Il Museo della Civiltà Normanna di Ariano Irpino

Il castello di Ariano Irpino, oggi impraticabile ad eccezione di due torri ristrutturate, ospita il Museo della Civiltà Normanna.

La prima sala

Nei locali moderni costruiti all’interno del castello del castello di Ariano Irpino, nell’ottobre del 2009, è stato inaugurato il Museo della civiltà normanna. Se ne consiglia la visita previo appuntamento telefonico. Esso è strutturato su due sale. Il cuore della prima di esse è rappresentato da una grande esposizione di monete normanno-sveve. Tra esse spicca l’Augustale di Federico II e, più antico, il Ducale che, proprio durante le Assise di Ariano, fu scelto come moneta unica nel Regno di Sicilia. Il Ducale, in argento, mostra sul dritto il Cristo pantocratore e sul rovescio re Ruggero e suo figlio il duca di Puglia; l’Augustale è invece la moneta aurea di Federico II di Svevia, vi si trovano incise le immagini dell’imperatore e l’aquila di profilo con le ali spiegate.

 

Nella stessa sala è collocata una copia del mantello di Ruggero II il cui originale è con servato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Riveste poi notevole rilevanza un documento su pergamena che rappresenta un falso d’epoca con cui Enrico VI, padre di Federico II, concedeva dei territori ad alcuni signori locali. In seguito ad una disposizione dell’imperatore Federico II, che impose il controllo della documentazione in possesso dei nobili meridionali, vennero scoperti e cassati molti di questi falsi.

L’intero e prezioso patrimonio museale è di proprietà del Centro Europeo di Studi Normanni, che lo ha messo a disposizione in comodato d’uso. Particolarmente prestigiosa è la collezione di ceramiche comprendente reperti trovati nel castello a seguito degli scavi archeologici. Si tratta di frammenti di utensili e suppellettili di vario genere dai colori brillanti, alcuni risalenti al XIII secolo.

 

La seconda sala

La seconda sala propone al visitatore un gruppo di circa duecentocinquanta armi, per lo più lance. Si tratta di alabarde, picche, corsesche, falcioni, lance, ronconi, brandistocchi, scure, buttafuoco, alighieri, quadrelloni, forche, tridenti, spiedi,  appartenenti ad una collezione donata al museo dall’ingegnere Mario Troso. La sala delle armi costituisce, probabilmente, l’elemento più interessante del museo e sicuramente richiederebbe miglior valorizzazione a partire da una più dettagliata catalogazione delle armi con una esplicitazione, magari oleografica, del loro impiego e la costruzione di un percorso più corale con gli altri elementi della sala.

Accanto alle lance sono infatti collocate anche un’armatura del Cinquecento, una scure da decapitazione, la riproduzione di un guerriero normanno con equipaggiamento completo ed armi da taglio d’epoca romana. Nella stessa sala è possibile vedere pure un plastico della battaglia di Hastings con lo schieramento iniziale della battaglia tra l’anglosassone Aroldo II ed il normanno Guglielmo il Conquistatore.

Il castello

Eretto su un primitivo insediamento difensivo di epoca longobarda, incluso nell’attuale struttura, il castello fu ingrandito e potenziato in epoca normanna. Nello stesso periodo divenne sede abitativa del Conte di Ariano (T. Vitale, Storia della regia città di Ariano, Roma 1794). Da una prima struttura con torri quadrangolari a protezione della Torre Grande si è passati in epoca normanna ad una struttura più ampia e complessa. Quella attuale, con quattro torri circolari su base scarpata, è invece di tipo aragonese. Di fatti l’edificio fu completamente rimaneggiato dagli Aragonesi per ridursi a luogo disabitato già nel sedicesimo secolo, quando le autorità permisero l’utilizzo delle sue pietre per la costruzione del monastero dei Padri Cappuccini.

Vi si rifugiarono Riccardo, conte di Acerra, ed il legato papale Guglielmo Freschi, cardinale di San Eustachio. Nel 1225 fu semidistrutto dai Saraceni di Lucera e solo nel 1226 fu ricostruito. Nel corso dei secoli è appartenuto a numerosi feudatari tra i quali Enrico de Vaudemont, Francesco Sforza de Cotignola, Ferrante Gonzaga ed Alberico Carafa.

In età normanna, l’importanza della fortezza fu pari a quella raggiunta dalla città. La rilevanza del castello era dovuta alla sua posizione strategia, il sito infatti era crocevia tra il Sannio, l’Irpinia e le Puglie. La struttura domina le valli dell’Ufita, del Miscano e del Cervaro e permette un’eccellente visuale dei territori beneventani e le gole pugliesi. Il castello dovette apparire inespugnabile, lo stesso Ruggero II desistette dal porvi assedio nel 1139 per ritornarvi l’anno seguente quando l’intero territorio era sotto il suo controllo. Così Falcone Beneventano narra il fallito assedio: “Il re […] con il duca suo figlio ed il loro esercito congiunto, si portò contro la città di Ariano, feudo del Conte Ruggiero; immediatamente il re assediò la città e fece costruire delle macchine di legno per poterla espugnare. Ma i cittadini, e i cavalieri che erano con loro, non avevano affatto paura delle cose che si andavano approntando; infatti in città erano entrati duecento cavalieri e quasi ventimila uomini d‟arme. Il re allora, vedendola così ben fortificata e così pronta, diede ordine di spostare l‟accampamento e imbestialito, ordinò di abbattere e di devastare le vigne, gli ulivi, gli alberi e i campi che si potevano trovare; e così, dopo aver lasciato perdere l‟assedio di quella città, si trattenne per due giorni da quelle parti”.

 

Gli scavi archeologici nel castello

Secondo le notizie contenute in un lavoro di Ottaviano D’Antuono (La maiolica delle antiche fabbriche di Ariano nel Museo Civico, Ariano Irpino 2008), sul fondo della cisterna del mastio normanno, nei primi lavori di restauro del 1972, furono rinvenute integre, non solo numerose maioliche del sedicesimo secolo, ma anche balestre, elmi in bronzo e palle di cannone in pietra.

Tra il 1988 ed il 1994 furono condotte numerose indagini archeologiche. Prima di allora il castello non era mai stato esplorato e questi lavori hanno permesso di studiare ampiamente il complesso monumentale e di individuarne le principali fasi, databili tra l’età altomedievale e la fine del XVI secolo. Si sono individuate le superstiti strutture del castello longobardo, attestato da un atto del 893 della Badia di Cava dei Tirreni, e strutture riferibili alla fase svevo-angioina, quando l’impianto venne potenziato con l’aggiunta delle torri quadrangolari. La ristrutturazione d’età aragonese fu avviata dopo il 1486, quando Ariano, per volere di Ferrante d’Aragona, passò al regio demanio. Il castello, colpito dai terremoti del 1456 e del 1466, fu dotato di grandi torri angolari di forma cilindrica con base scarpata che incorporarono le vecchi torri a pianta quadrangolare del Tredicesimo secolo. Fu costruita pure una migliore recensione muraria e la Torre Grande sul luogo di una precedente torre di forma cilindrica. Gli scavi hanno poi individuato una forma per la fusione di campane, databile attorno al sedicesimo secolo, ed una fornace nella quale veniva fuso il bronzo da versare nella forma, forse del Quattrocento e precedentemente usata per la produzione di armi da fuoco e munizioni (M. Rotili e N, Busino, Castello di Ariano Irpino. Ricerche Archeologiche 1988-94, in “Archeologia castellana nell’Italia meridionale: bilanci e aggiornamenti”, Roma 2008).

Le Assise di Ariano

Scrive Gabriele Grasso (Il Castello di Ariano, Napoli 2000): “…Ariano sopra tutte, dové apparire, nel 1140, la più importante delle città del Mezzogiorno d’Italia, se re Roggiero, libero da ogni competitore, vittorioso di ogni città e di ogni conte ribelle, in quell’anno scelse Ariano per tenervi il primo Parlamento, sia in omaggio all’invitta resistenza offerta dagli Arianesi nell’anno precedente, sia in omaggio alla topografia della nostra città, ed alla fortezza del Castello”. In effetti, l’aspetto forse più importante di questo luogo è che qui Ruggero II emanò le Assise, di fatti una sorta di costituzione del Regno di Sicilia, il primo corpus legislativo emanato per l’intero regno meridionale. Esso fu sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all’Editto di Rotari, al diritto canonico, e che, con poche variazioni, fu poi ripreso nelle Costituzioni di Melfi di Federico II (Le Assise di Ariano, testo critico, traduzione e note a cura di O. Zecchino, Cava dei Tirreni 1984).

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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