Il tradimento di Novara, 10 aprile 1500

“Fatal Novara” è un’espressione famosa nella storia e nella letteratura italiana, creata da Giosuè Carducci nella celebre ode Miramar. A rigore il termine dovrebbe far riferimento alla nave Novara della marina austro-ungarica, che da Trieste portò l’arciduca Massimiliano d’Austria in Messico verso l’impresa sfortunata conclusasi davanti a un plotone d’esecuzione a Queretaro. Spesso l’espressione è stata utilizzata, erroneamente, per fare riferimento alla sconfitta piemontese del 1849 che concluse la I Guerra d’Indipendenza. Eppure Novara fu realmente “fatale”, nella storia d’Italia, molti anni prima del Risorgimento, e fu fatale a quello che era forse il più ricco e splendido stato italiano, vale a dire il Ducato di Milano. Novara inaugurò la conquista straniera dei potentati italiani, con tutto ciò che ne sarebbe seguito.

La nostra storia inizia con un matrimonio, celebrato a Melun il 17 agosto 1389, tra il duca Luigi d’Orleáns, fratello minore di re Carlo VI di Francia, e la diciottenne Valentina, figlia di prime nozze di Gian Galeazzo Visconti signore di Milano. In Francia il matrimonio portò a discendenza e qualche anno dopo Gian Galeazzo, che nel 1395 aveva ottenuto per diploma imperiale il titolo di duca di Milano, morì lasciando come disposizione testamentaria che i discendenti di Valentina avrebbero avuto il ducato nel caso di estinzione dei Visconti. La cosa si verificò nel 1447, alla morte del duca Filippo Maria, e Carlo d’Orleáns, figlio di Valentina, tentò timidamente di far valere il testamento ma nulla se ne fece. Milano provò l’effimera esperienza della Repubblica Ambrosiana e quindi nel 1450, “manu militari”, si impose la dinastia degli Sforza, che in parte basò il proprio diritto successorio sul matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria, figlia illegittima dell’ultimo duca visconteo. Il ducato sforzesco superò quello visconteo in splendore, ricchezza e magnificenza, giocando un ruolo di primo piano nella politica italiana della seconda metà del ‘400. Dal 1480 alla testa del ducato si impose Ludovico Maria Sforza, meglio noto come Ludovico il Moro, figlio quartogenito di Francesco, prima come reggente e tutore per il giovane duca Gian Galeazzo, poi dal 1494, con una usurpazione duca anche di nome e non solo di fatto. Ostile alla dinastia aragonese di Napoli, Ludovico Maria invitò in Italia il re francese Carlo VIII, che vantava delle pretese dinastiche proprio su Napoli, e questo fatto diede inizio alle guerre d’Italia e quindi al conseguente predominio straniero nella Penisola. Ma tutto ciò non fu chiaro a Ludovico, anche se probabilmente si pentì di ciò che aveva fatto unendosi alla coalizione italiana che costrinse Carlo VIII a rientrare in Francia aprendosi il passo a Fornovo. Era il 1495 e Ludovico Maria continuò a regnare per altri quattro anni dal Castello Sforzesco di Milano, circondato da una splendida corte, senza presagire quale tempesta stava per abbattersi su di lui e su tutta l’Italia. E morto Carlo VIII la nemesi storica arrivò: quello che Ludovico Maria avrebbe voluto fare agli Aragonesi fu fatto a lui.

Luigi XII, quale erede di Valentina Visconti, proclamò il proprio diritto al ducato di Milano, armò un esercito, varcò le Alpi e attaccò il ducato. Questo non era indifeso ma Ludovico non trovò molti capitani disposti a morire per lui mentre la popolazione non lo vedeva di buon occhio a seguito degli inasprimenti dei carichi fiscali. E il re di Francia si era ben premunito, facendogli terra bruciata intorno e alleandosi con Venezia e il papa Borgia, Alessandro VI. Nessun aiuto gli venne dall’Imperatore Massimiliano, cui aveva dato in sposa la giovane nipote Bianca Maria. L’esercito milanese si sciolse come neve al sole nell’agosto 1499, cadde Alessandria unica ad opporre una minima resistenza, caddero Voghera e Tortona, i Veneziani attaccarono da est. Ludovico scappò e già il 2 settembre abbandonò Milano, ove i francesi entrarono pochi giorni dopo, capeggiati da un nobile milanese, il Trivulzio, nemico di Ludovico.

Ben dotato di mezzi finanziari lo Sforza si rifugiò presso l’Imperatore, prima a Bolzano, poi a Innsbruck e infine a Bressanone, e si diede da fare per riconquistare il ducato. A Milano, nel frattempo, dopo il breve soggiorno di Luigi XII tra ottobre e novembre, l’entusiasmo anti-sforzesco della popolazione si era molto smorzato di fronte alle vessazioni francesi e del governatore Trivulzio. Ludovico mise a frutto i suoi potenti mezzi finanziari e reclutò un’armata per riconquistare il suo trono. Secondo il Muratori reclutò 8000 mercenari svizzeri e 1500 cavalieri borgognoni, mentre secondo Pieri larga parte nel suo esercito ebbero anche lanzichenecchi tedeschi. Ma l’affidare le sue fortune agli svizzeri gli sarebbe costato caro.

Gli svizzeri erano mercenari, e che mercenari! Erano considerati combattenti di prima qualità e venivano da una grande successo proprio contro l’Imperatore Massimiliano, che in quello stesso anno 1499 avevano battuto nella breve ma violentissima Guerra Sveva. Erano il genere di esportazione primario della Eidgenossenschaft, l’alleanza di cantoni indipendenti che fu il precursore storico della moderna confederazione. E il re di Francia era già allora il maggior cliente degli svizzeri, formando i formidabili picchieri il nucleo delle fanterie francesi, con piccardi e guasconi un corollario di seconda scelta. Essi combattevano per tutti, sino a quando veniva pagato il loro soldo, ma conservavano un forte senso di identità nazionale, formato in due secoli di lotte continue per affermare la loro indipendenza. Questo fattore fu sfortunatamente trascurato dal Moro.

All’inizio del febbraio 1500 Milano era stufa dei francesi e del Trivulzio. Quando si diffuse la voce che Ludovico scendeva verso la città dal comasco con un esercito la città gli aprì le porte mentre i francesi l’abbandonavano senza combattere, lasciando solo una guarnigione nel castello che fu immediatamente posto sotto assedio. Un corpo francese sotto Yves d’Allègre si trincerò in Novara che Ludovico attaccò quasi subito, ottenendone infine la resa il 22 marzo, occupandola e facendone il centro delle proprie operazioni. Ma Luigi XII reagì. Rinforzi francesi affluirono da Oltralpe sotto il La Tremoille e i due avversari si confrontarono davanti a Novara all’inizio di aprile.

I due eserciti quasi si equivalevano, i francesi erano superiori in artiglieria, i milanesi in fanteria. Secondo Pieri, Ludovico aveva a disposizione 15.000 fanti, un terzo svizzeri, un terzo lanzichenecchi tedeschi e un terzo cernide italiane. I francesi avevano 7.000 svizzeri e 2.500 tra guasconi e italiani, più molta cavalleria. Si combatté fuori dalla città e i ducali ottennero qualche successo, ma gli svizzeri da una parte e dall’altra non avevano ancora incrociato le picche. Ciò che avvenne dopo ebbe dell’incredibile. Giunsero a Novara messaggeri dalla dieta svizzera che chiesero ai mercenari di negoziare per evitare di uccidersi a vicenda, “fratelli contro fratelli e padri contro figli”. Apparentemente i capitani svizzeri avevano già ricevuto istruzioni in tal senso dalle rispettive autorità cantonali. Seguirono convulse negoziazioni tra capitani svizzeri al servizio di Francia e capitani al servizio del Moro. Forse la situazione militare era più favorevole ai francesi, forse il soldo con il Moro era a rischio, le versioni sono contrastanti e confuse. Certo solo fu il risultato: gli svizzeri scelsero Francia, rifiutando di combattere per il duca e ottenendo libero passaggio verso le loro terre. I lanzi a questo punto si unirono alla capitolazione e il Moro fu perduto, pensò solo a salvarsi, poiché il La Tremoille gli rifiutò il libero passaggio: ottenne di tentare di fuggire con la complicità dei capitani svizzeri.

Il 10 aprile i fanti svizzeri uscirono da Novara e sfilarono di fronte ai loro connazionali per rientrare in patria. Il Moro era tra loro, travestito. Ma cinque anni di salario sono tanti e un mercenario di Uri, Hans Turmann, che marciava tre file dietro di lui, lo tradì, additandolo ai francesi. Ludovico fu preso, venne trasferito in Francia e rimase prigioniero di riguardo del re morendo nel Castello di Loches in Turenna il 27 maggio 1508. Il tradimento destò scalpore e la dieta dei cantoni svizzeri riunita a Zurigo il 5 maggio 1500 decise di investigare la questione. Seguirono indagini e interrogatori di cui sono rimasti i documenti negli archivi di Appenzell. Alla fine Hans Turmann fu riconosciuto colpevole dell’infamia e fu giustiziato nel 1501 (o secondo altri nel 1503).

Sparito il Moro dalla scena il Milanese divenne in breve terra di battaglia tra francesi, spagnoli, veneziani e svizzeri. I due figli del Moro, Massimiliano e Francesco, sarebbero ritornati brevemente sul trono ducale negli anni successivi, ma sarebbero stati solo dei pupazzi in mano straniera. Quando Francesco II Sforza morì infine senza eredi il 1º novembre 1535, il ducato passò agli Asburgo.

L’epopea del magnifico stato dei Visconti e degli Sforza era finita nella “fatal Novara”.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Valerio Lucchinetti

Bibliografia: A. L. Muratori, Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1500; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Vol.III; Dizionario storico della Svizzera, ediz.ital.

 

 

Valerio Lucchinetti, laureato in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi di Milano con tesi di storia economica sui mercati granari in Lombardia nel XVIII secolo. Attivo professionalmente nel settore della gestione di portafogli azionari è appassionato di storia, con preferenza per il Medio Evo e l’età moderna sino alla Rivoluzione Francese.

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