Ludovico d’Ungheria invade il Regno di Napoli

Il 24 dicembre del 1347, Ludovico d’Angiò, re d’Ungheria arrivò a L’Aquila, sbarcando in un Regno di Napoli logorato da lotte intestine. Gli si presentarono i baroni abruzzesi e, nei primi giorni del 1348, presso Benevento incontrò Carlo di Durazzo. Si salutarono con onori ed encomi, ma Ludovico sapeva di non potersi fidare di nessuno. Giunti presso il castello di Aversa, infatti, l’ungherese chiese proprio a Carlo da quale finestra fosse stato lanciato il cadavere di suo fratello Andrea. Carlo finse di non saperlo ma Ludovico gli mostrò una lettera scritta di sua mano al conte d’Artus nella quale si presentava come autore del misfatto. Subito fu allora fatto uccidere e lanciato dalla stessa finestra.
Ludovico aveva divise il suo esercito in modo da mandare uomini al conte di Fondi che allora passò il Garigliano e occupò Teano, feudo della vedova di Bertrando del Balzo, sodale di Carlo di Durazzo. Luigi di Taranto radunò un suo esercito a Capua mentre il conte di Fondi pose campo ad Orticella. Fu il re di Napoli ad andargli incontro, in uno scontro che durò sei ore ma che lo vide soccombere e darsi alla fuga. Rassegnata Giovanna si imbarcò il 17 gennaio del 1348 per la Provenza. Il marito riparò in Toscana, poi la raggiunse ad Avignone, presso la corte pontificia. Intanto il re d’Ungheria, da Aversa si portò a Napoli. Vi entrò con uno stendardo nero su cui c’era un re strangolato.

A Napoli ricevette gli omaggi dei baroni d’ogni provincia del regno che, anziché difendere la legittima sovrana, Giovanna d’Angiò, si schierarono con l’invasore, acclamandolo ovunque come signore e trionfatore. Soggiornò in Castel Nuovo ed amministrò la città con severità per due mesi. Vi lasciò come luogotenente il conte Ulrico e si spostò a Barletta dove restò per altri quattro mesi prima di tornre in Ungheria.

La partenza del re rianimò immediatamente i sostenitori di Luigi di Taranto: il conte d’Altamura ed un condottiero tedesco noto alle cronache come Guarnieri guidarono in suo nome un nuovo esercito, assoldati dal conte di Squillace e ammiraglio di Sicilia. Sul finire d’agosto i due sovrani sbarcarono a Napoli, a Santa Maria del Carmine, già riconosciuti dal papa come re legittimi, dopo la cessione al pontefice d’Avignone.

Il conte Ulrico provò ad organizzare la resistenza e nessuno dei castelli partenopei cadde nelle mani di Giovanna, Luigi invece si mosse verso la Puglia, assediò il castello di Acerra, poi quello d’Apice, gli resistette invece quello di Lucera. Intanto a Napoli il conte Ulrico, pensando di non poter difendere tutti i castelli, li fece sgomberare, tranne quello dell’Ovo nel quale raccolse le sue genti, vettovaglie e munizioni. La fortezza fu assediata e bombardata con cadaveri in putrefazione per seminare malattie tra i suoi difensori, ma fu vano. Il conte Ulrico abbandonò Castel dell’Ovo quando finì il foraggio e svanì ogni speranza di ricevere soccorsi. Uscì in segreto e i soldati di Giovanna se ne accorsero solo sei giorni dopo.
Gli sforzi di Luigi di Taranto si concentrarono allora contro le città che ancora si tenevano fedeli al re d’Ungheria ovvero Lucera, Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Guglionesi, Ortona e alcuni castelli di Calabria soggetti ad n nobile ungherese, Filippo di Misban. Quest’ultimo, assediato a Stilo, fu sconfitto dopo tre mesi grazie al tradimento di un suo soldato, corrotto dal denaro, che condusse i suoi compagni in un agguato teso da Rogerone, conte di Chiaramonti, comandante delle truppe di Luigi. Nei giorni seguenti si arresero tutti i castelli calabresi.

Luigi di Taranto allora attaccò Manfredonia con la scalata delle sue mura, ma l’iniziativa non diede i frutti sperati: i cittadini si tennero in silenzio facendo credere che la città fosse incustodita, ma quando le truppe di Luigi issarono le scale si ritrovarono a sorpresa tempestati di pietre e costretti alla fuga; all’alba i cavalieri di Luigi tornarono in azione circondando la città, allora uscirono i cavalieri ungheresi venuti in soccorso di Monte Sant’Angelo e, sotto la protezione dei balestrieri che erano sull’alto delle mura, allontanarono gli assedianti. Le truppe di Giovanna si concentrarono dunque sull’assedio di Lucera.

Qui vollero fortificare la città per potervi stare in sicurezza e continuare con le loro operazioni, ma Corrado Lupo, un tedesco fratello del conte Ulrico, che il re d’Ungheria aveva fatto barone di Guglionesi, messi insieme 1500 cavalieri, si portò a Manfredonia e da lì attuò ripetute incursioni contro gli assedianti di Lucera. Le truppe di Luigi di Taranto provarono ad ostacolare la marcia di Corrado Lupo tagliandogli il passo ad un ponte sul fiume, ma Corrado trovò un altro ponte e raggiunse Lucera, schierò la sua gente e fece suonare le trombe provocando il re perché venisse fuori a combattere. Nessuno uscì, né il re, né il duca Guarnieri, né il conte d’Altamura che lo affiancavano. Allora Corrado Lupo si mosse verso Foggia dove era capitano Nicola Calabrese. La città era però sguarnita di soldati e priva di muraglia, così i cittadini dovettero cavarsela da soli, facedo affidamento solo sul fossato che cingeva la città. Lo fecero con estrema bravura e l’assalto dei cavalieri nemici appiedati si protrasse sino a notte e fallì. Corrado Lupo ordinò ai suoi di condurre brevi assalti alla città nelle tenebre per non dar riposo ai foggiani che intanto riuscirono a mandare un proprio messo al re per chiedergli soccorso. Nel frattempo a l’una del giorno si ripeté un nuovo assalto che ancora una volta fu respinto. Il messo tornò solo a notte annunciando che nessun soccorso sarebbe stato inviato e allora l’impeto dei cittadini di Foggia si spense. Un nuovo attacco dei soldati di Corrado Lupo poté avere successo. Foggia fu saccheggiata.

Presto però i due eserciti si sarebbero scontrati frontalmente ad Aversa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: D. Guerrini, La guerra del re Luigi I d’Ungheria nel reame di Napoli (1347-1350); I. De Feo, Giovanna d’Angiò

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