Memorie della Grande Guerra: l’Albania

L’interese dell’Italia verso l’Albania, allo sbocciare del primo conflitto mondiale, aveva differenti ragioni. Il 1° dicembre, il Ministro degli Esteri, Sidney Sonnino, dopo aver annunciato l’adesione del Regno d’Italia al rinnovato Patto di Londra contro la Germania, in parte le spiegava così: “La presenza della nostra bandiera sulla opposta sponda adriatica gioverà pure a riaffermare la tradizionale politica dell’Italia nei riguardi dell’Albania, la quale rappresenza ora come in passato un interesse di prim’ordine per noi, in quando la sua sorte è intimamente legata all’assetto dell’Adriatico. Ha importanza grandissima per l’Italia il mantenimento della indipendenza del popolo albanese, la cui spiccata e antica nazionalità fu invano, per scopi interessati, discussa e negata… La difesa strategica dell’Adriatico costituisce un altro caposaldo della nostra azione politica. E’ per l’Italia necessità di vita, necessità assoluta di legittima difesa, conseguire un assetto adriatico che compensi la sfavorevole configurazione del nostro litorale orientale”. Sonnino aveva esposto queste idee già nel Libro Verde, con la richiesta delle più importanti isole dell’Arcipelago di Dalmazia ed il riconoscimento della sovranità italiana sulla baia e sul retroterra di Valona. L’importanza commerciale di Fiume e di Spalato era evidente, anche quella dei porti dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia, vie di accesso alle terre balcaniche, ma per una completa egemonia dell’Adriatico era indispensabile che l’Albania fosse lontana dall’orbita dell’Austria.

Dominare l’intero Golfo di Venezia e l’Adriatico era dunque una necessità per Sonnino, ma anche il Primo Ministro Antonio Salandra era di quest’avviso. “Bisogna conquistare l’altra sponda”, riferì in commento ad un intervento del deputato Salvatore Orlando, il giorno seguente, due dicembre, in Parlamento. Orlando, più noto per aver progettato i famosi MAS, aveva detto: “La mia invocazione si rivolge alla costa Adriatica, la quale da oltre un anno soffre tutti i disagi della guerra e da oltre sei mesi tutte le offese e le insidie, rimanendo senza armi di fronte ad un nemico munito e protetto dai suoi ripari e pronto sempre ad una rapida offesa. La nostra marina offrì ripetuttamente battaglia al nemico allo scopo di risolvere la contesa in campo aperto e lasciò quella costa sotto l’usbergo di quelle leggi di onore che nei secoli hanno stabilito che fa uomini che combattono e fra soldati che si affrontano non vi è posto per gli indifesi. Non così per l’Austria. Nella notte del 24 maggio sferrava dai suoi covi di Dalmazia un branco, non una flotta, di navi le quali sparpagliandosi si precipitavano ognuna sopra una preda designata”. Il riferimento era ai bombardamenti austriaci delle coste romagnole, marchigiane e pugliesi, ai morti dell’Amalfi, della Garibaldi e del Turbine.

La questione era ovviamente anche economica. Poco distanti da Valona c’era un ricco giacimento petrolifero

Il Canale d’Otranto doveva essere sgombro da ogni minaccia, libero da forze nemiche, e così la marina italiana, chiamata a proteggere la lunga costa che da Venezia termina a Brindisi, a tagliare le comunicazioni marittime dell’Austria con un blocco effettivo del canale, fece sbarcare il regio esercito. Gli italiani misero piede a Valona, in una città in cui si innalzavano minareti del XVI secolo quando il suo molo, vegliato dal forte, vedeva adunate galee e fuste ottomane, in cerca di riparo dalle tempeste. Dalla metà di dicembre si portarono sulla costa albanese 260.000 uomini, 30.000 tonnellate di armi, munizioni e viveri, un gran numero di quadrupedi, con un movimento complessivo di 350 piroscafi.

Oltre queste gigantesche operazioni, si eseguì il difficilissimo imbarco del corpo militare dislocato a Durazzo. Difficilissimo lavoro perchè si svolse sotto il fuoco incalzante del nemico. La marina austriaca comparve all’orizzonte il 25 febbraio, attese il momento opportuno per gettarsi sui convogli italiani. Le autorità italiane, avvertite del fatto, fecero uscire da Brindisi una nostra squadra, alla visa della quale, gli austriaci voltarono la poppa. Tentarono di riavvicinarsi quando le operazioni volsero alla fine perchè il mare non permetteva l’azione delle cacciatorpediniere italiane, allora si misero in azione gli incrociatori Puglia e Libia – questo secondo era stato cotruito col nome di Drama da Ansaldo per la Turchia ed era passato alla flotta tricolore come preda di guerra nel 1912. I due incrociatori entrarono nel porto battuto dalle artiglierie nemiche, mentre un terzo, l’Agordat, con un tiro d’interdizione, impediva l’avanzata alle fanterie nemiche. Così si riuscì a imbarcare sino all’ultimo soldato.

La trasformazione di Brindisi in un porto militare, nell’improvvisazione generale, riuscì eccellente come del resto la creazione della base navale di Valona, sorta dal nulla. Questi due porti resero possibile alla Marina Italiana l’operazione più brillante del conflitto, quella condotta dal comandante in capo dell’armata navale, il Duca degli Abruzzi: il trasporto di trecentomila soldati serbi, trecentomila quintali di materiali e migliaia di quadrupedi.

Circondati dalle truppe nemiche austro-ungariche tedesche e bulgare, che avevano avviato l’offensiva nell’agosto del 1915, i serbi furono costretti a fuggire dal loro territorio e a cercare salvezza raggiungendo la costa albanese, presidiata dalle navi italiane. Nonostante la stagione avversa e l’insidia continua delle armi aeree e subacquee, cento piroscafi italiani attraversarono l’Adriatico protetti da un naviglio di scorta che mandò a fondo diciannove attacchi di sommergibili. Gli italiani avevano creato campi di assistenza sul territorio albanese, uno a Valona e l’altro a Durazzo, con ospedali, alloggi e magazzini, prima di avviare le numerose operazioni di trasbordo dei profughi con unità navali mercantili, scortate da navi militari.

Era stata un’operazione eclatante che stupì l’Europa. Il ministro agli esteri britannico, Arthur James Balfour, fu molto chiaro alla Camera dei Comuni il 23 febbraio del 1916: “La migliore prova del successo delle operazioni marittime degli Alleati nel Mediterraneo è fornita dal trasporto di grandi forze a Salonicco, dallo sgombero del Corpo di spedizione ai Dardanelli e da quelle dell’esercito serbo. Tale risultato è dovuto soprattutto alla energica efficienza della Marina italiana”.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: P. Giordani, I marinai d’Italia per l’esercito serbo

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