Martino V entra a Roma

Martino V, eletto tre anni prima all’unanimità al Concilio di Costanza, entrò a Roma domenica 29 settembre del 1420. Finalmente, dopo più centotrentacinque anni, la città tornò ad avere il suo papa.

Il pontefice aveva pernottato presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo nella vigilia, protetto dai suoi uomini. Era stato a Torino, a Brescia, a Pavia, a Milano, Mantova, Ferrara, Ravenna, Forlì e Firenze. In questo lungo cammino Martino V s’era costantemente prodigato per calmare le acque che ancora agitavano gli antipapisti e soprattutto per liberare Roma, occupata dalle truppe di Giovanna d’Angiò Durazzo. A tal proposito promulgò la sua prima bolla imponendo ai cittadini ed ai barono romani di serbare la pace. La regina di Napoli ritirò le sue truppe in cambio del riconoscimento della sua legittimità al trono. Per cacciare Braccio da Montone, il più potente dei signori che spadroneggiavano nei suoi stati ed a Roma, invece, si affidò a Francesco Sforza che indusse il nemico alla resa sancita l’8 febbraio del 1420. Il pontefice poi si servì di Braccio da Montone per sottomettere Bologna. Finalmente poté entrare a Roma.

L’ingresso fu fastoso, folle entusiastiche si accalcarono lungo tutto il percorso. Il pontefice, al secolo Ottone Colonna di Genazzano, cavalcava un cavallo bianco sotto un baldacchino rosso carminio. Gli aprivano la strada i rappresentanti dei tredici quartieri romani coi campioni delle corse e dei giochi popolari.

Nei giorni seguenti fu però a tutti chiaro che il trasferimento della corte da Avignone era cosa assai complessa. Enormi problemi organizzativi segnarono ritardi, impedimenti e rinunce. Non si trattava solo di approntare costosissimi traslochi con lunghi convogli via terra e via nave; bisognava garantire la continuità nell’attività della corte, e molte volte fu giocoforza rinunciare e rassegnarsi a raddoppiare i servizi essenziali collegandoli con un traffico straordinario di corrieri e messi.

Martino V inoltre trovò una città in miseria, colpita da guerre, fame e pestilenze, ingombra di rovine, di strade malridotte. Il Platina così scrive: “Martino, partito di Firenze, era giunto alle porte di Roma, quando vide l’affollata moltitudine e i principi della città illustre venirlo ad accogliere quale un uomo sceso dal cielo, e unico padre della patria. I Romani segnarono nei fasti l’esultanza di quel giorno solenne. Il Papa trovò Roma quasi scomparsa sotto le vaste ruine: non aspetto di città, ma case crollate, templi rovesciati, contrade fangose e deserte, una città divorata dalla miseria e dalla fame. Che dirò? Non più segno di popolo civile, né di ordinata città. Avresti creduto quegli sventurati una mandria di bifolchi, e la feccia del mondo”.

Si dedicò allora a riqualificarne le piazze, le vie, a ristabilire il prestigio e l’autorità papale, a ricostruire le chiese e gli edifici pubblici malandati, avvalendosi anche dell’opera di eminenti artisti.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: J. Heers, La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia e dei Medici; J. N.D. Kelly, Vite dei Papi

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