Vicende torinesi tra Duecento e Trecento

Nel 1148, Amedeo III di Savoia morì a Nicosia durante la Seconda Crociata e suo figlio Umberto III, venerato dalla Chiesa come beato, aveva soli tredici anni. Fu quindi il vescovo Carlo I a reggere temporaneamente il potere di Torino, ma non ebbe gioco facile.

Proprio a Torino, Federico Barbarossa si fece incoronare per la seconda volta re d’Italia, ma tra i partecipanti pesò quel giorno l’assenza di Umberto, una forma di protesta per ricordare i suoi diritti. La situazione era ancor più grave perchè, fedele all’imperatore, Carlo si era schierato con l’antipapa Vittore IV, mentre Umberto III era sempre stato dalla parte di Alessandro III. Il papa riuscì a proteggere il conte contro i suoi avversari ecclesiastici e gli concesse addirittura che nessun prelato potesse mai scomunicarlo senza l’ordine esplicito di Roma. Ciò fornì grande potere al conte e la fortuna arrise alla sua gloria perchè le vicende della quarta venuta in Italia di Barbarossa gli fornirono l’occasione di una rivincita. L’imperatore fuggiasco chiese il passatto nel valico del Moncenisio tenuto dalle truppe sabaude ed Umberto acconsentì alla sola condizione di riottenere la contea. E’ così che la ottenne. Tra i due lo scontro non si affievolì: l’imperatore, deciso a riprendersi Torino, tornò nel 1185 e Umberto III si rifiutò di riceverlo finendo colpito dall’interdizione, spogliato d’ogni suo possesso e diritto. Suo figlio Tommaso, di unici anni, sotto la protezione dello zio Bonifacio I, marchese di Monferrato, si vide concedere la fine del bando che aveva colpito il padre e poi si lanciò alla conquista di Torino che nel frattempo era sotto il totale controllo del vescovo.

Sotto la guida di Bonifacio, Tommaso divenne un coraggioso cavaliere ed un valente uomo d’azione, ma seppe anche emanciparsi dalla tutela del marchese, evidenziando un carattere fiero ed indipendente; si trovò in contrasto con la Contea di Ginevra, ma ben presto strinse alleanza col Conte di Ginevra, Guglielmo I, di cui sposò la cui figlia; prese pure parte alla Quarta Crociata, abbandonandola dopo l’assedio di Zara per tornare a dedicarsi ai suoi dominii lacerati dalla ribellione di piccoli feudatari e dall’ostilità di Asti. Per garantirsi la pace cedette ad Asti il dominio di Bra e Fontane e numerosi altri castelli e, per mettere a tacere gli oppostiori interni, s’accordò col vescovo, Giacomo di Carisio, e si ritrovò così schierato coi guelfi contro i ghibellini di Federico II. Torino, scossa da turbolenze interne, seguì le vicende degli altri comuni con un balletto di posizioni, oggi alla Lega Lombarda, domani con lo Svevo. La città tentò di guadagnarsi così la propria libertà, anche contro le manovre del conte. Amedeo IV di Savoia, nuovo conte, cercò di approfittarne, ma sulla città l’imperatore aveva ambiziosi progetti: punto strategico di primo ordine doveva diventare assolutamente un suo caposaldo, così propose di far sposare a suo figlio Manfredi, la figlia di Amedeo IV, rimasta vedova del marchese di Salluzzo. Tutto saltà con la sconfitta imperiale a Parma. Il marchese di Monferrato, Bonifacio II, insorse con i comuni della Lega Lombarda e provò a prendersi Torino per schiacciare definitivamente Federico II, ma il capitano imperiale Bernardo Liberello incarcerò i capi della cospirazione. I Savoia restarono in questo frangente vicino all’imperatore e finirono scomunicati. Ricevettero in cambio, nel 1245, l’intera contea, ma Federico non sapeva che Tommaso II s’era già accordato con papa Innocenzo IV per sposarne la nipote, Beatrice Fieschi, e tornare guelfo.

Il suo dominio fu inviso ai ghibellini piemontesi capeggiati da Asti. Costoro lo sconfissero nella battaglia di Montebruno, frazione di Garzigliana di Pinerolo, il 23 novembre 1255, e lo tennero prigioniero. Fuggito, finì catturato dal suo stesso popolo che lo tenne in catene nella torre di Porta Susina. Torino fu sotto il controllo di Asti sino al 1265 quando l’ultimo loro podestà, Pietro di Braida, fu scacciato da Carlo d’Angiò, che aveva già sottratto agli astigiani Alba e Savigliano. Gli angioini furono successivamente sconfitti dall’esercito del Marchese Guglielmo VII del Monferrato nel 1276. Quest’ultimo, tuttavia, ebbe dominio breve, poiché sconfitto da Tommaso III di Savoia, detto “il Tommasino”, nel 1280.

Due anni soli Tommaso III riuscì a conservare la contea perchè alla sua morte, suo fratello Amedeo V, tenne per sé la Savoia e cedette Torino al nipote, Filippo d’Acaia, che però – rivendicando per sè anche il titolo “de sabaudia comes” – si stabilì a Pinerolo.

In questo turbolento periodo Torino divenne uno snodo nevralgico nei commerci delle Alpi occidentali. Tutti i mercanti, toscani e lombardi, tutti quelli diretti alle fiere di Champagne e di Fiandra, tutti quelli che dalla Francia si riversavano invece in Italia, dovevano passare per la Novalesa, il pianoro del Cenisio. Tali viaggiatori trovavano ospitalità nei numerosi ospizi prossimi alla Stura, l’ospedale di San Giacomo, quello di San Lazzaro, quello di San Biagio. Non mancarono neppure famosi alberghi del centro, come il San Giorgio, il Falcone, i Tre Re. I mercanti transitanti avevano l’obbligo tassativo di fermarsi una notte in citt e ciò favorì l’industria alberghiera. Era, infatti, stabilito che dovessero entrare se venivano d’Oltremonti da Porta Susina, se venivano dall’Italia dalle Porte Fibellona e di Palazzo. Tutto era stato stabilito per assicurare il regolare pagamento dei pedaggi. Alle porte vi erano i collettori ed al centro della città vi era l’ufficio dei pedaggi. Ogni tentativo di frode comportava la confisca delle merci. Non si battè moneta propria perchè il continuo via vai di mercanti rendeva necessario il corso di tutte le città.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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