Le mura di Genova tra Seicento e Ottocento

Genova fu a lungo impegnata nella costruzione di un costoso sistema difensivo. Nei secoli eresse ben sette cinte murarie di cui, le Mura Nuove, realizzate tra il 1626 ed il 1639, costituiscono, con i  loro 19 chilometri, la più lunga cinta muraria d’Europa

 

Le “Mura Vecchie” e le “Mura nuove”

Ad inizio Seicento la città era contornata da un unico circuito murario, quello progettato da Giovanni Maria Olgiati nel 1536. Queste “Mura Vecchie” furono edificate sull’ultimo tracciato di quelle medievali e pensate per prevenire un attacco della Francia nonchè uno ottomano fronte mare.

Quando nel 1625, l’esercito sabaudo attaccò e conquistò Ovada, Novi, Gavi, Voltaggio, prima di essere respinto, si impose un ripensamento del sistema difensivo in vista di nuovi attacchi dei Savoia, appoggiati dalla Francia nemica della Spagna cui invece i Genovesi erano alleati.

Sulla scorta dell’esperienza di quell’anno, Genova affidò nuovi lavori murari a Bartolomeo Bianco e Bastiano Ponsello. Alle “Mura Vecchie”, si affiancarono così le “Mura nuove”, costruite sui disegni di Vincenzo Maculano da Firenzuola, una estesa muraglia sul crinale dei monti e lungo la riva, che ebbe come apice nord il Monte Peralto e come basi da un lato la Lanterna e ad est la foce del Bisagno. A costruzione ultimata, nel 1634, la cerchia muraria annoverava un complesso di 49 bastioni, con garitte ad ogni angolo e con 8 porte di accesso alla città le cui più importanti e monumentali erano Porta della Lanterna a ponente e Porta Pila a levante. Furono impiegati 8000 operai e i lavori costarono più di dieci milioni di lire.

Grazie a queste opere, lo sbarco tentato dalle truppe di Luigi XIV nel 1684, ad ovest ed est della città per cingerla d’assedio, fu respinto. La Repubblica però subì  in quelle vicende un tremendo attacco navale: sulla città caddero circa sedicimila bombe, Genova contò enormi danni alle sue mura e fu d’obbligo iniziare subito opere di rafforzamento delle difese con l’introduzione di batterie di mortai il cui tiro coprisse lo spazio di mare in cui si erano ancorate le galeotte da bombe francesi (bombarde) durante il bombardamento.

Nel Settecento, però, la Guerra di Successione Austriaca fece cadere l’illusione che la cinta seicentesca potesse garantiere un sufficiente grado di sicurezza fronte terra. Si palesò la necessità di spostare in avanti, all’esterno delle mura, la linea difensiva cittadina. Fecero la loro comparsa le grandi ridotte a pianta poligonale del colonnello svizzero De Sicre, proveniente dalla scuola di Vauban, il grande architetto di Francia. Per questo Ispettore Generale delle Fortificazioni era necessario erigere altre fortificazioni distaccate dalla cinta, in modo da impedire al nemico d’approssimarsi troppo ad essa, espugnarla e calare in città. Nella progettazione dei quattro forti esterni, a Quezzi, a Santa Tecla, Diamante e Richelieu – che deve il nome al Maresciallo Armand du Plessis de Richelieu, che difese la città durante l’assedio – , De Sicre dettò un ulteriore passo in avanti rispetto a certi approcci, con la costruzione di ridotte dai parapetti bassi. Egli rivide il ruolo del “campo trincerato” che, nel pensiero di Vauban, doveva essere secondario rispetto a quello della “piazza”, e con la linea dei quattro suaccennati forti e dei forti dei Due Fratelli, fu il “campo trincerato” a divenire l’elemento principale di difesa.

Sostanzialmente fu spostata verso l’esterno la linea difensiva della città attraverso trinceramenti e opere campali coi quali si intendeva garantirsi posizioni privilegiate sui crinali delle valli Bisagno e Polcevera. Tuttavia solo il Forte di Diamante fu completato. Ciò non deve sorprendere perchè per un piccolo stato dalla modesta fiscalità, la realizzazione di costose opere difensive era pensabile solo in situazioni di emergenza o grazie a contribuzioni straordinarie.

 

Il periodo napoleonico e quello sabaudo

L’inserimento della Liguria nell’Impero francese segnò l’inizio di una grande stagione progettuale con l’impianto fortificato non più pensato solo in funzione della difesa da un aggressore esterno, ma anche come elemento di controllo interno. Napoleone, che visitò le fortificazioni di Genova nel 1805, diede disposizioni relative all’ampliamento del campo trincerato, al completamento e ammodernamento delle opere già esistenti, ma, ancora una volta, il Corpo Imperiale del Genio si scontrò con le ristrettezze di bilancio. Nel 1814, alla fine dell’epopea napoleonica, risultati significativi si erano avuti solo per il Forte Quezzi.

Furono progettate tre torri isolate e permanenti, a pianta quadrata con muratura in pietra e volta a botte di copertura in laterizio, in sostituzione delle vecchie postazioni provvisorie del Puin e dei Due Fratelli, realizzate poi dal Genio sabaudo. Anche i fortini di De Sicre furono oggetto di ulteriori lavori ma non completati.

Passata ai Savoia, dopo il Congresso di Vienna, Genova, da capitale di una repubblica aristocratica scarsamente dotata di risorse e infrastrutture militari, divenne una importante città militare, la principale piazzaforte del Regno di Sardegna, e costituì il terminale meridionale della cintura di sicurezza antifrancese che andava dal Mare del Nord al Mediterraneo. Genova acquisì una duplice funzione: quella di grade caposaldo fortificato a guardia del fianco meridionale del Piemonte e quella di principale base navale del regno, oltre ad essere base importante per la flotta inglese nel Mediterraneo e punto chiave della linea di rifornimento marittima delle armate sarda e austriaca schierate in Nord Italia

Centrale fu l’operato del Maggiore Giulio D’Andreis cui è da attribuire la realizzazione del campo trincerato. In sostanza si tratta della trasformazione delle opere avanzate realizzate per proteggere le Mura Nuove durante l’assedio del 1747, da opere campali in opere permanenti. Il campo trincerato, pensato nel Settecento, prese corpo in tutta la sua imponenza con diciotto forti, collegati fra loro da un articolato reticolo di strade militari, quattro lungo il circuito della cinta maestra, due interni ad essa e dodici distaccati.

Lo Sperone fu modificato con la costruzione di un doppio fronte bastionato verso la città, la realizzazione di una grande caserma e l’ampliamento di quella già esistente. Si eresse la grande piramide tronca di Torre della Specola e ulteriori caserme difensive furono edificate sulle posizioni di Begato e della Tenaglia. A ponente della cinta, in posizione avanzata, presero corpo il Belvedere e la Crocetta; a settentrione, le caseforti del Puin, del Fratello Maggiore e del Fratello Minore. All’estremo nord del campo trincerato, il Diamante venne ampiamente ristrutturato, assumendo la forma attuale, al pari dei forti di Quezzi, Richelieu e Santa Tecla. A nord di questi, il Forte Ratti e, a sud, i forti San Martino e San Giuliano andarono a completare, insieme alla Torre Quezzi, la linea di difesa avanzata del “Oltre Bisagno” fino al mare. Altre torri furono realizzate: quella sul Ratti e quella di San Bernardino. All’interno della cinta, per controllare la città, furono realizzati la caserma fortificata di Castelletto – demolito dopo la sollevazione del 1849 e sostituito da un nuovo complesso fortificato sul colle di San Benigno – e il Forte San Giorgio. La nuova porta e batteria della Lanterna e i lavori di ammodernamento della cinta andarono a completare il quadro degli interventi alle fortificazioni. Le novità non si fermarono all’impianto fortificatorio perchè una grande piazza da guerra nella quale erano stanziati circa 7.000 soldati necessitava di infrastrutture come caserme, cavallerizze, magazzini, uffici, carceri, poligoni, un ospedale, uno stabilimento per la polvere da sparo.

L’insieme di queste opere fu realizzato sotto la supervisione britannica ed austriaca con l’intento di intercettare le possibili direttrici di una nuova invasione francese.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: E. Beri, Genova e La Spezia da Napoleone ai Savoia. Militarizzazione e territorio nella Liguria dell’Ottocento

 

 

 

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