La Risiera di San Sabba

La risiera di San Sabba è stato un lager nazi-fascista, situato a Trieste, utilizzato come campo di detenzione di polizia, nonché per il transito e l’eliminazione di un gran numero di detenuti, in prevalenza prigionieri politici o ebrei.

Le incursioni dei titini che partivano dalla pensiola rendevano insicure le arterie di collegamento di Gorizia e Udine con la Slovenia e la Croazia. Bisognava stroncare la resistenza e riprendersi l’Istria, fu questo l’obbiettivo della “Wolkenburch”. Il controllo di quel territorio era essenziale per garantire le linee di comunicazione attraverso le quali si muoveva la Wehrmacht. Il litorale adriatico era una cerniera strategia e logistica fondamentale tra la Germania ed i Balcani. L’Operazione Nubifragio tolse quello spicchio di terra agli slavi. Tutto cominciò il primo ottobre 1943 con un’azione appoggiata dalla Luftwaffe e condotta da reparti di tre divisioni corazzate e due di fanteria, fatti affluire a sostegno dei circa cinquemila uomini della 71° divisione di fanteria Hoch und Deutschmeister che avevano occupato Trieste, Pola e Fiume. La Wehrmacht, partendo dalle colline del Carso che sovrastano Trieste, si mosse divisa in tre colonne, la prima diretta su Fiume, l’altra verso l’Istria centrale e la terza verso la costa occidentale. Non mancarono rastellamenti e le violente rappresaglie, il 9 ottobre 1943 fu conquistata Rovigno e, nel giro di due settimane, l’Istria era sotto il controllo tedesco.

Così nell’autunno del 1943, sulle macerie dello stato fascista, avanzarono le pretese annessionistiche del Reich. Le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, annessa all’Italia nel maggio del 1941, una volta occupate dai nazisti, furono organizati nella Operationszone Adriatisches Kustenland – OZAK (Zona di operazioni del Litorale Adriatico), affidata a Friederich Rainer, gauleiter della Carinzia e già governatore dei territori sloveni occupati dai tedeschi. Allo stesso modo venne istituita una Operationszone Alpensvorland (Zona di operazioni delle Prealpi) con le province di Trento, Bolzano e Belluno. In pratica, il Friuli e la Venezia Giulia venivano sperati dal resto dell’Italia, ufficialmente per ragioni militari.

Non è un caso che fosse stato scelto l’austriaco Rainer come oberste kommissar. Questi infatti era sempre stato un assertore dell’Anschluss e della politica grossdeutsch, propulsore del movimento espansionistico germanico nelle regioni rivendicate dall’Austria. Così, in una lettera del 9 settembre del 1943 a Ribbentrop, si espresse a favore del ripristino della frontiera austro-italiana del 1914, sostenendo una schiacciante presenza etnica e linguistica di non italiani in quelle zone e l’esistenza di un vivo e buon ricordo della vecchia amministrazione austroungarica. Nell’esercizio delle sue funzioni fu affiancato da Odilio Lotario Globocnik, capo supremo di SS e Polizia, nato a Trieste da genitori sloveni. I due avevano militato insieme nelle fila del partito nazista austriaco e nelle SS. La carriera di Globocnik era sembrata, ad un certo punto, in caduta libera, per la scoperta di un suo coinvolgimento in speculazioni illegali di valute estere, ma Rainer intervenne in suo favore e Globocnik era allora divenuto SS Brigadefuhrer, capo delle SS e Polizia del distretto di Lublino e responsabile della liquidazione degli ebrei di Polonia nei campi di Chelmno, Belzec, Sobibor e Treblinka. Fu proprio col suo arrivo a Trieste che ebbe inizio la storia della Risiera di San Sabba.

Il Gauleiter della Carinzia e della Carniola, avviò una rapida “germanizzazione” della regione, mettendo in atto misure dirette sia contro gli italiani che gli slavi. Alla stampa italiana fu affiancata quella in lingua tedesca, prima assente, e pure lo sloveno, prima proibito, per delegittimare le autorità italiane e la politica d’italianizzazione che fino ad allora avevano adottato, ma anche per favorire la divisione sociale. Rainer si servì di funzionari austriaci che si inserirono nel tessuto amministrativo ai massimi vertici in sostituzione del personale italiano ed istituì anche un tribunale speciale, il Sondergericht, con cui l’amministrazione della giustizia passò ai tedeschi. Al pari anche l’amministrazione militare finì tutta in mani germaniche, quelle del generale Ludwig Kubler.

Con Rainer e Globocnik arrivarono in città gli uomini dell’Einsatzokommando Reinhard (EKR) che avevano gestito i lager polacchi, nonché altri ufficiali austriaci che formarono i quadri del Sicherheitsdienst, della Sicherheitspolizei, della Geheime Staatspolizei e della Kriminalpolizei. Tra questi figuravano Christian Wirth, già direttore degli istituti dell’Aktion TK predispostiallo sterminio dei cittadini tedeschi “invalidi” e “malati mentali”, Kurt Franz, vicecomandante del campo di Treblinka, l’SS Hauptsturmfuhrer Franz Stangl, comandante dei lager di Treblinka e Sobibor, ed il Polizeimaster Otto Stadie che trasferiva gli ammalati a Bernburg dove venivano uccisi col gas. Proprio Stadie fu il boia di Trieste, tuttavia affermò al processo di non ricordare nulla delle uccisioni, così come del resto aveva sostenuto per i fatti di Bernburg, spacciandosi per infermiere.

Costoro, appena giunti a Trieste, trasformarono il vecchio complesso di edifici per la lavorazione del riso in un lager vero e proprio. Parliamo della Risiera di San Sabba.

Come è facile intendere, strutture, impianti, trattamento dei prigionieri, violenze ed esecuzioni del lager triestino furono simili a quelle dei lager polacchi. Migliaia di uomini, donne e bambini ebrei italiani, sloveni e croati patirono indicibili sofferenze nella risiera. Quest’area di ridotte dimensioni fu adattata . Nel cortile interno, il vecchio essiccatoio fu adattato a locale per eliminazioni con la costruzione di un forno crematorio con il condotto da fumo collegato alla base della vecchia ciminiera. Ai lati del cortile, al quale si accede da un altro cortile esterno tramite un sottopassaggio, c’erano degli edifici usati come prigioni con cameroni sempre affollati e, al pianoterra di uno di essi, diciassette soffocanti microcelle permanentemente illuminate, per prigionieri politici e partigiani destinatial forno. Ancora altri spazi in edifici di tre, quattro e sei piani erano destinati all’ammasso delle vittime da eliminare o spedire in Germania e al magazzino dei beni loro sottratti. Non mancavano neppure stanze per sartoria, calzoleria, cucine…

Costruita nel 1898 nel periferico Rione di San Sabba, la risiera venne dapprima utilizzata dai tedeschi come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, poi venne strutturata come Campo di detenzione di polizia, destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Sul tipo di esecuzione in uso, le ipotesi sono diverse e probabilmente tutte fondate: gassazione in automezzi appositamente attrezzati, colpo di mazza alla nuca o fucilazione. I cadaveri venivano poi bruciati in forni. Non sempre la mazzata uccideva subito, per cui il forno ingoiò anche persone ancora vive. Fragore di motori, latrati di cani appositamente aizzati, musiche, coprivano le grida ed i rumori delle esecuzioni.

All’inizio del 1944 entrò in funzione un forno crematoio innaugurato da Erwin Lambert che trasformò il preesistente essiccatoio collegando il condotto del fumo alla vecchia ciminiera dell’impianto. In questo forno, il 3 aprile furono inceneriti i cadaveri di 72 persone fra militanti antifascisti, partigiani e di ostaggi italiani, sloveni e croati, fucilati il giorno prima nel poligono di tiro di Opicina. Secondo calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze, il numero delle vittime che furono qui cremate oscilla tra le tremila e le cinquemila persone, ma un numero ben maggiore di prigionieri passarono di qui per essere smistati nei lager o al lavoro obbligatorio, diretti a Buchenwald, Dachau e Auschwitz. Nella Risiera di San Sabba le eliminazioni di massa e quelle signole erano frequenti. Le uccisioni singole avvenivano ogni notte, quelle di massa anche serali con gruppi che variavano da 50 fino a 150 persone. La cadenza di tali massacri era di una-due volte a settimana. Le esecuzioni si protraevano sino al mattino. Torturare e bruciare, vecchi, malati, bambini e donne incinte, rubare i beni alle vittime,estorcere somme ingenti ai prigionieri più ricchi per sostituirli nelle esecuzioni con quelli più poveri, furono metodi orribili e disumani che testimoniano la viltà, il sadismo e la corruzione delle SS collaudate nei campi polacchi. L’orrore era immenso: alla luce di numerose testimonianze spesso i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati ad essere uccisi, venivano stipati assieme ai cadaveri destinati alla cremazione.

L’edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Si era ormai alla vigilia dell’insurrezione generale in questa zona di confine e contria fuoco tra tedeschi e partigiani del PCI erano già avvenuti in diversi punti. Rainer era partito la notte prima alla volta di Udine per raggiungere l’Austria attraverso la Carnia, seguito poi da Globocnik. Gli ultimi prigionieri, sarti, calzolai, cuochi, falegnami ebrei e oppositori italiani e jugoslavi, forse quaranta persone in tutto, furono liberati.

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Oliva, Foibe; A. Scalpelli (a cura di), San Sabba, istruttoria e processo per il lager della risiera

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