Papa Eugenio IV contro i Colonna

Martino V era un Colonna e, come tale, protesse la sua famiglia e si fece al contempo forte del suo appoggio. Alla sua morte, però, il partito avverso non tardò a manifestare la sua sete di rivalsa e la vecchia condizione di dipendenza del Papato dai Colonna fu subito spezzata.

Non di rado l’Urbe fu teatro di scontri tra famiglie. Il nuovo papa, Eugenio IV, nato Costante Gabriele Condulmer nel 1383, era veneziano e si ritrovò a capeggiare la svolta che portò Roma contro i vecchi suoi notabili. Puntò i Colonna, divenuti sotto Martino V la più potente famiglia aristocratica romana, e li colpì con la scomunica, li fece arrestare, imprigionare, giustiziare.

Martino V aveva favorito largamente gli esponenti della sua famiglia e concesso loro i feudi di Palestrina, Zagarolo, Genazzano, di Salerno, di Amalfi, di Ardea, Nettuno, Astura, Frascati, Marino, Rocca di Papa, Capranica, Paliano e Sonnino. Eugenio IV tolse loro tutto.

Nel 1431, più di 200 uomini morirono in questa guerra nelle prigioni di Castel Sant’Angelo e sulla forca. Due anni dopo il pontefice rinnovò a scomunica al Cardinale Prospero Colonna ed al Principe di Salerno, Giordano Colonna, suo fratello, ma stavolta le vittime reagirono, si organizzarono, complottarono, investirono grandi averi e riuscirono a far sollevare i romani. I Colonna guidarono l’insurrezione, sobillarono il popolo, lo spinsero a reclamare le dimissioni del papa ed Eugenio IV dovette fuggire vergognosamente prima da suo nipote Francesco Condulmer, anch’egli cardinale, poi fuori Roma, in gran segreto, nascosto su una barchetta e travestito da monaco. Fu però scoperto.

Scatenato il disordine a Roma, il pontefice si ritrovò braccato ovunque, inseguito dalla milizia comunale lungo le sponde del Tevere, col popolo che gli lanciava contro pietre da entrambe le rive. Evitò Ostia e si diresse allora a Civitavecchia dove Vincitello d’Ischia lo prese a bordo e lo portò a Pisa. Da qui il papa si spostò a Firenze e poi a Bologna per organizzare la contromossa.

Tutto gli fu facilitato dagli sconvolgimenti che non si quietavano a Roma dove il tentativo dei Colonna di dare i natali ad un governo comunale autonomo stentava a nascere. I tumulti crebbero con le vendette, le faide, le risse. Senza papa, la città cadde nell’anarchia. I baroni si levarono gli uni contro gli altri, i borghi divennero territori fuori controllo. Così, col sostegno degli Orsini, di truppe napoletane e milanesi, Eugenio IV ritornò a Roma.

A guidare le sue truppe c’era Giovanni Maria Vitelleschi, Vescovo di Recanati. Il condottiero toscano, sbaragliati i Colonna ed i loro alleati, i Savelli, spianò la strada al rientro del pontefice. Tutto fu celebrato con lo sfarzo con cui si celebravano le imprese dell’Antica Roma, archi di trionfo, parate, acclamazioni. Eugenio IV, novello imperatore, ed il Vitelleschi, suo campione, sfilarono in strade festanti che rimbombavano di ovazioni.

Fu la vittoria degli Orsini. I Colonna persero i loro castelli e la loro città, Palestrina, fu interamente distrutta dando ai suoi abitanti giusto il tempo di una settimana per andar via. Anni dopo, sul letto di morte, pensando alle tante cattive azioni che aveva dovuto fare contro la sua volontà per ragioni politiche, Eugenio IV avrebbe detto: “O Gabriele, quanto sarebbe stato meglio per la salute dell’anima tua che tu non fossi mai stato pata, né cardinale, ma fossi morto frate!”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: J. Heers, La vita quotidiana nella Roma pontificia

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