Torino capitale

Il 18 febbraio del 1861 si inaugurò a Palazzo Carignano il primo Parlamento Italiano con un discorso trionfale, l’esaltante narrazione dell’impresa compiuta in due anni. Quattrocentoquarantatré deputati eletti nella tornata del 27 gennaio di quell’anno si ritrovarono nell’aula provvisoria, costruita in legno dall’architetto Amedeo Peyron nel cortile dell’edificio. Il 14 marzo la Camera dei Deputati votò all’unanimità il disegno di legge che proclamava il Regno d’Italia, sebbene mancassero ancora Roma e il Veneto. Torino capitale era in festa, inebriata dal momento storico. Sulle sue strade si avvicendavano Garibaldi, Bixio, Manzoni, Verdi, Settembrini e d’Azeglio, tutti i protagonisti dell’indipendenza.

Di certo non mancarono le polemiche. Il 18 aprile la folla si raccolse davanti al Parlamento ad attendere Garibaldi che venne in camicia rossa e poncho. Qualche giorno prima aveva detto che il re era “circondato da una atmosfera corrotta” seguendo la polemica che il garibaldino Sirtori aveva scatenato contro Cavour, accusato di aver inviato l’esercito a Napoli per combattere Garibaldi. Il generale giunto a Torino ed invitato a spiegare le sue parole dal Rattazzi e dal Boncompagni si rifiutò: “la mia coscienza mi vieta di scendere a giustificarmi”. Tuttavia nella saduta attaccò pesantemente Cavour, il ministro intervenne e protestò e dovette calmare le acque il re in persona. Vittorio Emanuele II riuscì a portare entrambi ad un colloquio privato che però terminò senza riconciliazione. Cavour, il tessitore dell’Unità, morì il 6 giugno, logorato da dieci anni di intensa vita politica e ancor più dalle ultime polemiche, e nel lutto uomini d’ogni ceto sfilarono per ora ed ore dinnanzi alla slama dello statista.

Nel 1863 avevano pure inizio i lavori di Alessandro Antonelli in quella ardita costruzione architettonica che prese il nome di Mole Antonelliana e che solo trentasei anni dopo fu conclusa. Torino all’epoca – come diceva d’Azzeglio – non aveva le collezioni artistiche e monumentali delle altre città d’Italia, ma quella galleria di battaglie che avevano liberto il Paese.

Nella Convenzione del 15 settembre 1864, stipulata con la Francia, il Governo Italiano, presieduto da Marco Minghetti, annunciò di voler trasferire, entro sei mesi, la capitale a Firenze, benchè tutti i ministri fossero d’accordo sulla priorità di istituire Roma come capitale. Fu un inganno con cui si nascosero alla Francia le reali intenzioni italiane nei confronti dello Stato pontificio ed anzi, il codicillo riguardante il trasferimento della capitale fu tenuto nascosto sia al re che ai torinesi.

Quando tutto venne a galla scoppiarono manifestazioni di protesta popolare ed il re chiese le dimissioni di Minghetti. La situazione degenerò con la feroce repressione delle proteste di piazza. Negli scontri del 21 e 22 settembre si contarono trenta manifestanti morti. Torino rifiutò l’offerta di indennizzo finanziario per il trasferimento della capitale, tuttavia l’importanza di quella scelta fu colta anche da Casa Savoia.

Il re, spostandosi nella sua nuova reggia fiorentina a Palazzo Pitti, chiuse la stagione più gloriosa della storia torinese. Torino lo capì e ne fu ferita nel suo orgoglio.

La popolazione che nel 1864 ammontava ad oltre duecentomila abitanti, calò a centonovantamila. La città, privata dell’apporto economico che la presenza dei ministeri garantiva, parve contrarsi, scemare di importanza. Torino si trascinò stancamente fino a fine secolo. Nonostante provasse per prima l’illuminazione elettrica e si trovasse protagonista di fortunate esposizioni, irresponsabili speculazioni edilizie ed il fallimento di varie banche portarono disoccupazione e agitazioni sociali.

Ma Torino era la città delle officine Savigliano, di Michele Ansaldo, di Diatto, delle fonderie di caratteri tipografici Nebiolo, della tessitura Poma, di industrie chimiche, enologiche e dolciarie. Nel 1899 nacque la Fiat. L’opinione pubblica non l’aveva ancora capito ma Torino era destinata a diventare la capitale del lavoro. In effetti, già dal 1866 il sindaco Galvagno promosse la costruzione di nuovi canali e mulini per l’acqua e l’energia delle prime industrie. Nello stesso anno sorse pure la Scuola Superiore del Museo Industriale del 1866, il futuro Politecnico.

 

 

 

 

 

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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