Le avvelenatrici di Palermo

Spietate avvelenatrici seriali hanno sconvolto Palermo e Roma nel Seicento creando la famigerata “acqua tofana”.

La figura dell’avvelenatrice ha sempre avuto grande fascino nella letteratura e nel cinema, ma i suoi fondamenti storici ci sono tutti e non sembrano essere esagerati. Decise a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di realizzare i loro scopi, furono molte le donne, sin dall’antica Roma di Lucusta, ad usare con estrema freddezza profonde conoscenze di erbe ed intrugli disseminando morte. Uno dei casi più clamorosi coinvolse diverse siciliane.

Le storie sono poco documentate, lasciate in balia di leggende e ricostruzioni romanzate, ma narrazioni più accorte non mancano.

Le indagini partite attorno a numerosi casi di avvelenamento verificatisi a Palermo negli anni Trenta del Seicento portarono a due sentenze di morte della Regia Corte Capitanale ed all’esecuzione di Francesca Rapisardi, meglio conosciuta come Francesca “La Sarda”, il 16 febbraio del 1633, e più tardi a quella di Pietro Placido di Marco, suo complice che, sotto tortura, confessò che a realizzare il veleno che loro vendevano era una tale Thofania d’Adamo.

Thofania fu catturata, torturata e giustiziata a Palermo il 12 luglio 1633. Confessò di aver avvelenato il marito con quel pericoloso intruglio ed ammise l’avvelenamento di numerose altre persone. Si trattava dell’ “acqua tofana”, ovvero di arsenico. Gli ingredienti sono noti, ma non se ne conoscono le esatte dosi. L’acqua tofana conteneva arsenico, piombo e, probabilmente, belladonna… Molti credevano che quella mortale pozione sarebbe scomparsa con la morte della sua creatrice ma non fu così, Thofania aveva infatti trasmesso tutto il suo “sapere” alla figlia Giulia.

Quest’ultima, in gran segreto, perfezionato il preparato, iniziò a venderlo a donne insoddisfatte del matrimonio, trascinando in questa impresa anche la figlia, Girolama Spera che avvelenò il marito del quale si era stancata. La “Manna di San Nicola”, così chiamata perchè le boccettine di veleno, per non destare sospetto, erano rivestite con un’immaginetta del santo taumaturgo per eccellenza, finì con l’essere la “pozione per diventare vedove” ed ebbe così tanto successo che arricchì enormemente le donne.

Tutto andò liscio per Giulia Tofana fino al giorno in cui un marito riuscì a scampare all’avvelenamento e denunciò l’accaduto alle autorità. Sua moglie non aveva seguito alla lettera le indicazioni che le erano state date e la vittima si riprese ed insospettito denunciò la consorte. Cominciò così la caccia all’avvelenatriche che si rifugiò a Napoli ed Roma con sua figlia.

Gli storici Salomone Marino Salvatore ed Agostino Ademollo, sulla base di ricerce d’archivio e di un diario tenuto da un gentiluomo romano di nome Giacinto Gigli, scrivono che con le due c’erano Giovanna de Grandis, Maria Spinola e due commesse di nome Laura Crispolti e Graziosa Farina.

Giulia Tofana si rese conto che avrebbe potuto estendere di molto i sui mercati e ciò avvenne in tutta tranquillità. Il suo veleno si diffuse in ambienti aristocratici , finché, a seguito di una ondata di avvelenamenti, non fu identificata e catturata. Le avvelenatrici erano al contempo meretrici e fattucchiere. Il gruppo ottenne una fornitura regolare di medicinali da farmacie del posto, accrescendo la produzione ed aumentando le vendite.

Giulia morì nel 1651, probabilmente nel suo stesso letto e da allora in poi sua figlia Girolama Spera prese il posto di capo della banda. Le donne avevano dalla propria anche un’arma micidiale, la bellezza, una bellezza imperturbabile, capace di nascondere la loro identità e di garantire spesso protezione. Dalle donne della sua famiglia aveva imparato i segreti dellea pozione, aveva appreso l’arte di mescolare, far sobollire, decantare gli ingredienti giusti. Avrebbe continuato la lunga tradizione iniziata con la nonna, ma non sapeva che la sua fine si stava avvicinando.

La Contessa di Ceri si rivolse alle avvelenatrici per liberarsi del marito riuscendo con successo nel suo intento omicida, tuttavia il repentino decesso dell’uomo insospettì i suoi familiari, che decisero di vederci chiaro. Vennero aperte delle indagini ed in breve tempo le donne furono tutte arrestate. Le donne furono tutte giustiziate nel 1659 a Campo de’ Fiori a Roma.

 

 

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