Il duca di Brindisi, spia e doppiogiochista

Discendente da una famiglia di banchieri fiorentini impiantatasi prima nel Regno di Sicilia e poi a Napoli, entrata in possesso del feudo di Brindisi della Montagna, in Basilicata, e decorata del titolo di duca da Filippo IV nel 1661, Giuseppe Antinori nacque a Napoli l’8 luglio del 1773 da Flaminio e Maria Antonietta di Goyzueta dei marchesi di Taverana. Condusse una vita abbandonata alle dissolutezze, al gioco, alle donne e ai debiti. Sposò per interesse la ricca Maddalena Battaglia che però se ne separò per maltrattamenti subiti e infezioni trasmesse. Rimasto solo il duca riprese la sua vita di dipendenze e turpitudini fino al momento in cui, condannato per debiti, iniziò a frequentare le carceri napoletane. Il suo nome compare in quelle di Santa Maria d’Agnone, di Montestanto e di San Felice. Fu infine condannato all’esilio quando, una notte del 1813, fu sorpreso ubriaco e nudo con due stallieri di Murat nelle scuderie di Palazzo Reale. Si guadagnò il perdono orchestrando una falsa una congiura borbonica, consegnando alla polizia lettere di Luigi Marigliano ed Oronzo Perrone che egli stesso aveva con menzogne sollecitato a scrivere all’indirizzo di Maria Carolina e del principe di Moliterno. Scoperto l’inganno, la polizia murattiana continuò lo stesso a servirsi del duca come delatore fintantoché fu scoperto in un altro suo raggiro. Quando i Borbone tornarono sul trono preferì trasferirsi a Roma poi a Firenze, spacciandosi per ricco possidente e vivendo nel lusso ma di artifici e imbrogli, accumulando debiti nell’albergo in cui soggiornava fino a quando entrò al servizio della polizia austriaca come informatore col nome di Filippetti.

Il Metternich lo destinò in Lombardia affinché conoscesse il Comitato segreto della lega degli indipendenti di Milano. Filippetti aveva l’incarico delicatissimo di conoscere i nomi dei membri del comitato, indicare dove esso si riuniva, appurare da dove ricevesse finanziamenti, chi lo guidava e quale potenza straniera lo sostenesse. Dopo diversi colloqui col conte Bubna, governatore militare della Lombardia, il duca comunicò che dietro il comitato c’erano le autorità inglesi e che tra i rivoluzionari c’erano figure come il conte Gamberana, in contatto anche con liberali torinesi. Bubna però lamentò a Metternich come Filippetti restasse sempre sul vago, annaspando quando gli si chiedevano informazioni circostanziate. Gli austriaci che pure lo pagavano a suon di luigi d’oro, non si fidavano, dovevano sempre verificare le notizie ricevute e il più delle volte essere erano inconcludenti. Per esempio il Gamberana era un devoto suddito dell’Austria e, a suo tempo aveva capeggiato l’insurrezione di Pavia contro i francesi. A lungo andare nacque il sospetto che il duca di Brindisi, cercando di lusingare Vienna con confidenze su presunte scoperte, cercasse invece, all’ombra della protezione che gli veniva accordata, di far proseliti per i rivoluzionari. Così fu convocato a Brescia e arrestato. Tutti i documenti che furono trovati nella sua casa furono sequestrati.

Il duca ammise pure certe sue leggerezze e alcune audaci invenzioni, ma ciò fece montare negli austriaci la rabbia perchè capirono che certe storie di sediziosi, leghe, murattiani e comitati vari venivano imbastite dal duca solo per guadagnare denaro. Condotto nelle prigioni di Peschiera e ben sorvegliato, il duca s’ammalò e allora Metternich accettò di farlo riportare a Brescia e concedergli cure e libertà, sebbene sotto controllo. Gli austriaci erano convinti che il duca potesse essere ancora impiegato in certe indagini. Nel frattempo, dal confronto con le rivelazioni altri delatori, non meno ambigui di lui, emerse che qualcosa di vero nelle comunicazioni inoltrate c’era: esisteva una Lega dei Guelfi che si prefiggeva l’indipendenza d’Italia. Non bastò questo a fornirgli neppure una parziale riabilitazione: dopo quattro mesi di soggiorno forzato a Brescia – dove aveva accumulato un centinaio di franchi di debito -, il duca fu rinchiuso nel castello di Piacenza.

Filippetti però aveva presenza, buone maniere, agilità d’intelletto, conoscenza delle lingue. Poteva essere sfruttato ancora. Metternich lo volle spedire allora negli Stati Uniti. Tale missione, allontanando il duca dall’Italia, era certamente il mezzo migliore per renderlo anche innocuo. Se i suoi movimenti fossero stati ancora equivoci, se avesse davvero provato a fare il doppiogioco, era comunque troppo lontano per crear danni. Doveva spiare stavolta l’operato e le intenzioni di Giuseppe Bonaparte che si era trasferito a Filadelfia nel 1817 col nome di conte di Survilliers.

Partito nel febbario del 1818 da Livorno, il duca di Brindisi restò in America fino a luglio. A quanto pare, si guadagnò l’amicizia del fratello di Napoleone e seppe che il principe aveva con sè due milioni di piastre e che il governo statunitense gli aveva accordato ottantamila acri ad un prezzo molto basso e pagabile in quattordici anni. Seppe pure che il francese stava organizzando una forza armata guidata dal generale Lallemand, forte di circa millecinquecento uomini, per conquistare il trono del Messico. Il duca fece ritorno in Europa, fermandosi in Inghilterra. Da qui spedì alcuni dispacci a Metternich annunciandogli importanti rivelazioni. Senza però ricevere il permesso di rientrare nei territori dell’Italia austriaca, si spostò a Parigi e poi mise piede a Milano. Qui fu arrestato per essere entrato in Italia senza permesso. Si seppe pure che, a corto di denaro, aveva venduto le notizie raccolte in America agli inglesi. Sollevato allora da ogni incarico, partì per Roma per poi ricomparire inaspettatamente a Torino sul finire del 1819.

Il Bubna s’era illuso d’aver definitivamente sepolto il duca di Brindisi, invece seppe che era stato mandato in Piemonte per conto della Russia. Lo zar voleva i suoi servigi per conoscere la situazione nel Regno di Sardegna e, da subito, il duca era entrato in contatto col Marchese di San Marzano e con notevoli personaggi della corte sabauda, mettendosi pure a spifferare notizie sui carbonari di Venezia, sulla Curia romana, sulla polizia austriaca nei regni italiani e su Bubna stesso. Scoprendosi sorvegliato e sentendosi minacciato, il duca raggiunse Monaco di Baviera, ma anche qui si ritrovò pedinato e allora cercò riparo in Svizzera e poi a Lione. Intanto, senza che lui lo sapesse, s’era attivata anche la diplomazia borbonica reclamando il suo arresto per le truffe compiute in Francia, ma in realtà ansiosa di punire un agente murattiano.

Bubna allora si mise all’opera per togliersi finalmente dai piedi l’infido personaggio. Gli conferì degli ordini fasulli e lo spedì a Napoli come agente austriaco. Entrato nel regno patrio nel novembre del 1820, l’Antinori si mise rapidamente in relazione con Carrascosa ed il duca di Campochiaro e incontrò emissari carbonari, tra i quali anche l’abate Luigi Minichini, già a maggio del seguente anno però le autorità borboniche lo fecero arrestare. Fu condannato ad un mese di carcere, liberato in anticipo e messo sotto stretta soveglianza.

Privo così di amicizie, appoggi e credito, si spense a Napoli, il 25 gennaio del 1856,  da tempo dimenticato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Cutolo, Il Duca di Brindisi

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