono in piedi, del tutto indenni.

Il 17 una mina italiana aveva fatto saltare la cima del Col di Lana. Ritornato in mani austriache a novembre, questo monte risultava decisivo per il controllo del corridoio che dal Cadore conduce verso Trento e Bolzano. Gli italiani avevano tentato anche a dicembre di riconquistarlo, e, visti vani i loro sforzi, a gennaio avevano deciso di farne saltare la cima. Scavarono un tunnel e piazzarono l’esplosivo. Alle 23.30, la carica di 5 tonnellate di gelignite distrusse la cima. Metà del contingente austriaco restò ucciso dal crollo, 140 nemici furon fatti prigionieri. Il corridoio verso il Trentino restò però in mano austriaca. Tutto era pronto per la massaiccia offensiva austriaca progettata dall’arciduca Eugenio.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; A. Sema, La grande Guerra; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra

 

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