Caterina Sforza, la tigre di Forlì

Caterina Sforza nacque a Milano nel 1463, fu signora di Imola e contessa di Forlì, e sarebbe passata alla Storia come la “Tigre” di quest’ultima città per via del suo indomito spirito guerriero, che, secondo le cronache del tempo, era pari (se non superiore) a quello di un uomo… I sopramenzionati titoli di signora di Imola e contessa di Forlì li condivise con il marito Girolamo Riario, già coinvolto nella nota Congiura dei Pazzi del 1478, nonché capitano generale della Chiesa sotto Papa Sisto IV, che era suo zio, e che a lui avrebbe voluto consegnare la città di Firenze qualora l’assassinio di Lorenzo e Giuliano dei Medici fosse andato a buon fine.

 

Caterina era figlia naturale del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani, moglie del cortigiano Gian Piero. Ciò nonostante, come era in uso all’epoca, venne ritenuta legittima ed educata alla corte di Milano, che era ammirata in tutta Europa per la sua raffinatezza. I primi anni della sua vita li condivise comunque con la madre naturale, che ebbe con lei un rapporto molto stretto, fino agli ultimi anni che Caterina avrebbe vissuto a Firenze, e dalla quale ereditò l’amore per le armi e per il comando. Solo dopo essere divenuto duca di Milano nel 1466, Galeazzo Maria Sforza fece trasferire nella città lombarda i suoi quattro figli, compresa Caterina. Quest’ultima si distinse fin da giovane per le sue azioni coraggiose al limite della temerarietà; il che non le impedì di essere anche una madre amorevole per gli otto figli che avrebbe avuto, l’ultimo dei quali sarebbe stato il famoso capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere.  A corte ricevette l’istruzione di stampo umanistico tipica dell’epoca, ritrovandosi circondata da letterati e artisti, che l’avrebbero in seguito ammirata anche per la sua avvenenza. Ma il matrimonio con il sopramenzionato Girolamo Riario avvenne nel 1473, quando Caterina aveva solamente dieci anni. Varie fonti testimoniano comunque che esso venne consumato solo dopo che ella diventò tredicenne.

Papa Sisto IV procurò a Girolamo Riario la signoria di Imola, ove Caterina poté fare il proprio ingresso solenne nell’anno 1477. Quindi raggiunse il marito a Roma. Qui trovò un ambiente culturalmente assai vivace, dal momento che la città, dopo una fase di transizione tra il periodo medievale e quello rinascimentale, stava per divenire il centro artistico più importante dell’Europa del tempo. Alla corte romana ella si trovò immediatamente a proprio agio, grazie anche al suo atteggiamento amabile e disinvolto, tra balli, pranzi e battute di caccia con un’aristocrazia composta da poeti, filosofi e artisti provenienti da vari Paesi: fu presto ammirata come una delle donne più belle ed eleganti, e si trasformò in breve tempo da fanciulla adolescente in ricercatissima intermediaria tra le corti di Roma, Milano e di altre importanti città italiane. Ma la vita dei coniugi Riario mutò improvvisamente con la morte del Papa Sisto IV, zio di Girolamo, avvenuta il 12 agosto 1484: infatti, non appena la notizia divenne di dominio pubblico, tutti coloro che avevano patito le ingiustizie del suo pontificato portarono per le strade di Roma disordini e terrore, distruggendo anche la casa dei Riario (palazzo Orsini) che era sita in Campo dé Fiori. Caterina raggiunse dunque a cavallo Castel Sant’Angelo, ove si asserragliò con i suoi soldati, decisa a consegnare la fortezza solo al nuovo Papa. I cardinali rinunciarono persino ad entrare in conclave per eleggere il successore di Sisto IV, temendo di trovarsi sotto il tiro delle artiglierie della indomita nobildonna. Il Sacro Collegio chiese a suo marito Girolamo, che si era collocato con il suo esercito in una posizione strategica, di lasciare la città in cambio di 8 mila ducati, il risarcimento dei danni subiti, la conferma della signoria su Imola e Forlì, nonché la carica di capitano generale della Chiesa. Fu solo a questo punto che Caterina, dopo dodici giorni di resistenza, si arrese, ricongiungendosi con la sua famiglia e lasciando Roma, ove poté finalmente svolgersi il conclave.

Il nuovo Papa eletto fu Innocenzo VIII, loro avversario, il quale infatti, pur confermando a Girolamo Riario (nel frattempo rientrato a Forlì con la moglie) i suoi titoli, lo dispensò dalla presenza a Roma, privandolo di ogni effettiva funzione e senza più retribuirlo. Quando Girolamo, ormai a corto di danari, si vide costretto ad inasprire le tasse e a ripristinare i dazi precedentemente soppressi, si inimicò l’intera popolazione di Forlì, che prese a cospirare perché avesse fine la signoria dei due coniugi. Girolamo, marito di Caterina, venne così ucciso il 14 aprile del 1488 a seguito della congiura della nobile famiglia degli Orsi, che si dice avessero preso il nome da un loro ascendente per il fatto che questi era particolarmente peloso. Ed un orso la figura stampigliata anche sullo stemma della casata. Caterina venne invece fatta prigioniera insieme ai suoi figli. Ella prese però possesso con l’inganno della rocca di Ravaldino, che era una cittadella posta al centro del sistema difensivo di Forlì, decisa a riprendere il potere. Gli esponenti della famiglia Orsi le rammentarono che avrebbero potuto sbarazzarsi dei suoi figli, ancora nelle loro mani, certi che la pur valorosa combattente avrebbe ceduto di fronte ad una tale minaccia. E invece lei rispose che se li avessero assassinati, avrebbe ben saputo vendicarli. Sull’episodio nacque anche una leggenda, non del tutto confermata dalle fonti storiche, secondo la quale ella, dall’alto delle mura, avrebbe esclamato: “Impiccateli pure davanti a me”, per poi sollevarsi la gonna mostrando il pube con la mano, aggiungendo “Ho qui quanto basta per farne altri!”.

Di fronte a tanta spavalderia e sfrontatezza gli Orsi desistettero dall’idea di toccare i giovani Riario, e Caterina poté così diventare nuovamente Signora di Forlì ed Imola, grazie anche all’appoggio dello zio Ludovico il Moro Duca di Milano, interessato a conquistare una certa influenza su quella zona della Romagna al fine di contrastare le ambizioni di Venezia.

Secondo l’usanza del tempo, il primo atto di Caterina fu quello di vendicare il marito: tutti i congiurati della famiglia Orsi e le loro donne (comprese quelle di altre famiglie che pure avevano preso parte al complotto) vennero imprigionati e le loro case rase al suolo, mentre i loro averi furono distribuiti ai poveri. Quindi Caterina prese ad occuparsi personalmente di tutte le questioni riguardanti il suo ‘Stato’ di Forlì ed Imola, il quale, per quanto piccolo, per la sua posizione strategica aveva una certa importanza nel quadro della politica italiana: doni scambiati con i signori confinanti, matrimoni combinati dei figli al fine di ottenere alleanze favorevoli, riduzione dei dazi, addestramento delle milizie e approvvigionamento di armi e cavalli. Un regnante uomo non avrebbe saputo fare meglio, ed i suoi sudditi mostrarono di apprezzare il suo prodigarsi su più fronti. Il che non le impedì di rimanere una donna impegnata anche ad occuparsi del bucato e di cucire. Sfortunatamente il giorno 8 aprile 1492 (lo stesso anno della scoperta dell’America) moriva Lorenzo il Magnifico, l’oculato politico che, dopo essere sfuggito alla Congiura dei Pazzi, aveva saputo tenere a freno le rivalità tra i vari Stati della Penisola. Il 25 luglio dello stesso anno lo avrebbe seguito nella tomba anche Papa Innocenzo VIII, ostile ai Riario, sostituito sul soglio pontificio da Papa Alessandro VI, il quale invece, quando era ancora il cardinale Rodrigo Borgia, aveva stretto buoni rapporti con Caterina e l’ormai defunto marito durante la loro permanenza romana, frequentando spesso il loro palazzo e divenendo anche il padrino del loro primogenito. Di contro egli si mostrò (almeno inizialmente) favorevole alla discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia nel 1494, chiamato in aiuto da Ludovico il Moro dopo il riaccendersi degli attriti tra il suo Ducato di Milano ed il Regno di Napoli

Caterina si trovò in qualche modo presa tra due fuochi, essendo le sue terre passaggio obbligatorio per l’esercito francese diretto verso il Sud Italia: da un lato suo zio Ludovico il Moro la sollecitava a schierarsi dalla parte sua e di Carlo VIII, mentre il cardinale Raffaele Riario la invitava ad allearsi con il Regno di Napoli, sostenuto dal Papa Alessandro VI, che aveva cambiato idea. Alla fine Caterina scelse di appoggiare il re di Napoli, Ferdinando II d’Aragona, ma si vide tradita dagli alleati napoletani, che non la difesero nel corso del primo attacco ad Imola e Forlì. Decise dunque di cambiare parte, raggiungendo un accordo con il re di Francia Carlo VIII, il quale comunque non attraversò le sue terre, raggiungendo Napoli attraversando l’Appennino e conquistandola in soli 13 giorni. A questo punto i principi italiani quali Ludovico il Moro e Venezia stessa temettero di perdere la propria indipendenza, ben comprendendo che se Carlo VIII non fosse stato fermato, l’Italia si sarebbe trasformata in un’altra provincia di Francia. Si riunirono dunque in una lega antifrancese che sconfisse Carlo VIII nella battaglia di Fornovo

Ad ogni modo Caterina, essendo riuscita a rimanere neutrale, dopo la cacciata dei francesi mantenne buoni rapporti sia con il Duca di Milano che con il Papa. A questo punto ella si innamorò perdutamente del giovane Giacomo Feo, fratello appena ventenne del castellano Tommaso, che le era rimasto fedele dopo la morte del marito Girolamo Riario. Sposò Giacomo, ma in segreto, al fine di non perdere la tutela dei figli, anche se le cronache del tempo riportano che fosse talmente invaghita del suo secondo marito da avere l’intenzione di affidare a quest’ultimo il suo Stato piuttosto che al primogenito Ottaviano. Il potere del giovane Giacomo era però presto aumentato al punto tale che egli era odiato da tutti, compresi i figli di Caterina: il 27 agosto del 1495 egli venne dunque assassinato (così come il precedente marito di lei), rimanendo vittima di una congiura della quale erano al corrente anche i figli della Contessa, nonostante ella non ne fosse a conoscenza. La sua vendetta fu talmente spietata da valerle il titolo di “feroce”: nel caso dell’omicidio del primo marito, infatti, la sua rivalsa contro i congiurati si era svolta secondo le regole in uso nel Rinascimento, e si era comunque trattato di un matrimonio non da lei voluto, bensì “combinato” a fini politici quando aveva, come sappiamo, solamente dieci anni. Adesso invece, a 32 anni, si era vista uccidere l’uomo che amava, e la sua tempra di combattente, unita al dolore di una donna che perdeva in modo violento il giovane marito per il quale spasimava, la resero una belva assetata di sangue. Le cronache del tempo raccontano con particolari truculenti la brutalità con la quale i cospiratori vennero sterminati, e si narrò di una Forlì “annegata nel sangue” e di brandelli di carne umana sparsi per ogni dove.

L’anno seguente, il 1496, vide giungere Giovanni de’ Medici, detto il Popolano, quale ambasciatore di Firenze (divenuta nel frattempo una Repubblica) a Forlì. Egli fu alloggiato con il suo seguito entro la sopracitata fortezza di Ravaldino in appartamenti adiacenti a quelli della Contessa. Tra i due scoccò la scintilla, e Caterina si sposò per la terza volta, con il consenso dello zio Ludovico il Moro e questa volta anche dei figli. Fu da questo matrimonio che nacque il futuro condottiero Giovanni dalle Bande Nere. Purtroppo anche Giovanni morì, in questo caso per malattia, nonostante fosse stato trasferito presso la vicina Santa Maria in Bagno, le cui acque si riteneva fossero miracolose. Caterina, chiamata d’urgenza, assistette impotente alla dipartita del consorte e divenne vedova per la terza volta. Era il 14 settembre del 1498, e la loro unione aveva dato origine alla linea dinastica granducale dei Medici, che si sarebbe estinta solo con Anna Maria Luisa nel 1743.

Al trono francese era frattanto succeduto il re Luigi XII il quale, come il suo predecessore, invase l’Italia con un forte esercito quando era l’anno 1499, insediandosi a MilanoPapa Alessandro VI si alleò con il nuovo re francese in cambio del suo appoggio per la costituzione di un regno in favore del figlio Cesare Borgia, il noto e controverso condottiero, proprio in terra di Romagna. Fu per questo che una bolla pontificia fece cadere le investiture feudatarie di quelle terre, comprese le città di Caterina.

Al fine di opporsi all’esercito francese in arrivo ella chiese aiuto a Firenze, ma questa aveva già i suoi problemi con il Papa, che voleva toglierle Pisa, e la Duchessa si trovò sola a difendere i suoi possedimenti di Imola e Forlì. Così iniziò subito ad arruolare ed addestrare quanti più uomini possibile, arroccandosi nuovamente a Ravaldino, rinforzandone le difese e spedendo i suoi figli tra le mura amiche di Firenze. Cesare Borgia conquistò facilmente Imola mentre Caterina, dal momento che i cittadini di Forlì non erano certi di voler subire un assedio, si rinchiuse ancora una volta con i suoi soldati nella cittadella fortificata di Ravaldino, ritenuta praticamente inespugnabile.

I due eserciti presero a bombardarsi a vicenda, con gravi perdite tra i francesi e danni non gravi alle mura della cittadella. Gli assediati ricostruivano infatti di notte quanto veniva distrutto durante il giorno, trovando anche il tempo di suonare e ballare in sfregio al nemico. La strenua resistenza di Caterina venne ammirata in tutto il Paese con canzoni ed epigrammi, e fu assai lodata dallo stesso Niccolò Machiavelli, che redasse una cronaca a proposito di quegli eventi, come pure fece Francesco Guicciardini nella sua Storia d’Italia. A questo punto il Duca Valentino, che guidava l’esercito francese, cambiò tattica, facendo tuonare le sue bocche da fuoco anche di notte, fino ad ottenere l’apertura di due grossi varchi. La battaglia decisiva fu combattuta il 12 gennaio del 1500 e fu assai cruenta, vedendo la stessa Caterina resistere con le armi in pugno, fin quando non venne catturata. Subito ella si dichiarò prigioniera dei francesi, sapendo che esisteva in Francia una legge che impediva di far prigioniere di guerra le donne. Il Machiavelli, imputando la caduta di Ravaldino a difetti di costruzione e alle operazioni di difesa dirette con poca efficacia da Giovanni da Casale, ebbe a scrivere: “Fece dunque la mala edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva vergogna alla magnanima impresa della Contessa”. Ad ogni modo Cesare Borgia ottenne dal generale dell’esercito francese la custodia di Caterina, con la promessa che ella avrebbe ricevuto un trattamento da ospite, e non da prigioniera. Ciò nonostante, pare che il Borgia avesse invece più volte abusato di lei. Per inciso lo stesso Cesare era anche fratello di Lucrezia Borgia, la cosiddetta “avvelenatrice d’uomini”, alla quale la Duchessa si rifiutò di dare in sposo uno dei suoi figli. Successivamente Caterina, che aveva tentato di fuggire, fu imprigionata a Castel Sant’Angelo, proprio il luogo ove in gioventù si era asserragliata decisa a non arrendersi fino all’elezione del nuovo Papa. Per giustificare una tale incarcerazione Alessandro VI la accusò di aver cercato di ucciderlo con lettere impregnate di veleno inviategli in risposta alla sopracitata bolla pontificia che la deponeva dal suo feudo. Che fosse vero o meno, la Contessa rimase imprigionata a Castel Sant’Angelo fino al 30 giugno del 1501, quando fu liberata dallo stesso generale francese che l’aveva consegnata a Cesare Borgia. Dal momento che quest’ultimo era stato ormai nominato Duca di Romagna, suo padre Papa Alessandro VI la costrinse però a firmare la rinuncia ai suoi Stati.

A questo punto Caterina raggiunse i suoi figli a Firenze, soggiornando presso le ville che erano appartenute al suo terzo marito Giovanni, lamentandosi di essere maltrattata e di vivere in ristrettezze economiche. Ma il 18 agosto 1503 Papa Alessandro VI morì e il figlio Cesare Borgia perdette il suo potere sulla Romagna. Il nuovo Papa Giulio si dimostrò favorevole a restituire Imola e Forlì alla famiglia Riario, ma gli abitanti delle due città, memori delle stragi perpetrate da Caterina dopo l’assassinio del suo amato Giacomo, non ne vollero sentir parlare. Fu così dunque che la Contessa trascorse gli ultimi anni della sua vita a Firenze, dedicandosi a figli e nipoti, oltre che ai suoi vecchi “experimenti” e ad una fitta corrispondenza con parenti ed amici in Romagna e a Milano. Morì di polmonite il 28 maggio del 1509 all’età di 46 anni, e sarebbe stata definita “Quella tygre de la madona di Forlì, che aveva tucta spaventata la Romagna”.

 

 

 

 

Autore articolo: Giuseppe Scaravilli

 

Bibliografia: G. Scaravilli, Fatti e personaggi della storia, Europa Edizioni

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