La dinastia dei Severi

Sul finire del II secolo d.C. maturò una profonda instabilità nell’Impero, una crisi che coinvolse ogni aspetto della società, l’esercito, la demografia, la religione. Il senato appariva debole, l’incertezza dei confini accresceva il peso politico dell’esercito, la moneta era svalutata e ceti medi e commercio ne erano danneggiati, nuove religioni intervenivano nella crisi dei valori tradizionali. Tuttò ciò portò ad un’epoca di grandi cambiamenti guidata dalla dinastia dei Severi.

L’ascesa al potere della nuova dinastia fu violenta e repentina. Nel 193 d.C., morto Commodo, figlio di Marco Aurelio, tentarono di tenere le redini dello stato prima Elvio Pertinace, morto dopo soli ottanta giorni di regno, poi Didio Giugliano, ma gli eserciti delle provincie acclamarono imperatori i loro generali: Pescennio Nigro in Siria, Clodio Albino in Britannia, Settimio Severo in Pannonia. Fu quest’ultimo a marciare con solerzia alla volta di Roma, alleandosi con Albino per togliere di mezzo Pescennio. Racconta Erodiano che Settimio Severo, nella sua avanzata, non trovò ostacoli. Davanti al suo esercito una grande paura prese le città italiche perchè “gli abitanti della penisola erano dediti a una vita pacifica e laboriosa, e da tempo erano estranei a tutto ciò che riguardava la milizia e la guerra”. Nessuno osò fronteggiarlo o tagliargli la strada, “anzi gli andarono incontro portando rami di alloro, e lo ricevettero con le porte spalancate. Egli, fermandosi solo il tempo necessario a celebrare sacrifici e ad arringare le popolazioni, proseguiva la sua corsa verso Roma”. In città disarmò i pretoriani e salì al Campidoglio con le loro insegne rivolte verso il basso. La presa del potere fu un vero e proprio colpo di stato militare. Racconta la Historia Augusta che “giunto a Roma, Severo ordinò che i pretoriani gli andassero incontro indossando solo la tunica. E così inermi li convocò presso il palco, dopo aver dislocato tutt’intorno soldati armati. Poi, entrato in Roma, sempre armato e scortato da soldati armati, salì al Campidoglio. Di là, con lo stesso apparato, si recò a Palazzo, preceduto dalle insegne che aveva tolto ai pretoriani, tenute con le punte non erette, ma rivolte verso il basso. Quindi, per tutta la città, i soldati si installarono nei templi, nei portici, nei palazzi del Palatino come se fossero alberghi, e l’ingresso di Severo risultò quindi odioso e spaventevole, ché i soldati facevano razzia di tutto senza pagare, minacciando di mettere a sacco l’intera città. Il giorno successivo si recò in senato, scortato non solo da soldati, ma anche da una schiera di amici armati. In quel consesso diede ragione della sua iniziativa di assumere il potere, e addusse a giustificazione il fatto che Giuliano aveva mandato per farlo uccidere dei sicari noti per aver già ucciso dei generali”. I suoi legionari, dunque, terrorizzarono la città, depredarono tutto. Lo scontro finale tra Settimio Severo e Pescennio Nigro avvenne a Isso: “Il combattimento fu lungo, e il massacro tanto grande che le correnti dei fiumi, attraversando la pianura, portavano al mare piú sangue che acqua: infine gli orientali piegarono. Gli Illiri, incalzandoli, spinsero in mare, a colpi di spada, una parte dei nemici; inseguirono gli altri fino alle colline, e lí ne fecero strage. Sterminarono anche una grande moltitudine di altri uomini che erano accorsi dalle città e dalle campagne circostanti, per assistere alla battaglia da un luogo ritenuto sicuro”. (Erodiano, Storia di Roma dopo Marco Aurelio, III, 4-5). Dopo qualche anno anche Albino veniva sconfitto.

Nato nel 145 d.C. a Leptis Magna, cittadina libica a cento chilometri da Tripoli, Settimio Severo fu il primo africano a diventare imperatore. Discendeva da una famiglia di notabili che vantava cavalieri e senatori. Suo padre era Ageta, sua madre Fulvia Pia. Conosceva perfettamente la lingua latina e il greco, aveva frequentato la corte di Marco Aurelio e lì aveva maturato interesse per filosofia ed eloquenza. Dopo la questura e un incarico in Africa come legato del proconsole, fu eletto tribuno della plebe, pretore e posto al comando della Legione IV Scitica di stanza a Marsiglia, successivamente, sotto Commodo, fu eletto proconsole in Sicilia. D’indole modesta, i ritratti ce lo consegnano con una folta chioma ed una barba fluente, molto simile a Marco Aurelio, di cui forse intese presentarsi come continuatore. Settimio Severo vestì sempre con semplici tuniche, fu sobrio nel bere e nell’alimentazione, aveva un volto austero ed uno spiccato accento africano.

Consapevole di quale fosse il pilastro del suo governo, Settimio Severo favorì l’esercito e destò le ire del senato concedendo ai legionari uno stipendium più alto ed il diritto di conseguire matrimonio lì dove si è in servizio, impose pesanti confische all’aristocrazia e sciolse le coorti pretorie di Roma, arruolando nuovi militari nelle provincie e affidando i comandi a prefetti di provenienza equestre in sostituzione dei legati che appartengono di ceto senatorio. Nel 195 d.C. l’Imperatore combattè contro i parti e riportò, nel 199, una importante vittoria a saccheggiando Ctesifonte, capitale del regno. L’impresa fu celebrata nel monumentale Arco di Settimio Severo, mentre proprio coi parti fondò nuove legioni, la prima e la terza stanziate sulla linea di confine del Danubio, la seconda collocata ad Albano, un contingente 4 volte superiore a quello delle precedenti coorti romane. Fu il primo imperatore a disporre di una forza di ben 30.000 uomini tra pretoriani, II Parthica, equites singulares e coorti urbane e, consapevole della sua forza si volse contro i caledoni che avevano invaso la Britannia senza però poterla portare a termine. Stroncato da un male a Eburacum nel 211 d. C. lasciò il potere ai suoi figli Antonino Pio, detto Caracalla, e Geta.

Caracalla, chiamato così per il lungo mantello gallico con cappuccio che usava indossare, non esitò ad uccidere suo fratello, che accusò d’un tentativo di avvelenamento, poi seguì le orme paterne: lasciò alle fondamenta dell’ordine statuale l’esercito, cui ancora aumentò la paga, e la sua campagna in Germania fu un successo. Ciò che lo consegnò alla storia fu sicuramente la Constitutio Antoniniana. Con questo provvedimento, meglio noto come Editto di Caracalla, la cittadinanza fu concessa a tutti i sudditi dell’Impero. Fu un’altra importantissima riforma della società romana. L’Editto creava nuove reclute per l’esercito ma soprattutto rispose a precisi interessi fiscali: estendere la cittadinanza avrebbe infatti giovato alle casse imperiali perché esteso la platea dei contribuenti. L’Imperatore provò inoltre a correggere la politica monetaria battendo l’antoniniano, dal peso di 1,5 denari ma dal valore imprecisato: alcuni credono valesse 2 denari, in modo da poter battere ancora più moneta con meno argento, altri 1,25, tentando quindi di riequilibrare la svalutazione e calmare l’inflazione… Morì assassinato nel 217, per mano di un uomo della sua stessa guardia deluso da un mancato avanzamento, mentre si recava in Partia per una seconda spedizione.

Nel 218 d.C. le legioni romane in Siria acclamarono imperatore Eliogabalo, l’adoratore del sole, un ragazzo appena quattordicenne, assolutamente inesperto di politica ma la cui potente nonna, Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna, moglie di Settimo Severo, gli pagò l’esercito e riuscì a far fuori Macrino che aveva provato a tenere lo Stato alla morte di Caracalla. Sacerdote del dio Baal, Eliogabalo introdusse nell’Impero una terza riforma, quella religiosa. Sovvertendo le tradizioni romane, provò a sostituire Giove introducendo culti fenici. Fin dal regno di Settimio Severo l’adorazione della divinità solare era cresciuta in tutto l’Impero. I culti solari orientali avevano attratto molti fedeli confusi dalla decadenza sociale dei loro tempi. Eliogabalo puntò ad essere assieme autorità politica e religiosa, Imperatore e Gran Sacerdote. Ciò avrebbe concentrato ancor più il potere nelle sue mani. In questo senso propagandisticamente fece contrarre matrimonio a Deus Sol Invictus con la fenicia Astarte, la romana Minerva e la cartaginese Urania. Egli stesso osò persino sposare una vestale affinché dal matrimonio nascessero “bambini simili a dei”. Ispirandosi chiaramente alle monarchie orientali di proclamò dio ma certe stravaganze suscitarono numerose obbiezioni ed alla fine venne assassinato dalla guardia pretoriana e sostituito dal cugino Alessandro Severo.

Questi era figlio di Giulia Mamea, sorella della madre di Eliogabalo, Giulia Soemia, e tentò di correggere gli eccessi che avevano segnato il regno di suo cugino. Per esempio, abolì dalle calzature e dalle vesti le gemme di cui aveva fatto uso Eliogabalo e si limitò ad indossare vesti bianche senz’oro, e mantelli e toghe comuni. Inoltre, sebbene non combatté affatto i culti solari orientali, ripristinò l’apparente vicinanza della sua carica alla religione tradizionale e fece rimettere al loro posto nei vari templi tutte le statue d’oro e gli arredi sacri che Eliogabalo aveva fatto raccogliere nell’Elagabalium, il tempio che aveva fatto costruire a Roma per il dio El-Gabal. Ad Alessandro Severo è associata una quarta riforma, quella istituzionale. L’Imperatore infatti tentò di soppiantare definitivamente il senato formando un consilium principis, un collegio costituito da un numero ristretto di senatori che dovette affiancarlo nell’amministrazione generale del potere legislativo ed esecutivo. Tra essi ci fu pure Ulpiano, uno dei più noti giuristi dell’epoca. Alessandro Severo consultava i propri consiglieri su ogni decisione e non prendeva provvedimenti che non avessero ricevuto l’approvazione unanime.

L’Imperatore non fu però all’altezza dei problemi militari che dovette affrontare. Nel 226 la dinastia dei Sassanidi iniziò un’offensiva che strappò ai romani la Cappadocia e la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Alessandro Severo riuscì ad arginare l’invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul fronte del Reno per difendere la Gallia dall’aggressione dei Germani. Nel 235 fu assassinato dai soldati durante una campagna contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua condotta in guerra.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Grant, The Severans: The Changed Roman Empire; C. Letta, La dinastia dei Severi

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