Memorie della Grande Guerra: ritirata dall’Alto Isonzo

Ancora padroni del Monte Nero, tenevamo al principio del 1916 trincee in terreni difficili, franosi, precari in tutta la conca di Plezzo e sulla dorsale Sleme-Merzli. Alcune posizioni furono abbandonate volutamente ed una nuova linea difensiva fu predisposta dal Krad Vhr (Monte Grad) al Monte Iessa, Costa Raunza e Costa Duole, scendendo sino sull’Isonzo all’altezza di Dolje (Dollia).

Il 13 marzo la 2° e la 3° Armata avevano riaperto gli attacchi su tutta la linea da Plezzo al mare. Il nemico rispose con una serie di contrattacchi particolarmente violenti. Postazioni furono perse e riconquistate di continuo. Le nostre truppe il 10 maggio ristrapparono all’austriaco il Monte Cuckla, perso il 13 febbraio, con un’azione temeraria del tenente colonnello Luigi Piglione, medaglia d’oro caduto negli scontri, alla guida dei battaglioni alpini Saluzzo e Bassano. Tuttavia la battaglia andò mano a mano languendo, arenandosi in scontri piccoli e cruenti.

Solo ad ottobre dell’anno successivo si verificarono eventi d’una certa importanza sul fronte dell’Alto Isonzo quando la 14° Armata, costituita da truppe austro-ungariche e tedesche, al comando del generale Von Below, concentrarono un grande attacco. La nostra 2° Armata era in numero inferiore; i due terzi del nostro esercito erano dislocati sul fronte della Venezia-Giulia e così l’attacco nemico era inaspettato.

All’alba del 24 ottobre tuonarono i cannoni tedeschi, verso le otto del mattino si mosse la fanteria austriaca con deciso impeto nella conca di Plezzo e nel settore della testa di ponte di Tolmino. Prima di mezzogiorno le nostre truppe, completamente sopraffatte, erano in ritirata; sfondate tutte le nostre difese, nel pomeriggio il nemico era padrone del Krad Vhr come di Caporetto. Il 26, con la caduta del Monte Maggiore, anche l’ultima nostra linea di difesa era scardinata e la via per Cividale era ora aperta.

Il Comando Supremo ordinò la ritirata al Tagliamento. La grande offensiva austro-tedesca riuscì ad impadronirsi di un nostro vasto trinceramento, ci costrinse ad abbandonare crinali e postazioni conquistate con enormi sacrifici di vite in una ritirata drammatica. Il tragico autunno di Caporetto sembrò porre il suggello degli eventi definitivi dall’esito disastroso, eppure, un anno dopo, queste zone videro fluire le nostre truppe vittoriose.

Nei fatti di guerra succedutisi nell’area dell’Alto Isonzo si contarono numerosi atti eroici. Innumerevoli furono gli sforzi dei nostri soldati, i gesti di valore, i sanguinosi e generosi sacrifici. I nostri riuscirono a tenere alto lo spirito davanti agli scarsi vantaggi territoriali, all’indecisione dei risultati sui vari teatri di guerra, alla montante propaganda neutralista e disfattista. Con spirito di adattabilità e senso del dovere, si affrontarono i disagi ed i pericoli, gli inveri rigidi, le estate roventi. L’area dell’Alto Isonzo valse la Medaglia d’Oro ai seguenti italiani:

Sergente Carlo Giuseppe, da Barletta, 12° Reggimento Bersaglieri. In aspro combattimento, trascinando seco con l’esempio i propri dipendenti, giunse primo sulla posizione ad occuparsi. Due Volte gravemente ferito, continuò ad incitare i compagni alla lotta. Ancora due volte colpito, si trascinò fino a pochi metri dall’appostamento gridando ai dipendenti che volevano soccorrerlo: Andate a sparare! e gloriosamente spirò (Monte Merzli, I giugno 1915).

Capitano Varese Vittorio, da Vercelli, del 3° Reggimento Alpini. Sebbene febbricitante, guidava con eroico slancio la propria compagnia all’attacco di una formidabile posizione nemica. Caduti tutti gli ufficiali, penetrava alla testa dei suoi nei successivi trinceramenti nemici, conquistando la posizione e facendo numerosi prigionieri e grosso bottino di guerra (Monte Nero, 31 maggio 1915 – 16 giugno 1915).

Caporale Pace Umberto, da Pettorano sul Gizio (Aquila), del 42° Reggimento Fanteria. Sempre volontario in tutte le imprese più arrischiate. Di giorno si portava sotto il reticolato nemico, tagliandolo ed attraversandolo. Nella notte vi ritornava e ricuperava la salma di un compagno caduto. Più volte vi collocava tubi esplosivi sotto il fuoco avversario e nell’ultima di queste ardite imprese lasciava gloriosamente la vita (Monte Sleme, 21 luglio 1915 – 14 agosto 1915).

Colonnello Trossarelli Giovanni, da Savigliano, comandante dell’89° Reggimento Fanteria. Mentre guidava con slancio il proprio reggimento all’attacco di una forte posizione nemica, colpito a morte spirava sul campo, dopo aver vietato agli astanti di trasportarlo al posto di medicazione e di parlare dell’accaduto, per il timore che la notizia della sua morte pregiudicasse le sorti del combattimento (Monte Merzli, 29 agosto 1915).

Sottotenente Mazzaresi Carlo, da Roma, del 119° Reggimento Fanteria. Sebbene ammalato si slanciava per primo all’attacco delle trincee nemiche, proseguendo nell’assalto quantunque ferito e incoraggiando i dipendenti. Giunto primo sull’obiettivo, vi lasciava eroicamente la vita, al grido di: Savoia! (Monte Rosso, 21 ottobre 1915).

Soldato Buccella Gino, da Trento, del 12° Reggim. Bersaglieri. Volontario irredento, appena diciassettenne, nell’assalto di una forte posizione cadeva colpito a morte gridando: Viva Trento! Viva l’Italia! Mentre veniva trasportato al posto di medicazione, incontrato un reparto che si portava in linea con la bandiera, volle baciarne ripetutamente il drappo gridando ancora: Viva l’Italia! ed incitando gli astanti alla lotta. Poco dopo spirava (Monte Sleme, 15 agosto 1915).

Tenente Colonnello Piglione Luigi, da Corsione (Alessandria), del 2° Reggimento Alpini. Ricacciava con brillante contrattacco un violento assalto avversario infliggendo al nemico gravi perdite e catturando prigionieri. In seguito, slanciatosi alla testa del suo battaglione all’attacco di una forte posizione avversaria e giuntovi fra i primi, vi trovava morte gloriosa (Monte Cukla, 10 maggio 1916).

Sottotenente Sertoli Antonio, da Sondrio, del 5° Regg. Alpini. Comandante di una sezione mitragliatrici, soverchiato da forze superiori e tratto prigioniero, riusciva a disarmare la scorta ed a ritornare sul campo della lotta. Per circa tre ore e benché ferito, continuava a guidare i suoi a continui contrattacchi. Colpito nuovamente da una fucilata al petto, si gettava ancora nella mischia cadendo trafitto da più colpi di baionetta e di pugnale (Vrsic- Monte Nero, 25-26 maggio 1916).

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; A. Sema, La grande Guerra; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra; Consociazione Turistica Italiana, Sui Capi di Battaglia. Il Cadore, la Carnia, l’Alto Isonzo; G. Baj-Macario-Anton von Pitrich, Prima di Caporetto; A. Sema, Piume a Nord Est

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