Il Quadrilatero austriaco

Il Quadrilatero costituiva il più importante baluardo difensivo degli austriaci in Italia, poiché permetteva il controllo militare su un territorio di estrema importanza strategica, nel cuore del Lombardo-Veneto: Peschiera, situata sulla riva meridionale del Lago di Garda, presso lo sbocco del fiume Mincio nel lago stesso, costituiva la roccaforte di nord-ovest; Legnago era la fortezza di sud-est; Mantova era la fortezza di sud-ovest; Verona costituiva la roccaforte di nord-est. Dopo i fatti rivoluzionari del 1848, gli austriaci eressero otto forti in quest’area ed il Quadrilatero, così fortificato, doveva contenere e proteggere, un’armata pronta ad intervenire in ogni contesto di crisi interna del Regno Lombardo-Veneto.

L’iniziativa di quell’anno del Piemonte, coi suoi alleati italiani, colpì davvero lo stato maggiore austriaco.

Il complesso fortificato di Peschiera era ancora costituito dalle vecchie opere veneziane che i francesi avevano appena migliorato. Gli austriaci avevano realizzato solo la Batteria Salvi, sul lato occidentale, e la Batteria Mandella, sul lato sud-orientale tra il fiume e la strada per Verona. Il presidio contava 1.700 uomini e 160 bocche da fuoco, seppure antiquate.

Peschiera già nel Medioevo era una fortezza inespugnabile. Dante nel XX canto dell’Inferno scriveva: “Siede Peschiera, bello e forte arnese / Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, / Ove la ripa intorno più discese”. Qualche anno dopo anche Benvenuto da Imola ne scrisse come un imprendibile complesso di bastioni e torrioni: “Convien sapere che in principio di questo lago un castello bellissimo, chiamato Riva, nella diocesi di Trento. Ed in fine è il castello forte e bello che si chiama Peschiera nella diocesi di Verona…. Peschiera è castello quasi nuovo, munito di molte torri e di rocche, quasi difesa di tutta la regione”. Nella primavera del 1848, stretta d’assedio dall’esercito italiano, Peschiera conobbe le artigliere di Carlo Alberto di Savoia e Ferdinando duca di Genova, suo figlio.

Le operazioni di assedio, dirette dal maggiore Cavalli, valente artigliere e futuro inventore della rigatura nelle bocche da fuoco, furono coronate da successo dopo undici giorni di intenso cannoneggiamento da quattro batterie d’assedio costruite sulla sinistra del Mincio e da altre quattro poste alla destra del fiume, tra l’11 ed il 17 maggio del 1848, durante le ore notturne mediante “teste di zappa” protette da gabbioni fascinati che gli zappatori del genio avevano condotto fino a poche centinaia di metri dalle difese nemiche. Peschiera fu coperta da circa 6.000 proiettili ed alle 14 del 30 maggio, l’austriaco issò la bandiera bianca sul Bastione Contarini.

Peschiera era stata così espugnata, ma il successo sabaudo non si limitò a ciò. Le alture di Pastrengo erano finite interamente nelle mani di De Sonnaz che si era attestato sulla riva dell’Adige. L’esercito piemontese s’era spinto fin sotto la piazzaforte di Verona e, probabilmente, con una migliore disponibilità di artiglierie, il successo sarebbe stato totale. I Piemontesi dovettero sì ripiegare nei vecchi confini ma Radetzky ebbe chiaro che non era più possibile procrastinare lavori di costruzione a carattere difensivo nel Lombardo-Veneto.

Già l’anno dopo, quando l’esercito sabaudo si apprestava ad una nuova sfortunata campagna, il generale austriaco dava corso alla costruzione di dodici forti attorno alla piazza di Verona, nonché di nuove opere attorno a quella di Peschiera. Ciò però non bastava, era evidente, così si progettarono quattro nuovo opere alla “Chiusa Veneta” ed altre quattro sulle alture di Pastrengo. Il completamento di queste iniziative fu ancora più impellente quando, dopo il 1859, la Lombardia fu ceduta al Regno d’Italia ed i confini si spostarono più vicino Peschiera.

Le opere costruite a sbarramento della Chiusa d’Adige sono costituite dal Forte Mollinary (oggi un rudere), dal Forte Rivoli (ancora in uso), dal Forte Ceraino (ben conservato) e dalla tagliata detta “Chiusa Veneta” (che oggi non esiste più).
Quest’ultima si eresse nel punto più stretto tra le pareti rocciose di Volargne e Ceraino, dove corre l’Adige. Fu un’opera in muratura con casematte su due piani. Il Forte Mollinary, sorse su uno sperone roccioso alle pendici del monte Pastello: un forte a base poligonale forte di 24 bocche di fuoco che, attraverso una strada, era collegato al Forte Ceraino costruito su un ripiano a mezza costa della parete rocciosa che domina la valle dell’Adige. Il Forte Rivoli infine, su un’isolata collina a nord-est dell’omonimo paese, forse la costruzione più interessante con le modifiche accorse nel 1868 e nel 1884, oggi è un museo della Prima guerra mondiale.

I quattro forti dell’area di Pastrengo, ovvero Forte Piovezzano, Forte Monte Bolega, Forte Poggio Pol e Forte Poggio Croce, furono eretti dopo quelli della Chiusa Veneta. Richiamano a grandi linee quelli della pianura veronese disegnati nello stesso periodo da Andreas Tunkler. Caratteristica comune è il piazzale centrale su cui si aprono i locali per postazioni in casamatta, quelli destinati ai ridotti, ai ricoveri, ai magazzini ed agli alloggiamenti. Questi forti, sorgendo ad una distanza ragguardevole dal corpo di piazza, dovevano avere una certa autonomia ed erano dunque dotati dei principali servizi logistici.

Una seconda cintura composta da otto forti fu voluta dagli austriaci tra il 1859 ed il 1860. Parliamo di Forte Parona, Forte Lugugnano, Forte Dossobuono, Forte Azzano, Forte Tomba, Forte San Michele, Forte Cà Vecchia e Forte Cà Bellina. Di questo complesso sistema, Verona divenne la piazzaforte di manovra, strutturata per ospitare un’armata di 120.000 soldati.

Tali costruzioni fornirono rifugio alle truppe austriache ma non subirono mai la prova del fuoco, non ebbero l’occasione per confermare il loro valore. Le truppe di Lamarmora, nel 1866, adottarono la risoluzione di passare il Mincio ed occupare un tratto del Quadrilatero non difeso dagli austriaci, isolando le fortezze l’una dall’altra per poi passare l’Adige e dar manforte al generale Cialdini. Come si sa non vi riuscirono e tutte le fortezze del Quadrilatero restarono occupate dagli austriaci. Sarebbe stato interessante se la storia avesse voluto il contrario perché proprio nel periodo della loro costruzione gli eserciti adottavano le artiglierie rigate del Cavalli (e proiettili ogivali) che avevano, oltre ad una gittata notevolmente superiore e maggiore precisione di tiro, anche una carica di scoppio più che raddoppiata rispetto ai proiettili sferici.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: V. Jacobacci, I forti austriaci di Pastrengo e della “Chiusa Veneta”; AA. VV., Il Quadrilatero: nella storia militare, politica, economica e sociale dell’Italia risorgimentale; G. Perbellini, Le fortificazioni austriache nel veronese

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