Uluc Ali il rinnegato

Giovanni Galeni, il famigerato Uccialì, era nativo di Liscateli, una località calabrese segnalata presso Capo Colonna. L’uomo era stato inviato a Napoli per studiare teologia nel 1535 ma in quella circostanza fu rapito da un rinnegato greco, Ali Ahmed, corsaro al servizio della Reggenza di Algeri. Finito così nella ciurma barbaresca, a quanto pare iniziò a fare la spia, o per lo meno tale era considerato dagli altri cristiani a bordo che presero ad evitarlo, rifiutavano di sedersi accanto a luci e non lo lasciavano mangiare con loro.

Oltre all’odio dei cristiani si guadagnò la fiducia dell’ammiraglio e si convertì all’islam, scelta grazie alla quale poté avere la libertà di accumulare denaro. Tra servigi e razzie riuscì ad ammucchiarne così tanto da poter armare una fregata ed avere un suo equipaggio affiancandosi agli altri corsari di Algeri sino a divenire uno dei più importanti schiavisti musulmani del suo tempo. E’ di fatti incalcolabile il numero di bambini, donne e uomini adulti che catturò sulle sponde del Mediterraneo cristiano avviandoli alla cattività nei mercati di schiavi delle città musulmane.

Si unì al corsaro turco Dragut e strinse una forte amicizia con Hassan Pasha, un veneziano, divenuto come lui musulmano e corsaro dopo essere stato rapito. Risiedette Gerba dove, nel maggio del 1560, respinse le galee del Viceré di Sicilia, Juan de la Cerda, Duca di MedinaCeli, con l’aiuto del grande ammiraglio ottomano Piyale Pasha, un croato, probabilmente anch’egli un ex cristiano.

Nel 1565, lui e i suoi rinnegati presero parte al fallito assedio di Malta, respinto dalle forze cristiane e segnato, tra l’altro, dalla morte del suo mentore Dragut. Piyale Pasha lo nominò governatore di Tripoli e quest’incarico lo tenne per oltre due anni durante i quali si arricchì enormemente poi, nel marzo 1568, fu designato beylerbey di Algeri. Beylerbey vuol dire “comandante dei comandanti” e rappresentava il rango più elevato nella gerarchia degli amministratori locali.

Ricco, spietato e potente fu tra i più influenti uomini del mondo ottomano. Giocò un ruolo importante nella rivolta dei moriscos inviando ripetutamente uomini, armi e munizioni ad Almeria. Nel dicembre del 1569, alla testa di una flotta di venti galee ed un esercito composto da circa 5.000 giannizzeri, cacciò da Tunisi la dinastia hafside, sottomessasi alla Spagna. Nel 1571 conquistò Dulcigno, che divenne uno dei principali centri della pirateria e del commercio di schiavi nel Mediterraneo.

In quell’anno partecipò alla Battaglia di Lepanto, guidò l’ala sinistra dello squadrone ottomano di fronte all’ala destra cristiana comandata dall’ammiraglio genovese Gianandrea Doria. Grazie ad un’abile manovra, Uluç Ali allontanò le sue navi dal centro e si diresse lentamente verso il mare aperto. Doria sentì che il suo avversario voleva superarlo per contrattaccarlo e allora manovrò di conseguenza lasciandosi scivolare verso l’alto mare. Le navi di Uluç Ali cambiarono improvvisamente direzione e tornarono verso il centro attaccando dodici galee cristiane, tra cui la Capitana di Malta catturandone il capitano, Pietro Giustiniani. Nello scontro su questa nave, morirono quasi tutti i trenta cavalieri che erano a bordo mentre gli ottomani contarono circa trecento morti. La nave fu trainata via nel tentativo di portarla come trofeo ad Istanbul ma le navi spagnole di Alvaro de Bazan riuscirono a riprenderla. Anche Pietro Giustiniani fuggì e Uluç Ali tenne lo stendardo dell’Ordine di Malta.

Uluç Ali fu l’unico comandante ottomano a lasciar vivo la battaglia, riuscì a raggiungere Istanbul il 18 dicembre di quell’anno con i resti della sconfitta armata. Qui, riconoscendo il valore e l’impegno, il Sultano Selim II gli offrì il titolo onorifico di Kilic Alì, “Spada di Ali”, e gli affidò la riorganizzazione della flotta in coordinamento con il gran visir Sokollu Mehmed Pascià, anch’egli un rinnegato cristiano ortodosso serbo.

Tanti onori gli valsero tante rivalità, invidia, gelosia. Dovette persino servirsi di guardie personali e lasciare la dimora dei beylerbey per vivere a Fort Haj Ali. Si è pure scritto che, su consiglio di Papa Pio V, Filippo II provò a riportarlo al cristianesimo, tuttavia Uluç Ali rifiutò.

Nel 1573, salvò Modone assediata, quindi nel 1574 riprese Tunisi agli spagnoli che l’avevano conquistata dopo la battaglia di Lepanto. Nel 1578, fu inviato a Cipro per punire la milizia che aveva ucciso il loro governatore Arab Ahmed che non pagava loro regolarmente i loro saldi. Principe dei saccheggi, signore delle violenze, re dello schiavismo, prima di morire volle far erigere una moschea per essere ricordato per le sue opere di beneficenza. Pure al sultano venne da ridere e gli disse: “Sei il capitano dei mari. Vai e costruisci la tua moschea sul mare”. Fu così che sorse, sul lato europeo di Istanbul, la Moschea di Kiliç Ali Pasha costruita dall’architetto Mimar Sinan, manco a dirlo un altro ex cristiano.

Morì nel luglio del 1587 nel suo palazzo sulla collina di Top-Hana, non si sa se avvelenato da uno schiavo cristiano o con un taglio alla gola del suo barbiere.

Secondo alcuni storici turchi, i suoi genitori erano in realtà turkmeni che vivevano sulla costa di Aydin e Uluç Ali fu rapito dai Cavalieri di San Giovanni e portato in Italia dove finì a fare il servo di un nobile calabrese. Quando, all’età di 11 anni, fu inviato a Napoli per studiare teologia, fu rapito da Ali Ahmed Reis, che sentitolo parlare arabo e conosciuta la sua storia l’avrebbe preso a cuore. In realtà queste sono solo alcune delle voci diffuse per “nobilitare” le sue origini pari a quelle, di parte cristiana, che lo vorrebbero ritornato al cattolicesimo in punto di morte.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Alessandro Barbero, Lepanto. La battaglia dei tre imperi; Lemnouar Merouche, Recherches sur l’Algérie à l’époque ottomane; S. Bono, Corsari nel Mediterraneo: cristiani e musulmani fra guerre, schiavitù e commercio

 

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