I primi anni del regno di Giovanna d’Angiò: tutti contro tutti

Alla morte del figlio Carlo, Duca di Calabria, nel 1328, re Roberto d’Angiò volle assicurarsi che la corona di Napoli finisse ai suoi cugini d’Ungheria dando in sposa sua nipote Giovanna ad Andrea, il secondogenito di Carlo Roberto, re dei magiari. Roberto dispose inoltre che, se fosse venuta a mancare Giovanna, il titolo regale spettasse a sua sorella Maria. Le nozze furono celebrate nel 1333 a Napoli, il re morì dieci anni dopo, facendo giurare ai baroni napoletani di riconoscere sovrani Giovanna ed Andrea. Certe premure si rivelarono vane. 
Il regno cadde presto in balia di tanti nemici. I baroni si misero subito in moto per usurpare l’autorità regia, anzitutto i rami angioini di Taranto e Durazzo capeggiati da Caterina di Valois, vedova di Filippo I di Taranto, che già aveva tentato di far sposare Giovanna a suo figlio Roberto, e da Carlo di Durazzo che pure aveva aspirato al trono di Napoli sposando sua cugina. La novella regina, appena sedicenne, si ritrovò pure circondata da collaboratori interessati a trarre potere e vantaggi.

In una lettera di Petrarca si ha una triste descrizione dello stato del regno in questo periodo: “Partito di Roma venni a Napoli, visitai le Regine, ed andai a trattare con quei del Consiglio la cagione della mia venuta. O infamia del Mondo, che mostro! toglia dal Cielo d’Italia Iddio tal peste. Io mi credea, ch’in Menfi, in Babilonia, & in Mecca di Saraceni sol fusse disprezzato Cristo: mi duole di te, Napoli mia gentile, che sei fatta simile a quelle: nulla pietà, nulla verità, nulla fede, un animale orrendo co’i piedi scalzi, col capo scoverto, corto di persona, marcio di tempo, grosso di fianchi, co’ panni logri e stracciati, per mostrar a studio parte delle carni; non solo disprezzare le suppliche de’ tuoi Cittadini, ma con grandissima insolenzia, come dalla torre della sua finta Santità non fare nullo conto della imbasciata d’un Papa; ma non è meraviglia, perchè questa superbia è fondata sopra molto tesoro, ch’accumula; perchè, per quel che s’intende, è molto discordante la cascia piena d’oro, da i panni ch’ei veste. Volete forse sapere come si chiama? Si chiama Roberto, successo in luogo di quel Serenissimo Roberto, Re poco anzi morto, che fu solo onore dell’età nostra, come costui è infamia eterna”. Lo scrittore si riferisce al monaco Fra Roberto che, tra i consiglieri reali, riuscì a costruire un dominio tirannico ed a definire segretamente una rete di trame atta a mettere sul trono Ludovico, re d’Ungheria e fratello primogenito di Andrea.

A Giovanna giunse notizia degli inganni del monaco, seppe pure di una lettera che il religioso inviò a Ludovico nella quale invogliava l’ungherese a chiedere in sposa Maria, all’epoca solo quattordicenne, per farsi re di Napoli. Così la regina affrettò un matrimonio tra Carlo, duca di Durazzo, primogenito del principe d’Acaia, e sua sorella Maria.

Il 29 agosto del 1344 la giovane regina fu incoronata, nella Chiesa di Santa Chiara dal cardinale Americo, suo balio, coi titoli di Regina di Sicilia e Gerusalemme, Duchessa di Puglia, Principessa di Salerno, di Capua, di Provenza, di Forcalquier e Contessa di Piemonte. Fra Roberto però continuava a tessere le sue trame a capo delle quali andava ora ponendo Andrea d’Ungheria. Segretamente chiese al pontefice di concedere l’investitura del regno anche all’ungherese e, dopo tante insistenze, da Roma giunse anche la bolla di coronazione di Andrea.
Tanti nemici, temendo il rafforzamento del potere di Fra Roberto e della fazione ungherese, congiurarono contro Andrea.

Certe ostilità furono anche alimentate dal fatto che Andrea, nel tentativo di ampliare aveva pure liberato Giovanni Pipino, conte palatino d’Altamura e conte di Minervino, che era stato condannato al carcere da re Roberto dopo aver guidato una rivolta in Puglia. Questa scelta riaccese le ostilità tra i baroni pugliesi che probabilmente furono i primi a meditare d’uccidere sia Giovanni Pipino che il giovane re che se ne era fatto protettore. Caterina di Valois affiancò i congiurati e spinse sua nipote Giovanna a sostenerli. Nel frattempo Agnese di Perigord, vedova di Giovanni di Durazzo, padre di Carlo, riuscì a far sposare suo figlio con Maria, sorella di Giovanna, mandando su tutte le furie Ludovico d’Ungheria che voleva prendere lui in moglie la donna per essere più sicuro che la corona di Napoli passasse agli angioini di Ungheria. Questo matrimonio avvenne all’insaputa di Giovanna e divise il regno in due fazioni, quella che patteggiava per la regina e quella che invece stava coi Durazzo. Col tempo le discordie si assopirono, non si placò invece la brama di potere di Caterina di Valois che armò un esercito e l’affidò a Iacopo Cavalcanti. Questi conquistò in suo nome Venosa e Melfi, mentre fallì la presa di Bitonto accettando in cambio del denaro. Il disegno di Caterina era quello di ammazzare re Andrea per poi far sposare suo figlio Luigi alla regina.

Il misfatto avvenne effettivamente il 18 settembre del 1345. I sovrani si trovavano ad Aversa, dimoravano nel castello. Andrea fu svegliato di colpo di notte da un cameriere che gli annunciò che erano giunte alcune lettere di Fra Roberto che gli sottoponevano affari urgentissimi. Così Andrea si alzò e si diresse nella camera predisposta allo studio ed alle ambascerie. Nel tragitto i suoi camerieri lo strozzarono con un laccio al collo poi gettarono il cadavere dalla finestra.

Una cameriera assistette alla scena e lanciò un urlo d’orrore. Il seguito ungherese di Andrea si dette alla fuga. La regina, destata dal trambusto, era incinta di sei mesi e fu subito condotta a Napoli.

Giovanna aveva 18 anni ed era incinta di 6 mesi. Andrea non aveva compiuto neppure diciannove anni. Il suo cadavere, per molti giorni, restò insepolto. Solo per iniziativa di Ursillo Montalto, canonico napoletano, fu seppellito nella Cappella di San Ludovico, nell’Arcivescovato di Napoli.

La regina volle affidarsi al conte Ugo del Balzo per individuare e punire i colpevoli. Il castigo colpì diversi cortigiani, tutti decapitati. Giovanna, che tre mesi dopo il delitto, il 26 dicembre del 1345, aveva alla luce suo figlio Carlo Martello, si premurò pure di scrivere al pontefice proclamandosi innocente e successivamente inviò il Vescovo di Tropea a Ludovico d’Ungheria, ancora ribadendo la sua innocenza. Tutto vano, Caterina di Valois e di Carlo di Durazzo reclamarono un sostanziale smembramento del reame. Caterina ne voleva un terzo, cioè i due Abruzzi che Luigi di Taranto e Cavalcanti invasero, Carlo chiedeva il ducato di Calabria, e non avendo mezzi e risorse per ottenerlo, incitò Ludovico d’Ungheria ad accorrere a Napoli per vendicare la morte del fratello.

In nome del re magiaro, il Durazzo fece arrestare, giudicare e giustiziare molti dei presunti colpevoli del regicidio. Luigi di Taranto, nel frattempo, portò cinquecento militi a Napoli e prese possesso di Castel Sant’Elmo. I durazzeschi allora gli inviarono contro un’armata capeggiata da Montreal d’Albano, noto nelle cronache come Frate Moriale, cavaliere di San Giovanni di Gerusalemme. Il condottiero simulò l’assedio al castello per poi fuggire e farsi rincorrere fino a circondare i nemici. Caterina di Valois allora, visto il prevalere del partito durazzesco e ungherese, organizzò qualcosa per scagionarsi dall’accusa d’aver tramato contro re Andrea: andò a Sant’Agata, vi catturò Carlo, conte d’Artus, figlio bastardo di Roberto il Saggio, complice con lei dell’assassinio e li sbatté in carcere lasciandoli morire. La donna spirò nell’ottobre del 1346, nel frattempo attorno a Carlo di Durazzo si erano radunati gran parte dei baroni del regno, specialmente gli abruzzesi che avevano combattuto contro Cavalcanti, ora rinchiuso a Melfi. La guerra però ebbe un andamento ondivago. La Puglia si mostrava terreno ostico e quando entrarono davvero in scena gli ungheresi – in Abruzzo con mercenari guidati da Luigi di Taranto e fecero prigioniero il Cavalcanti -, i due rami angioini napoletani, quello di Taranto e quello di Durazzo, si unirono.

Un vero e proprio patto previde che Luigi avrebbe sposato Giovanna e Carlo avrebbe avuto il ducato di Calabria. Insieme durazzeschi e tarantini radunarono un esercito e si spinsero sino a L’Aquila, nel maggio del 1347. Dopo un’estate di guerra ed il matrimonio tra Giovanna e Luigi, sogno della defunta Caterina d’Avalos, fu comunicato a Carlo di Durazzo che non gli sarebbero mai state consegnate le Calabrie. A quel punto i durazzeschi lasciarono perdere l’Abruzzo e tornarono a Napoli in attesa degli eventi. Gli ungheresi invece assoldarono il conte di Fondi, già sodale di Carlo di Durazzo. Questi piombò su Gaeta, fece strage dei suoi oppositori e s’arroccò sul Garigliano proclamandosi suddito di Ludovico d’Ungheria. Il conte aveva 400 cavalli e un buon numero di fanti, la regina gli spedì contro 1000 cavalli e 8000 fanti. Inferiore in numero, il conte si rinchiuse a Traetto e si difese con un’astuzia. Ordinò che nell’abitato fossero murati gli sbocchi delle vie secondarie nella principale e anche tutte le porte di tutte le case che vi si affacciavano. Dispose poi che i cittadini rimanessero chiusi in casa, armati di lancia e balestra. Quando tutto fu pronto, schierò gli armati e assalì il nemico per poi indietreggiare, fingendosi sopraffatto. Così fino a notte. Prima dell’alba, si portò fuori dall’abitato facendo credere alle truppe di Giovanna che stesse scappato. I nemici attesero il suo allontanamento e dopo entrarono nella città già pensando al saccheggio. Fu allora che il conte piombò inaspettatamente sui nemici che si ritrovarono chiusi nella via principale, con la gente che dalle finestre gettavano oggetti e pietre, scagliando colpi di lancia e balestre. Il conte fece disarmare tutti, i suoi nemici personali furono ammazzati, gli altri furono rimandati da Giovanna nudi.

Intanto il 24 dicembre del 1347, il re d’Ungheria arrivò a L’Aquila. A contendersi il potere erano dunque ben quattro rami angioini: quello di Napoli, quello di Durazzo, quello di Taranto e quello d‘Ungheria. Lo capì subito il pontefice, Clemente VI, titolare della signoria feudale sul regno, che continuò a sostenere Giovanna ritenendola più facile da gestire.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: D. Guerrini, La guerra del re Luigi I d’Ungheria nel reame di Napoli (1347-1350); I. De Feo, Giovanna d’Angiò

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