I Carlisti a Venezia

A Venezia con il termine Lista si indicavano un tempo quei tratti di strada che godevano di una condizione di extraterritorialità, posti davanti alle ambasciate dei paesi stranieri. La più famosa è la Lista di Spagna, nei pressi della stazione ferroviaria a Cannaregio, che prende nome appunto dall’ambasciata spagnola che era ospitata a Palazzo Zeno (al numero 168). Le guide turistiche raccontano spesso questo aneddoto ai visitatori iberici che – almeno prima della diffusione dell’epidemia che ha colpito il mondo – affollano la città lagunare; ciononostante c’è un altro elemento ispanico a Venezia che agli spagnoli viene illustrato solo di rado: questa città è stata per anni il quartier generale del Carlismo. Ma procediamo con ordine.

Chi si sia interessato alla guerra civile spagnola avrà sicuramente sentito parlare delle boine rosse, i requetés carlisti. La boina è quel berretto che noi comunemente chiamiamo basco, ed è il copricapo tipico dei tradizionalisti spagnoli, i carlisti, che Franco cercò di fondere alla Falange, incorporandone (strumentalmente) il nome e l’ideale, dando vita alla Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista. In realtà il Caudillo non fu affatto onesto verso i carlisti, che da vincitori della Cruzada si trovarono, paradossalmente, a vivere il dopoguerra come sconfitti. Franco cercò di indebolire il movimento, di marginalizzarlo, e lo perseguitò apertamente; famosi sono, ad esempio, i fatti del 13 maggio 1964, quando il governo dittatoriale processò e imprigionò per «propaganda illegale» diversi requetés che sui muri di Siviglia avevano scritto frasi come: «Viva il Carlismo», «Viva il Re Saverio».

La storia del Carlismo però, ebbe inizio un secolo prima della guerra di Spagna. Il 29 settembre 1833, infatti, la morte di re Ferdinando VII aprì una contesa dinastica. In età avanzata egli aveva sposato Maria Cristina di Borbone Due Sicilie (1806-1878), che gli diede una figlia, Isabella (1830-1904), il 29 marzo 1830, con la Pragmatica Sanzione, quest’unica discendente fu proclamata illegittimamente erede al trono, infrangendo la legge semi-salica (in vigore sin dal 10 maggio 1713) che avrebbe dovuto portare sul trono il fratello del re, Carlo Maria Isidoro di Borbone Spagna (1788-1855). I sostenitori di Don Carlos reputavano la legge semi-salica una norma incancellabile, fondamentale nell’ordinamento del regno; essa stabiliva che la successione dovesse avvenire preferibilmente per via maschile. Il precedente tentativo di abrogazione della legge risaliva al 1789, ma non era mai stato accettato dal re di allora, Carlo IV (1748-1819), padre di Ferdinando.

Don Carlos era fortemente cattolico, ostile ai liberali e legato all’idea tradizionale della monarchia spagnola, protestò solennemente affinché gli fossero riconosciuti i suoi diritti e assunse il nome di Carlo V. Ne seguì uno scontro fratricida. Il ricordo della guerra combattuta contro i soldati di Napoleone era ancora vivido e le battaglie tra i seguaci di Don Carlos, i carlisti, e quelli di Isabella chiamarono a raccolta le genti della Biscaglia, della Galizia, della Catalogna e della Navarra, poiché il neonato movimento Carlista garantiva anche la difesa delle legittime libertà regionali contro il centralismo dei liberali.

Questa prima guerra carlista (1833-1840), o Carlistada, quindi, si configurava non come una comune disputa per la successione, bensì come la contrapposizione di due opposte visioni del mondo. Il motto del Carlismo è il lemma “Dios, Patria, Fueros y Rey”, ossia “per Dio, per la Patria, per le storiche autonomie regionali e per il Re legittimo”, un motto che racchiude quindi la concezione cattolica, anti-assolutista e organica della monarchia, che confliggeva con il progetto politico dei liberali, seguaci di Isabella.

Per sei anni i generali carlisti Tomás de Zumalacárregui e Imaz (1788-1835), Miguel Sancho Gómez Damas (1785-1864) e Ramón Cabrera y Griñó (1806-1877) tennero testa alle armate di Baldomero Espartero (1793-1879) e Leopoldo O’Donnell y Jorris (1809-1867), poi Don Carlos fu costretto a ritirarsi dalla Penisola Iberica, pur senza rinunciare ai suoi diritti e conservando il titolo di re. I legittimisti non si arresero e nel 1846 scoppiò la seconda guerra carlista, combattuta prevalentemente in Catalogna, che si concluse nel 1849 con un’altra sconfitta.

La storia del Carlismo a Venezia inizia nell’autunno del 1847, quando Don Carlos, protetto dal governo austriaco, si trasferì a Palazzo Rezzonico (attualmente sede del Museo del Settecento Veneziano). Già da tre anni in quella città abitava Maria Carolina di Borbone Due Sicilie (1798-1870), la Duchessa di Berry (la guerriera che nel 1832 aveva cercato di far insorgere la Vandea), e sin da quando ella si era stabilita a Palazzo Vendramin, nel 1844, la sua dimora aveva preso ad animarsi. Era una nobildonna di una certa età, ma si mostrava piena di entusiasmo e di voglia di vivere, a casa sua si incontravano politica internazionale e vita mondana. Ella attirava alla sua residenza legittimisti provenienti da ogni parte d’Europa, organizzava feste, balli e concerti; arrivò persino ad allestire un piccolo teatro domestico e inoltre finanziò la cultura, aiutando, ad esempio, lo storico israelita Samuele Romanin (1808-1861), che pubblicò una monumentale Storia documentata di Venezia (1853-1861). A Palazzo Vendramin la duchessa raccolse anche una vera e propria pinacoteca, la troviamo menzionata in Venezia e le sue lagune (1847): «Venuta ad abitare fra noi S.A.R. anzi lodata, non solamente curava il restauro del palazzo ora detto, ma eziandio disponeva in esso in più ordinato modo le opere ivi trovate, e le altre moltissime da lei qui recate od acquistate. Quindi destinava particolarmente tre sale per contenerle, senza annoverare quelle altre che collocate qui e qua pel palazzo servono ad ornamento delle stanze veramente regali»: quadri di Bellini, Tiziano, Palma il giovane, Guido Reni. «Chi volesse poi annoverare le infinite preziosità storiche ed ornamentali in questa regia dimora raccolte, non finirebbe si tosto, e basterà per tutte accennare la storica collezione di oggetti appartenenti alla Casa Borbonica».

Con l’inizio della rivoluzione veneziana, Carlo V, il 1° aprile 1848, si trovò costretto a rifugiarsi a Trieste, presso un palazzetto di proprietà della Duchessa di Berry, o meglio del di lei marito Conte Ettore Lucchesi Palli (1806-1864).

Con il fallimento della rivoluzione del quarantotto, diversi esponenti del legittimismo europeo poterono fare ritorno nella città lagunare, la Duchessa di Berry tornò a Palazzo Vendramin Calergi, mentre a Palazzo Loredan si trasferì Carlo VI (1818-1861), Conte di Montemolin e figlio di Carlo V, con la madre e il fratello, il Conte di Montizon, Giovanni III (1822-1887), il carlista “liberale”, che sentendosi inadatto al suo ruolo abdicò il 3 ottobre 1868 in favore di suo figlio Carlo VII (1848-1909), frequentatore dei circoli legittimisti che facevano capo al figlio della Duchessa di Berry, il Conte di Chambord, Enrico V di Borbone (1820-1883), legittimo re di Francia.

A Venezia, intanto, i grandi lussi (seppur culturali) e i finanziamenti elargiti ai lealisti ridussero fortemente le finanze della Duchessa di Berry, che finì per spendere un capitale intero, e nel 1865 toccò al conte di Chambord venire incontro ai creditori. La pinacoteca fu venduta – non c’era altra soluzione – e il palazzo fu assegnato all’Ordine Sovrano di Malta che ne fece un baliaggio ereditario in favore del figlio di Carolina e di Ettore Lucchesi Palli, Adinolfo, Duca della Grazia. Insomma rimase tutto in famiglia. La Duchessa si trasferì quindi in Stiria, a Brunnsee, dove il figlio le aveva comprato una tenuta, e non fece più ritorno nella città del leone alato.

Passarono gli anni, ma i discendenti di Carlo V non si arresero e dopo l’abdicazione di Isabella (30 settembre 1868) in Spagna, nel 1869, tra luglio e agosto, scoppiò una nuova ribellione legittimista. Si crearono fortissime tensioni e il 2 gennaio 1871 il parlamento spagnolo pose sul trono un Principe italiano, Amedeo di Savoia (1845-1890), Duca d’Aosta, membro della famiglia che aveva privato i Borbone Due Sicilie del loro regno (una conquista accettata dalla Spagna liberale, ma non dal Carlismo).

Iniziò quindi la terza guerra carlista (1872-1876), dove i tradizionalisti ispanici furono guidati dal giovane Carlo VII, Duca di Madrid. In Italia il conflitto fu supportato dai cattolici che dopo il trauma della breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) videro nel condottiero spagnolo la speranza di una restaurazione europea che facesse tornare al potere tutti i principi spodestati; dalla Penisola partirono diversi volontari (non esclusivamente meridionali o romani). Le azioni belliche dei carlisti – a cui i re proscritti presero parte in prima persona – non possono essere definite “brigantaggio” (questo il termine che fu usato dai liberali): si trattò invece di guerre aperte e dichiarate, con soldati disciplinati, armate ordinate e condotte da un governo provvisorio che si contrapponeva a quello di Madrid.

Il 19 febbraio 1876, l’esercito carlista fu sconfitto definitivamente a Estella (la corte dei Re carlisti) dal generale Fernando Primo de Rivera (1831-1921), poi creato Marchese, e Don Carlos dovette lasciare per sempre la Spagna. Portando con sé i capi più irriducibili, tornò a Venezia e divenne il padrone di Palazzo Loredan, appartenuto a suo zio Francesco V (1819-1875), ultimo Duca di Modena.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

N.B. Nella rivista Storia Veneta, l’autore del presente scritto ha pubblicato un altro testo dedicato al medesimo argomento (e corredato da un buon apparato iconografico), a cui si permette di rimandare: Riccardo Pasqualin, I Re carlisti a Venezia, in «Storia Veneta», N.° 56, aprile 2020, pp. 25-34.

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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