Torino nel Quattrocento

Torino nel Quattrocento contava poco più di cinquemila abitanti. Era divisa in quattro quartieri che pendevano il nome dalle sue antiche porte. Nel corso del secolo vennero aperte altre porte ma Torino era in sostanza una città povera. Le attività artigianali di rilievo riguardavano la seta, la carta, la lana, quelle commerciali era legata al transito dei negozianti che dalla Francia si spostavano verso l’Italia centrale. La vita cittadina si diramava attorno al suo Duomo. Le sue case avevano pareti in muratura, ma il tetto in legno e paglia e solo nel 1448, dopo un furioso incendio, una disposizione comunale ordinò che anch’essi dovessero essere costruiti in muratura. In via Milano alloggiava il tribunale dell’Inquisizione e dove ora è il Seminario c’era la Zecca. Il governo della città era affidato a due sindaci, che restavano in carica sei mesi, assistiti da una giunta detta “Minor Credenza” ad integrazione del consiglio detto “Maggior Credenza”. I clavari vigilavano sulle finanze pubbliche. Il tutto si svolgeva sotto il controllo del Vicario del Duca, nel rispetto degli Statuti del 1360, detti Codice della Catena.

Amedeo VIII incorporò il feudo piemontese nel suo stato. Con una grande cerimonia, il duca comparve alla testa di un migliaio di lance ornate di bandiere azzurre coi nodi sabaudi e la croce bianca. Entrò così il 1 gennaio 1419 a Torino. Così nacque il Piemonte, non più solo espressione geografica, ma entità politica. Nell’agosto del 1424, il duca, con una seconda cerimonia nella piazza di Thonon, decise di costituire il Principato di Piemonte e l’affidò a suo figlio Amedeo. Questi lasciò Pinerolo e venne a stabilirsi a Torino. La città era mutata sotto gli Acaia. Si erano aggiunte, alle vecchie, le nuove porte di San Michele, San Martino. Fuori le mura vi erano dei borghi, quello di Porta Doranea, dove vi erano i mulini della Dora, quello di Porta Susina o di San Donato e gruppi di case sorgevano attorno all’antica abbazia di San Salvatore fuori Porta Marmorea, ma la città non doveva essere così ricca poichè gli statuti tacciono del tutto delle sue corporazioni. Morto prematuramente il giovane Amedeo, lo seguì suo fratello Ludovico. Il principato comprendeva Mondovì, Cuneo, Fossano, Pinerolo, Biella, Ivrea, Aosta, Vercelli, Chivasso, Crescentino, Trino, Moncalvo, Pontestura, quasi tutto il Piemonte, escluso il Marchesato di Monferrato e quello di Saluzzo, Vercelli ed Alessandria, in possesso dei Visconti, ed Asti, dominio degli Orleans. L’ambizioso Amedeo VIII accettò la nomina ad antipapa, scomparendo nel 1451, e Ludovico, provando ad eguagliare la grandezza paterna, tentò di espandere i suoi domini. In realtà erano emerse problematiche che Amedeo VIII non aveva previsto, scontri e gelosie tra le diverse regioni, antiche o successivamente conquistate, rivalità tra gruppi di paesi e tradizioni diverse. I piemontesi sembravano gelosi dei savoiardi che occupavano gli uffici migliori della corte e dell’amministrazione. I savoiardi si mostravano ostili ad ogni espansione dello stato nella pianura padana. Alla fine il duca, con una feudalità indisciplinata, fu sconfitto dagli Sforza.

In questi anni Torino fu teatro di uno dei più grandi miracoli della fede cattolica. Il 6 giugno del 1453, giorno della ricorrenza del Corpus Domini, un mulo che traportava il bottino di una rapina compiuta ad Exilles si fermò stranamente davanti alla Chiesa di San Silvestro. Padre Giovan Battista Semeria, nella sua Storia della Chiesa Metropolitana di Torino, così raccontò il fatto: Quando il mullo fu intrato in porta Sussina per gratia e volunttà de Dio nostro se fermò insino che innanci la Giesa di Santo Silvestro, e yvi se gittò a terra, e furono disligate le balle per voluntà de Dio senza adjuto humano ed usì fori il vero Corpus Domini cum il reliqujario in laere miraculosamente cum grande splendore et ragij che parìa il sole…”. L’ostensorio si levò in cielo, senza mai toccar terra. Dal duomo uscì allora il vescovo, attirato dalle esclamazioni della folla, e, con invocazioni e preghiere, ottenne che la teca e l’ostia scendessero tra le sue mani.

Ma quello fu pure l’anno in cui il duca Ludovico portò a Torino la Sacra Sindone, dono della contessa Margherita di Chanry, vedova del conte Goffredo, governatore della Piccardia e Gran Ciambellano del re di Francia.

Ludovico ebbe ben diciassette figli. Morì nel 1465 e gli successe suo figlio primogenito Amedeo IX, marito di Violante di Valois, sorella di re Luigi XI. Il monarca francese s’intromise pesantemente nelle faccende piemontesi, addirittura concedendo in moglie a Galeazzo Maria Sforza la sorella di lui, Bona di Savoia. Il Principato di Piemonte si ritrovò così strettamente dipendente dalla Francia e, nella guerra tra Luigi XI e Carlo il Temerario, duca di Borgogna, la Savoia appoggiò il re Luigi. Amedeo si disinteressò però di politica, lasciando che sua moglie gestisse tali faccende, invece divenne terziario francescano e dopo la sua morte, sopraggiunta nel 1472, fu proclamato beato.

Da questo momento una lunga serie di lutti segnò la politica piemontese. Filiberto, figlio di Ludovico, successe al padre a soli otto anni e governò poco. A diciassette spirò. La moglie, Bianca Maria, non aveva dato figli al giovane duca e la corona passò così al fratello Carlo. La sorte non fu benigna neppure con lui: morì ventiduenne e sei anni dopo, nel 1496, fu seguito nella tomba da suo figlio Carlo Giovanni Amedeo. La corona ducale passò allora a Filippo II, conte di Bagé, che però morì a Chambéry dopo appena diciotto mesi di regno e fu sepolto all’Abbazia di Altacomba. Gli successe il figlio Filiberto II che tentò di slegarsi dall’influenza francese prendendo in moglie Margherita, figlia dell’Imperatore Massimiliano. Nel 1504, a soli 24 anni, anche Filiberto morì, stroncato da una pleurite.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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