Emanuele Filiberto governatore delle Fiandre

Mentre il Duca di Savoia li batteva ripetutamente in Francia, i francesi in Piemonte s’erano impadroniti di Vercelli. Il nemico era forte ora di tre eserciti, quello di Enrico II e del conestabile di Montmorency, quello del Principe della Roche sur Yon e quello del Duca di Nevers. Contro le ingenti forze dell’avversario, Carlo V non aveva sufficienti uomini, né poteva servirsi di prospere finanze. Si volle dunque temporeggiare per logorare il nemico e così Emanuele Filiberto, con 20.000 fanti e 5000 cavalieri non poteva e non doveva fare altro che tenere il campo, si mise alle calcagna dei francesi e ne molestò le retrovie in più occasioni.

Dall’Italia giungeva la lieta notizia della sconfitta dei francesi nella Guerra di Siena, ma era la città di Renty ora nei pensieri di Emanuele Filiberto. Enrico II la teneva sotto assedio ed aveva fatto occupare una vicinissima collina in modo da sorvegliare le operazioni dall’alto. Il 13 agosto 1554 il Duca di Savoia volle scalzarlo: gli imperiali attaccarono in condizioni palesemente sfavorevoli, ma respinti ed inseguiti dai francesi aprirono il fuoco delle artiglierie e ricacciarono il nemico per poi contrattaccare. La collina era ora in mano alle truppe di Carlo V.

Emanuele Filiberto avviò importanti lavori di fortificazione per tenere la collina ed impedire che i francesi li accerchiassero, trovò però un fastidioso alleato, il celebre Ferrante Gonzaga, grande condottiero, ex-viceré di Sicilia e governatore di Milano. Il Gonzaga ottenne rinforzi dall’Imperatore e se ne servì con un attacco ai francesi che infranse i dettati del Duca di Savoia ed ebbe pure pessima riuscita. Gonzaga fu messo in fuga dal nemico ed Emanuele Filiberto dovette prestargli aiuto sebbene invano: gli imperiali furono battuti, in più di trecento caddero e i francesi ripresero la collina. Il giorno dopo si tenne un consiglio con la presenza di Carlo V. Ferrante Gonzaga propose d’abbandonare il terreno prima d’essere accerchiati, Emanuele Filiberto invece propose di restare, il loro campo era fortificato, avevano sufficienze vettovaglie e rifornimenti sicuri, al contrario dei francesi che invece sarebbero stati, per numero, ben disposti ad inseguire l’esercito in ritirata. Carlo V plaudì al Duca di Savoia e accettò il suo consiglio. Fece bene perché il re di Francia decise di togliere l’assedio di Renty. Ormai Emanuele Filiberto godeva di fama e rispetto, del sostegno dell’Imperatore, della stima degli altri comandanti. Era stato più volte in grado di battere i francesi senza combattere, di giocare al nemico tranelli astuti ed ora riusciva a mostrare la sua saggezza anche in un consiglio di guerra tra i più grandi generali dell’Impero.

Intanto la Francia spadroneggiava in Piemonte dove il Maresciallo di Brissac aveva preso La Trinità, Sant’Albano, Villanova, Biella, Santhià, Masino ed Ivrea. A resistere restò solo la Valle d’Aosta con l’aiuto del conte Francesco Costa d’Arignano inviato dal Duca di Savoia ormai sempre più afflitto per un recupero dei territori del suo casato che stentava a venire.

Emanuele Filiberto giunse tardi a Londra e non potette assistere alle nozze di Filippo II e Maria Tudor ma fu ben accolto e ricevette l’Ordine della Giarrettiera. Dopo due settimane di permanenza, ritornò a Bruxelles, presso l’Imperatore per prender parte alle trattative di pace nel villaggio di Marcq presso Calais. Tutto fu vano. Il re di Francia lasciò l’incontro confermando che non avrebbe restituito il Piemonte se prima non fosse entrato in possesso di Milano. Il Duca di Savoia ottenne di poter visitare quanto restasse dei suoi stati. Giunse a Milano, presso il Duca d’Alba, nuovo governatore dello stato, poi si portò a Vercelli e vi restò un mese per assolvere a forti incombenze politiche e fiscali dei suoi sudditi. Tornò a Bruxelles profondamente turbato per la situazione dei suoi domini e presto s’avvide che qualcosa di peggio stava accadendo: Carlo V si ritirava dalla scena lasciando la corona imperiale al fratello Ferdinando e i regni di Spagna a suo figlio Filippo, così Emanuele Filiberto perdeva il punto di riferimento dei suoi sogni di recupero del Ducato di Savoia.

Filippo II gli affidò il governo delle Fiandre. C’erano gravi problemi finanziari da risolvere, c’era da preparare l’esercito per le sicure nuove campagne perchè la tregua concordata sarebbe durata poco. Ora con la minaccia, ora con la lusinga ottenne la moneta che mancava… ma la guerra si riaccendeva in Italia. La Francia, spronata da Papa Paolo IV, inviò un esercito comandato dal Duca di Guisa che espugnò Valenza e Bassignana poi discese sino a Napoli. Intanto il maresciallo di Brissac, impadronitosi di Valfenera e di Cherasco, puntava su Cuneo. La città però era ben fortificata e disposta a resistere. Il governatore, Carlo di Luserna, respinse ogni proposta di resa e stette a resistere ai bombardamenti disponendo che i suoi concittadini più coraggiosi scendessero ripetutamente nei fossi per assalire i guastatori francesi intenti a piazzare le mine. La tenace resistenza dei cittadini durò giorni e giorni, sino al 25 giugno 1557 quando i francesi lanciarono quello che doveva essere l’ultimo loro attacco. Senza cannoni, senza armi e con le difese spianate i cittadini di Cuneo combatterono corpo a corpo e costrinsero i francesi a ripiegare. Il 27 il nemico levò il campo, il 28 giungeva il Marchese di Pescara che aveva attraversato tutto il territorio occupato dal nemico, ma era arrivato tardi, Cuneo aveva da sola riportata la vittoria dopo cinquantotto giorni d’assedio, 5000 colpi di cannoni e tre assalti respinti. Anche la costa si era salvata, turchi e francesi alleati, trovarono Nizza pronta a tutto e Villafranca ben fortificata da Andrea Provana. Anche la guerra nel Regno di Napoli vedeva respinti i francesi.

Era tempo per Emanuele Filiberto di entrare in guerra e recuperate il Ducato di Savoia.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Reisoli, Testa di Ferro, il vincitore di San Quintino; C. Moriondo, Testa di Ferro. Vita di Emanuele Filiberto di Savoia

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